lunedì 30 giugno 2014
O CRUX, AVE, SPES UNICA: DUNQUE LA MESSA DELLA TRADIZIONE
Editoriale di "Radicati nella fede"
Luglio 2014
Lo scorso mese, parlando della solennità del Corpus Domini, ricordavamo il pericolosissimo oblio del carattere sacrificale della Messa cattolica. Oblio che conduce lentamente ma inesorabilmente all'eresia. Su questo punto non dovremmo mai dimenticare il grande lavoro di Michael Davies sulla Riforma anglicana, che sottolinea il pericolo dei “taciuti” in liturgia: la riforma anglicana di Cranmer, togliendo dalla Messa tutti i riferimenti espliciti al Sacrificio propiziatorio, introdusse vincente, nel giro di una generazione, il Protestantesimo in Inghilterra, portandola definitivamente all'eresia.
Ma nel mese scorso ci spingevamo più in là dicendo che, col dimenticare che la Messa è il Sacrificio di Cristo sulla Croce, si perde inesorabilmente la coscienza della Presenza sostanziale di Cristo nella Santissima Eucarestia: se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Gesù Cristo, perché Cristo si rende presente nell'Eucarestia come Vittima. Una Messa percepita sempre più come ricordo dell'Ultima Cena rischia veramente di non essere più la Messa cattolica. Innegabilmente l'ultima riforma della messa, quella del 1969, l'ha fatta assomigliare sempre più alla Santa Cena protestante, anglicana o luterana che sia.
C'è però di più: una Messa sempre più protestantizzata, ha protestantizzato il popolo cristiano con la sua missione, tanto da farlo assomigliare ogni giorno di più ad un insieme di congregazioni protestanti impegnate nella loro presenza in mezzo al mondo.
Se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Cristo. È vero per la Messa, per il Santissimo Sacramento, ma è vero anche per tutta l'opera della Chiesa. Se al centro di tutta la predicazione dottrinale, se al centro di tutta la pastorale della Chiesa non c'è più Cristo Crocifisso, tutta la missione della Chiesa rischia di essere spaventosamente vuota. Mai come in questi ultimi decenni si sono moltiplicati gli sforzi pastorali, si sono affinate le tecniche per un annuncio efficace, mai si è parlato come in questi ultimi cinquant'anni di missione, e si è raccolto quasi nulla. Si è andati verso il mondo annunciando e annunciando ancora, e si è registrata la sua inesorabile scristianizzazione.
Chi avrebbe mai pensato, tra i Padri del Concilio, che la fede cattolica sarebbe quasi scomparsa nel giro di mezzo secolo? Chi avrebbe mai pensato, tra i vescovi del Vaticano II, all'avvento di una società così anti-cattolica e immorale come quella di oggi, dove ogni legge sembra fatta apposta per essere contro il disegno di Dio sull'uomo?
Eppure, ed è innegabile, questo disastro è sotto i nostri occhi.
Se non c'è più Gesù-Vittima, non c'è nemmeno più Gesù-presente.
Sì, una Chiesa che entusiasticamente, a partire dagli anni '60, è andata incontro al mondo mettendo in secondo piano la Croce di Cristo, ha perso Cristo stesso e non ha portato nulla o quasi alla società. Sì perché, occorre dirlo con chiarezza, senza la centralità della Croce, senza la centralità di Cristo crocifisso, tu perdi Cristo stesso. È terribile l'illusione di chi vuol parlare di Gesù senza la sua Croce, senza anzi la centralità della sua Croce. Chi mette la Croce di Cristo “tra le tante cose” della vita di Gesù, ma non ne considera la centralità, in verità non parla nemmeno di Cristo. Parla di un Gesù “confezionato” apposta per il mondo moderno che, come i giudei e i gentili di San Paolo, giudicavano Cristo Crocifisso scandalo o stoltezza.
Si è voluti andare al mondo per dialogare amichevolmente con esso, evitando le condanne della Chiesa del passato; per dialogare amichevolmente si sono dovuti “velare” o “nascondere” la Croce e il Sacrificio di Cristo, perché il dialogo con la società moderna, con le sue religioni, restasse sereno e amichevole; con il risultato doppiamente tragico di non aver portato nulla agli uomini del tempo e, peggio, di aver devastato il santuario della presenza di Dio che è la Chiesa.
Non c'è niente da fare, per primi dobbiamo accettare e abbracciare lo scandalo della Croce, riconoscerlo come il contenuto centrale della dottrina, della vita e della missione della Chiesa, e allora, non calcolando gli esiti, ma fiduciosi nell'infinita potenza della grazia di Dio, andare verso il mondo, perché dalla Croce di Cristo sia convertito e sanato.
