di Rino Cammilleri
Brescello (Reggio Emilia) è la cittadina in cui Giovannino Guareschi ambientò le storie di Don Camillo e Peppone. In una di queste la piena del Po allagava tutto e il parroco guidava una processione di barche per implorare l’aiuto di Dio. Don Camillo reggeva il Crocifisso della sua chiesa, quello con cui usava parlare e da cui riceveva ironiche risposte. Questo racconto diede spunto a uno dei tanti film con Fernandel e Gino Cervi. Ora, proprio l’altro ieri, l’attuale parroco, don Evandro Gherardi, ha deciso di ripetere il gesto di don Camillo per cercare l’aiuto divino contro il solito Po, che ha già superato di ben nove metri il livello di guardia. Processione fino al fiume e una giornata di preghiera davanti al «Crocifisso parlante».
L’iniziativa è stata definita dai media «un gesto suggestivo e curioso». Folklore, insomma. In effetti, non sono più i tempi di Guareschi, e altre divinità hanno preso il posto del Dio cattolico: la Scienza e la Politica. Così, quando il terremoto ci inghiotte, mandiamo a processo gli scienziati che non hanno saputo prevederlo. E, quando l’alluvione ci spazza via, agitiamo il capestro contro i politici che hanno permesso il dissesto del territorio. Magari è anche vero che gli scienziati non sono infallibili e i politici avrebbero potuto far meglio. Ma, a disastro avvenuto, è magra consolazione la vendetta contro i «responsabili» e il dover mettersi in fila (dall’avvocato) per un risarcimento che non si sa se e quando arriverà. Forse, chissà, un giorno arriveranno scienziati e politici competenti e onesti. Ma ci sarà sempre un errore umano, un evento imprevisto, una calamità più forte di qualunque preparazione.
Di cose del genere ne abbiamo viste fin troppe, anche in quei Paesi che hanno scienziati e politici virtuosi. Questa, ahimè, è e resterà Valle di Lacrime. Lo è anche quando preghiamo il Creatore di risparmiarci qualche croce. Figuratevi cosa diventa quando non facciamo nemmeno questo. Già, perché la preghiera serve innanzitutto per avere scienziati e politici competenti e onesti. Poi, ammesso di averli ottenuti, per scamparci da errori in buona fede o eventi imprevedibili. Infine, per ringraziare dello scampato pericolo o di esserne usciti con poche ossa rotte. L’unica preghiera che il Dio cattolico ci ha insegnato termina infatti con queste precise parole: «sed libera nos a malo», «ma liberaci dal male». Il male: c’è, è ineliminabile, spunta sempre quando o da dove non te l’aspetti.
Come proteggersi? Restando il più possibile appiccicati a Cristo. Al di fuori del Suo alone di luce c’è il regno del Principe di Questo Mondo. Il quale, per esempio, può anche scatenare gli elementi (così un tempo la Chiesa insegnava). E ci vuole Cristo che, opportunamente svegliato, ordini loro: «Taci! Calmati!» (Mt 8, 23). Certo, non tutte le calamità vengono dal Diavolo e non tutte vengono dalla Natura. Ma da tutte quante può liberarci la preghiera, se ci crediamo e se Dio concede.
Brescello (Reggio Emilia) è la cittadina in cui Giovannino Guareschi ambientò le storie di Don Camillo e Peppone. In una di queste la piena del Po allagava tutto e il parroco guidava una processione di barche per implorare l’aiuto di Dio. Don Camillo reggeva il Crocifisso della sua chiesa, quello con cui usava parlare e da cui riceveva ironiche risposte. Questo racconto diede spunto a uno dei tanti film con Fernandel e Gino Cervi. Ora, proprio l’altro ieri, l’attuale parroco, don Evandro Gherardi, ha deciso di ripetere il gesto di don Camillo per cercare l’aiuto divino contro il solito Po, che ha già superato di ben nove metri il livello di guardia. Processione fino al fiume e una giornata di preghiera davanti al «Crocifisso parlante».
