domenica 2 novembre 2014

Fedeli “semplici” e pastori dubbiosi

STEFANO FONTANA


Oggi molti pastori della Chiesa amano seminare dubbi tra i fedeli. Alcuni di loro non seminano dubbi, ma permettono che altri lo facciano senza intervenire. Inutile fare degli esempi. Lo abbiamo visto prima del Sinodo, durante il Sinodo e dopo il Sinodo. Sembra che un fedele che sia saldo, fermo o irremovibile nella fede, come chiede San Paolo nella prima lettera ai Corinzi (15,58) e in quella ai Colossesi (1,23) sia in qualche modo fuori posto.

Dietro questa visione delle cose c’è l’idea che la fede sia ricerca e non possesso, percorso e non approdo. Essere saldi nella fede passa per arroganza. L’adesione a Cristo sembra che consista nel porsi delle domande e non nell’aver trovato la Risposta. Karl Rahner afferma che «la rivelazione naturale propriamente consiste nell’esistenza di Dio come domanda (e non come risposta)». Dio, per lui, è l’orizzonte che permette all’uomo di farsi domande, senza mai poter uscire da questo domandare esistenziale.

È evidente che qui si confrontano due visioni diverse della fede. Questa è sempre stata definita – per esempio da San Tommaso – come un “assenso” alla verità rivelata da Dio in virtù della sua autorità. La fede è un assenso, una adesione, non un dubbio.

Joseph Ratzinger, nel suo famoso “Introduzione al Cristianesimo”, spiega molto bene che la fede ha a che fare con le idee di verità, stabilità, fedeltà, confidenza, aver fiducia, attenersi a qualcosa. La fede – egli dice – «è abbandonarsi con fiducia al senso della realtà che sostenta me e il mondo; significa accoglierlo come il solido terreno su cui possiamo stare, reggendoci senta timore». L’atteggiamento della fede cristiana si esprime nella parola “amen”, che indica fiducia, stabilità, irremovibilità, fermezza, verità. Ha origine qui anche il discorso della ragionevolezza della fede, è infatti per questo suo carattere di stabilità che la fede esige di essere compresa dall’intelletto.

Il compito dei pastori è di «confermare nella fede». Quando essi seminano dubbi anziché verità e quindi non confermano ma distraggono e confondono i fedeli, vuol dire che la concezione moderna del dubbio ha fatto larga strada anche dentro la mentalità cattolica. Come si sa, la modernità nasce dal dubbio (soprattutto con Cartesio) e consiste nella celebrazione del dubbio non solo come strumento di ricerca ma come orizzonte originario. Hanna Arendt lo ha spiegato molto bene nel capitolo VI de suo libro Vita activa.

Si è sempre sostenuto che all’inizio del sapere ci sia la meraviglia. La meraviglia perché c’è l’essere. Da cui nasce poi il nostro domandare, dato che l’essere non si giustifica immediatamente. La meraviglia, però, non è il dubbio. La meraviglia è una certezza: c’è l’essere. E nemmeno la domanda originaria da cui nasce la ricerca è un dubbio, perché si fonda su una precedente certezza. All’inizio c’è una risposta e non una domanda. Se invece si parte dal dubbio, in principio c’è una domanda che non troverà mai risposta, perché il principio è anche il fondamento. Senz’altro l’uomo è un animale che fa domande. Ma non solo e non originariamente.

Ora, questa idea che all’origine ci sia il dubbio è penetrata nel nostro modo di pensare quotidiano, per cui dalle riunioni in parrocchia bisogna per forza andar via con dubbi, dopo aver messo in questione la nostra fede, e non con un rafforzamento delle certezze della fede. Questa è considerata una apologia presuntuosa. Se uno fa un intervento in difesa della fede e a conferma delle verità della fede viene tacitato come arrogante. Se uno interviene per porre dubbi e corrodere le convinzioni passa per umile ricercatore. Si tratta invece di falsa umiltà, dato che l’uomo radicalmente dubbioso non si concede a nessuna verità che non sia il suo dubbio, che diventa l’unica arrogante verità.

Per fortuna nella Chiesa ci sono ancora molti fedeli “semplici”. Essi sono la sua forza. Semplici significa saldi e forti nella fede, dato che ciò richiede umiltà e semplicità. Per fortuna molti di loro non seguono le interviste giornalistiche dei loro pastori, la partecipazione di questi ultimi ai dibattiti televisivi, le dichiarazioni avventate e provocatorie. Per fortuna a molti di loro non è arrivata la notizia che un vescovo, al Sinodo, ha detto che le unioni omosessuali sono un’occasione di santificazione.



















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