Guai a quei Cristiani, guai a quella Chiesa che voglia portare un altro Gesù, senza la Croce, guai! Perderà la sua essenza, perderà la sua forza, perderà la sua anima, perderà l'efficacia unica della grazia. E risulterà sempre più inutile e insopportabile al quel mondo che voleva raggiungere. Odiosamente insopportabile al mondo è una Chiesa senza il Sacrificio e la Croce.
E il mondo, una Chiesa così vuota, è già pronto ad azzannarla.
In hoc signo vinces, non è solo il ricordo di una storia passata, è la verità di ogni istante: la vittoria è della Croce e di chi, la Croce, la porta e la mostra al mondo, senza calcolo umano.
O Crux, ave, spes unica, salve o Croce, unica speranza: se non si tornerà a questa chiarezza in tutto, veramente in tutto nella Chiesa, il disastro sarà inevitabile.
Ma questo ritorno inizia dal Santo Sacrificio della Messa.
Se di fronte a questo quadro di devastante confusione ci sentiamo impotenti; se impotenti ci domandiamo cosa fare e soprattutto da dove iniziare, ricordiamoci che la riedificazione della Chiesa partirà sempre dal Santo Sacrificio della Messa. Non facciamo calcoli umani, non commettiamo l'errore degli anni '60, non andiamo al mondo, nemmeno per riedificare la Tradizione, con le nostre tecniche, ma ri-iniziamo dalla Messa.
Torniamo subito alla Messa della Tradizione, lo diciamo ai sacerdoti prima e poi ai fedeli. Torniamo al corretto rito del Santo Sacrificio della Messa e da lì ripartiamo per un lavoro paziente di riedificazione della fede. Non commettiamo l'errore di fare l'inverso, prima il lavoro pastorale, poi il ritorno alla Messa di sempre, sarebbe in fondo un nascondere ancora la Croce di Cristo, attendendo tempi migliori, così come fecero gli illusi missionari degli anni post-conciliari.
La verità invece è Cristo.
La verità è invece il fatto del suo Sacrificio redentore, perpetuato dalla Messa cattolica. Primo compito dei sacerdoti è celebrarla. Primo compito di tutti è vivere di essa, perché la vita, quella vera, continui.
www.radicatinellafede.blogspot.it
Sinodo famiglia, un filo lega Cameri a Toronto
Il cardinale canadese Collins (Toronto) a proposito di divorziati risposati usa le stesse espressioni del parroco di Cameri, bollate come “pazzia” dal segretario del Sinodo, cardinale Baldisseri. Ma è proprio qui che si giocherà il prossimo Sinodo: tra chi si pone il problema di elevare ogni uomo a Dio, sostenendolo nella difficoltà del cammino, e chi vuole ridurre il disegno di Dio alla misura dell’uomo, rassegnandolo alla sua mediocrità.
di Riccardo Cascioli (30/06/2014)
Sembrava quasi una bega di paese, un piccolo “scandalo” diocesano assurto alle cronache nazionali per il solito corto circuito mediatico. E invece la vicenda del parroco di Cameri, don Tarcisio Vicario, consegnato alla gogna mediatica dal suo vescovo monsignor Giulio Brambilla per aver tentato di spiegare ai propri parrocchiani perché non è possibile ammettere ai sacramenti i conviventi, sta diventando il simbolo della lotta che si prepara al prossimo Sinodo sulla famiglia.
Di ciò che è successo a Cameri abbiamo dato conto in un articolo nei giorni scorsi: don Tarcisio aveva semplicemente cercato di spiegare il Catechismo sostenendo che una convivenza implica il permanere in una situazione contraria alla legge di Dio, mentre dopo un peccato anche grave – fosse anche l’omicidio – ci si può riconciliare se veramente pentiti. Il vescovo di Novara non solo aveva preso le distanze e svergognato il suo prete, aveva anche preteso – in puro stile maoista - che firmasse una lettera di scuse da leggere nelle chiese.
Nei giorni successivi, ovviamente, su giornali e social media è stato tutto un “Dalli a don Tarcisio”, mentre il povero parroco era nel frattempo in viaggio in Irlanda per un pellegrinaggio programmato da tempo (magari è vero, ma siccome si dice sempre così qualche dubbio viene). Detto per inciso, ironia della sorte ha voluto che sabato 21 giugno andasse a celebrare messa a Cameri un prete – proveniente da altra diocesi - che poi si è scoperto essere ricattato per la partecipazione a festini gay: in questo caso il vescovo non ha fatto nemmeno una piega (sia detto per dovere di cronaca).