L’iniziativa è stata definita dai media «un gesto suggestivo e curioso». Folklore, insomma. In effetti, non sono più i tempi di Guareschi, e altre divinità hanno preso il posto del Dio cattolico: la Scienza e la Politica. Così, quando il terremoto ci inghiotte, mandiamo a processo gli scienziati che non hanno saputo prevederlo. E, quando l’alluvione ci spazza via, agitiamo il capestro contro i politici che hanno permesso il dissesto del territorio. Magari è anche vero che gli scienziati non sono infallibili e i politici avrebbero potuto far meglio. Ma, a disastro avvenuto, è magra consolazione la vendetta contro i «responsabili» e il dover mettersi in fila (dall’avvocato) per un risarcimento che non si sa se e quando arriverà. Forse, chissà, un giorno arriveranno scienziati e politici competenti e onesti. Ma ci sarà sempre un errore umano, un evento imprevisto, una calamità più forte di qualunque preparazione.
Di cose del genere ne abbiamo viste fin troppe, anche in quei Paesi che hanno scienziati e politici virtuosi. Questa, ahimè, è e resterà Valle di Lacrime. Lo è anche quando preghiamo il Creatore di risparmiarci qualche croce. Figuratevi cosa diventa quando non facciamo nemmeno questo. Già, perché la preghiera serve innanzitutto per avere scienziati e politici competenti e onesti. Poi, ammesso di averli ottenuti, per scamparci da errori in buona fede o eventi imprevedibili. Infine, per ringraziare dello scampato pericolo o di esserne usciti con poche ossa rotte. L’unica preghiera che il Dio cattolico ci ha insegnato termina infatti con queste precise parole: «sed libera nos a malo», «ma liberaci dal male». Il male: c’è, è ineliminabile, spunta sempre quando o da dove non te l’aspetti.
Come proteggersi? Restando il più possibile appiccicati a Cristo. Al di fuori del Suo alone di luce c’è il regno del Principe di Questo Mondo. Il quale, per esempio, può anche scatenare gli elementi (così un tempo la Chiesa insegnava). E ci vuole Cristo che, opportunamente svegliato, ordini loro: «Taci! Calmati!» (Mt 8, 23). Certo, non tutte le calamità vengono dal Diavolo e non tutte vengono dalla Natura. Ma da tutte quante può liberarci la preghiera, se ci crediamo e se Dio concede.
Per questo un tempo la Chiesa aveva composto preghiere e riti per ogni genere di guaio, dalle cavallette alla carestia. A flagello fulminis libera nos Domine; a flagello terraemotus, a flagello tempestatis… C’erano Santi appositi da invocare contro la siccità o contro la pioggia, c’erano i cosiddetti «Santi del gelo» e i Quattordici Ausiliatori. Ogni necessità era coperta. Infine, c’erano le c.d. Rogazioni: Te rogamus, audi nos; Ti chiediamo di ascoltarci. E sant’Annibale Maria Di Francia (1851-1927) fondò addirittura una congregazione, i Rogazionisti. Fu san Mamerto, vescovo di Vienne nel Delfinato, a idearle, perché nell’anno 474 una serie di disastri (tra cui un terremoto) aveva messo alla fame quel pezzo di Gallia. Processioni, preghiere e digiuno per sollecitare (in latino rogare) il soccorso divino.
Finiti i secoli cristiani, tali preghiere si affievolirono fino a spegnersi. Non possiamo dire quanti guai dette preghiere abbiano risparmiato all’umanità (anche se un censimento in tal senso si può fare, basta contare gli ex-voto nei santuari). Ce ne sono comunque tracce qua e là, come la statua di San Michele che rinfodera la spada (della peste) su Castel Sant’Angelo, per esempio. Ma possiamo senz’altro dire che, agli shakespeariani «mille flagelli naturali ereditati dalla nostra carne», nei secoli post-cristiani si aggiunsero quelli delle guerre di sterminio e dei totalitarismi. Sogghignino pure quelli che discendono dal Caso e dalla Scimmia: noi credenti sappiamo che un sola preghiera pubblica al Cuore Immacolato di Maria ha fatto crollare l’impero sovietico; figurarsi se non può fermare il Po.
La nuova Bussola Quotidiana
20-11-2014
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