di Giuliano Guzzo
“La famiglia italiana è cambiata”, titola un’articolata indagine de L’Espresso che, basandosi sui dati Istat, sottolinea come «per quanto la politica provi a ignorare o rimandare le riforme in tema di famiglia e diritti riproduttivi, sui temi etici gli italiani» abbiano «già fatto quel salto che i loro legislatori non sembrano voler accompagnare». Nell’articolo si evidenziano, da un lato, l’aumento del numero delle convivenze e delle separazioni - ma non quello dei divorzi, che «calano per colpa della crisi» - e, dall’altro, la progressiva riduzione dei matrimoni celebrati, specie in chiesa. Il messaggio che traspare è quindi quello del declino della cosiddetta famiglia tradizionale, descritta ormai sul viale del tramonto. Ora, i numeri sulle unioni familiari italiane, da qualunque parte li si prenda, sono in effetti sconfortanti.
Si è volutamente scritto “purtroppo” – e passiamo qui ad una considerazione successiva - dal momento che il matrimonio religioso, benché non goda della popolarità di un tempo e sia oggetto di una sistematica irrisione, rimane un bene apprezzabile: oggettivamente apprezzabile. Anzitutto perché più stabile nel tempo: «Mettendo a confronto i matrimoni del 1995 con quelli del 2005 – è scritto in un report Istat - si osserva come la propensione a separarsi nei matrimoni celebrati con il rito religioso sia molto inferiore e molto più stabile nel tempo rispetto a quella nelle nozze civili. Dopo sette anni i matrimoni religiosi sopravviventi sono praticamente gli stessi per le due coorti di matrimonio considerate (rispettivamente 933 e 935 su 1.000). I matrimoni civili sopravviventi scendono a 897 per la coorte del 1995 e a 880 per quella del 2005».
Gli effetti positivi della religione sul matrimonio, già notevoli, non si esauriscono però nella stabilità coniugale: dalla letteratura scientifica apprendiamo come la stessa partecipazione alle funzioni generalmente diminuisca il rischio di tradimenti (Journal of Marriage and Family, 2008), e come pregare per il proprio partner accresca la percezione della sacralità del rapporto di coppia riducendo conseguentemente pensieri e condotte infedeli (Journal of Personality and Social Psychology, 2010). Non solo: la comune e regolare frequenza alle funzioni religiose risulta positivamente correlata perfino a minori tassi di violenza domestica (Journal of Family Issues, 1999); e dire che, ad ascoltare i media – che, parlando astutamente di “violenza del partner”, non distinguono fra coniuge, convivente e separato –, il matrimonio, tanto più se religioso, dovrebbe essere una sorta di camera della tortura.
Un’ultima ma non meno centrale considerazione sulla cosiddetta famiglia tradizionale, quella che la cultura dominante fa tutto il possibile per ridicolizzare, concerne il fatto che, per quanto in una situazione di difficoltà, costituisce sempre e comunque un modello di vita non solo valido ed esemplare - come si è brevemente ricordato -, ma trasgressivo. Del resto, cosa c’è di più controcorrente, oggi, del promettersi reciprocamente quella fedeltà che appare sempre più difficile da mantenere, per di più chiamando a testimone quel Dio che i più, ormai, preferiscono ignorare o del quale si ricordano solo a volte, quando fa comodo? Cosa c’è di più sanamente folle che sfidare la crisi economica con la ripresa della stabilità affettiva? Quale modo migliore per combattere fino in fondo solitudine e tristezza del tornare a scommettere, insieme, sull’Amore per sempre? Nessuno dice che sia semplice, ma ne vale la pena.
Vi sono tuttavia alcune considerazioni, con specifico riferimento alle coppie sposate e al matrimonio religioso, che possono tornare utili. La prima è che a L’Espresso, quando scrivono che il numero delle nozze celebrate è in calo, non dicono nulla di nuovo: dopo il record assoluto dei 420.300 matrimoni del 1963, l’Italia non ci è più andata vicino; anzi, per la precisione è dai 418.944 matrimoni del 1972 che la curva delle nozze – guarda caso proprio nel periodo in cui il divorzio, la prima di tante “conquiste” civili, faceva la propria comparsa – ha iniziato una picchiata verticale che in decenni ha conosciuto solo debolissimi segnali di ripresa nei periodi fra il 1987 ed il 1992, fra il 1998 ed il 1999 e nell’anno 2007. Se invece si considerano i matrimoni religiosi, è dai 414.652 del già ricordato anno record 1963 che si verifica, purtroppo, un calo costante.
Si è volutamente scritto “purtroppo” – e passiamo qui ad una considerazione successiva - dal momento che il matrimonio religioso, benché non goda della popolarità di un tempo e sia oggetto di una sistematica irrisione, rimane un bene apprezzabile: oggettivamente apprezzabile. Anzitutto perché più stabile nel tempo: «Mettendo a confronto i matrimoni del 1995 con quelli del 2005 – è scritto in un report Istat - si osserva come la propensione a separarsi nei matrimoni celebrati con il rito religioso sia molto inferiore e molto più stabile nel tempo rispetto a quella nelle nozze civili. Dopo sette anni i matrimoni religiosi sopravviventi sono praticamente gli stessi per le due coorti di matrimonio considerate (rispettivamente 933 e 935 su 1.000). I matrimoni civili sopravviventi scendono a 897 per la coorte del 1995 e a 880 per quella del 2005».
Gli effetti positivi della religione sul matrimonio, già notevoli, non si esauriscono però nella stabilità coniugale: dalla letteratura scientifica apprendiamo come la stessa partecipazione alle funzioni generalmente diminuisca il rischio di tradimenti (Journal of Marriage and Family, 2008), e come pregare per il proprio partner accresca la percezione della sacralità del rapporto di coppia riducendo conseguentemente pensieri e condotte infedeli (Journal of Personality and Social Psychology, 2010). Non solo: la comune e regolare frequenza alle funzioni religiose risulta positivamente correlata perfino a minori tassi di violenza domestica (Journal of Family Issues, 1999); e dire che, ad ascoltare i media – che, parlando astutamente di “violenza del partner”, non distinguono fra coniuge, convivente e separato –, il matrimonio, tanto più se religioso, dovrebbe essere una sorta di camera della tortura.
Un’ultima ma non meno centrale considerazione sulla cosiddetta famiglia tradizionale, quella che la cultura dominante fa tutto il possibile per ridicolizzare, concerne il fatto che, per quanto in una situazione di difficoltà, costituisce sempre e comunque un modello di vita non solo valido ed esemplare - come si è brevemente ricordato -, ma trasgressivo. Del resto, cosa c’è di più controcorrente, oggi, del promettersi reciprocamente quella fedeltà che appare sempre più difficile da mantenere, per di più chiamando a testimone quel Dio che i più, ormai, preferiscono ignorare o del quale si ricordano solo a volte, quando fa comodo? Cosa c’è di più sanamente folle che sfidare la crisi economica con la ripresa della stabilità affettiva? Quale modo migliore per combattere fino in fondo solitudine e tristezza del tornare a scommettere, insieme, sull’Amore per sempre? Nessuno dice che sia semplice, ma ne vale la pena.
La Croce 25/02/2015
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