Ma la vicenda ha avuto una eco che è arrivata fino alla preparazione del prossimo Sinodo dei vescovi. Il 26 giugno infatti c’è stata la presentazione dell’Instrumentum Laboris che sarà la base della discussione al Sinodo. A presentarlo alla stampa c’era anche il segretario generale del Sinodo dei vescovi, il cardinale Lorenzo Baldisseri, che già nei mesi scorsi era stato protagonista di uscite che andavano nel senso di una ridefinizione della dottrina sul matrimonio. Nell’occasione Baldisseri ha presentato le diverse parti del corposo documento, insistendo molto sull’attenzione e la sensibilità verso le «situazioni pastorali difficili», sulla necessità di «guarire le persone ferite» e di «una pastorale capace di offrire la misericordia che Dio concede a tutti senza misura».
Insomma, nulla che possa rovinare l’immagine di una Chiesa accogliente, che non giudica più, in cui si evita di dire le cose spiacevoli per non urtare la sensibilità, in cui quel che conta è l’amore, come direbbe anche Barack Obama. Senonché a margine della presentazione dell’Instrumentum Laboris un giornalista dell’Ansa chiede al cardinal Baldisseri della vicenda di Cameri e delle parole di don Tarcisio. E allora improvvisamente la musica cambia: «Una pazzia», dice Baldisseri, «si tratta di un’opinione strettamente personale di un parroco che non rappresenta nessuno, neanche se stesso». Non rappresenta nessuno, neanche se stesso: in pratica gli ha dato del malato di mente. E allora si è cominciato a capire che la misericordia di cui tanto si parla non riguarda tutti, anzi per qualcuno il giudizio sarà senza alcuna pietà.
Ma la reazione sproporzionata del cardinale Baldisseri si può spiegare con il fatto che a chi cerca di nascondere nella nebbia di tante parole dolci ed espressioni accattivanti il tentativo di modificare la dottrina della Chiesa, a dare maggiormente fastidio è proprio la riproposizione pura e semplice della verità sull’uomo che la Chiesa ha sempre annunciato.
E che questo sia il punto lo conferma l’intervento di un altro cardinale, il canadese Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, che in un’intervista concessa il 25 giugno aWord on Fire (e segnalata dal blog di Sandro Magister) afferma chiaramente che c’è chi sta creando una aspettativa sul cambiamento di dottrina nella Chiesa a riguardo del matrimonio, così come accadde con Paolo VI alla vigilia dell’enciclica Humanae Vitae: «Questo genere di aspettativa – dice il cardinale Collins – si basa sull’idea che la dottrina cristiana sia come la politica di un governo: quando cambiano le circostanze, o quando cambia l’opinione della maggioranza, allora anche la politica cambia». Ma non è così: «La dottrina cristiana è fondata sulla legge naturale che è inscritta da Dio nella nostra natura, e soprattutto sulla parola rivelata da Dio».
E neanche a farlo apposta, richiesto di chiarire l’insegnamento della Chiesa in materia di divorziati risposati, il cardinale Collins usa esattamente le stesse espressioni del povero parroco di Cameri: «I cattolici divorziati e risposati non possono ricevere la santa comunione dal momento che, quali che siano la loro disposizione personale o le ragioni della loro situazione, conosciute forse solo da Dio, essi persistono in una condotta di vita che è oggettivamente in contrasto con il chiaro comando di Gesù. Questo è il punto. Il punto non è che essi hanno commesso un peccato; la misericordia di Dio è abbondantemente assicurata a tutti i peccatori. L’omicidio, l’adulterio e altri peccati, non importa quanto gravi, sono perdonati da Gesù, specialmente attraverso il sacramento della riconciliazione, e il peccatore perdonato riceve la comunione. In materia di divorzio e di secondo matrimonio il problema sta nella consapevole decisione, per le ragioni più diverse, di persistere in una durevole situazione di lontananza dal comando di Gesù».
Anche il cardinale Collins fa dunque un confronto tra la convivenza e peccati gravi quali l’omicidio. Nessuna equiparazione, ma la spiegazione di una differenza, perché uno può accedere alla comunione e l’altro no.
Collins ovviamente non si ferma qui: anche lui – come del resto il parroco di Cameri - è attento ai bisogni e alle sofferenze di chi vive situazioni familiari irregolari, ma la cura pastorale non può essere a scapito della verità: sarebbe «offrire una consolazione nel breve periodo al costo di una grande sofferenza nel lungo periodo».
E a quanti pensano di dover aggiornare la dottrina e il linguaggio perché la gente oggi non capisce più o comunque la maggioranza non segue, il cardinale Collins ricorda che «quando Gesù predicava in Galilea divorzio e secondo matrimonio erano accettati dalla società. La legge di Mosè lo permetteva. L’insegnamento di Gesù, che divorzio e secondo matrimonio non sono ammessi, era rivoluzionario. Era anche un’indicazione con cui affermava la propria divinità, perché solo Dio ha il potere di cambiare la legge di Mosè».
La vicenda del Sinodo dunque, nella sua essenza si giocherà qui: tra chi si pone il problema di elevare ogni uomo a Dio, sostenendolo nella difficoltà del cammino, e chi vuole ridurre il disegno di Dio alla misura dell’uomo, rassegnandolo alla sua mediocrità.
E in ogni caso don Tarcisio potrà chiedere ospitalità all’arcidiocesi di Toronto.
© LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA
domenica 29 giugno 2014
SAN GIOVANNI XXIII E IL CONCILIO VOLEVANO CHE IL LATINO RISPLENDESSE NELLA CHIESA. LA LORO VOLONTÀ È STATA TRADITA
Il 22 febbraio 1962, poco prima di aprire il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII firmò una costituzione apostolica, la Veterum Sapientia, sull’importanza del latino come lingua della Chiesa, di cui di seguito proponiamo alcuni passaggi eloquenti, se non impressionanti letti oggi. Anche il Concilio, nella costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, stabilì che «l'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini» e che «i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario della Messa che spettano ad essi». Una volontà, quella di un pontefice santo e dell’intero episcopato unito a Pietro, che è stata tradita.
dalla Veterum Sapientia:
…la Santa Sede ha gelosamente vegliato sulla conservazione e il progresso della lingua latina e la ritenne degna di usarla essa stessa, «come magnifica veste della dottrina celeste e delle santissime leggi», nell'esercizio del suo magistero, e volle che l'usassero anche i suoi ministri. […]
«La piena conoscenza e l'uso di questa lingua, così legata alla vita della Chiesa, non interessa tanto la cultura e le lettere quanto la Religione», come il nostro Predecessore di immortale memoria Pio XI ebbe ad ammonire; egli, essendosi occupato scientificamente dell'argomento, additò chiaramente tre doti di questa lingua, in modo mirabile conformi alla natura della Chiesa: «Infatti la Chiesa, poiché tiene unite nel suo amplesso tutte le genti e durerà fino alla consumazione dei secoli… richiede per sua natura un linguaggio universale, immutabile, non volgare».
Poiché è necessario, invero, che «ogni Chiesa si unisca nella Chiesa Romana» e, dal momento che i Sommi Pontefici hanno «autorità episcopale, ordinaria e immediata su tutte le Chiese e su ogni Chiesa in particolare, su tutti i pastori e su ogni pastore e sui fedeli» di qualunque rito, di qualunque nazione, di qualunque lingua essi siano, sembra del tutto conseguente che il mezzo di comunicazione sia universale ed uguale per tutti, particolarmente tra la Sede Apostolica e le Chiese che seguono lo stesso rito latino. […]
Ed è necessario che la Chiesa usi una lingua non solo universale, ma anche immutabile. Se, infatti, le verità della Chiesa Cattolica fossero affidate ad alcune o a molte delle lingue moderne che sono sottomesse a continuo mutamento, e delle quali nessuna ha sulle altre maggior autorità e prestigio, ne deriverebbe senza dubbio che, a causa della loro varietà, non sarebbe a molti manifesto con sufficiente precisione e chiarezza il senso di tali verità, né, d'altra parte si disporrebbe di alcuna lingua comune e stabile, con cui confrontare il significato delle altre. Invece, la lingua latina, già da tempo immune da quelle variazioni che l'uso quotidiano del popolo suole introdurre nei vocaboli, deve essere considerata stabile ed immobile, dato che il significato di alcune nuove parole che il progresso, l'interpretazione e la difesa delle verità cristiane richiesero, già da tempo è stato definitivamente acquisito e precisato.
Infine, poiché la Chiesa Cattolica, fondata da Cristo Nostro Signore, eccelle di gran lunga in dignità su tutte le società umane, è sommamente conveniente che essa usi una lingua non popolare, ma ricca di maestà e di nobiltà.
Inoltre, la lingua latina, che «a buon diritto possiamo dire cattolica», poiché è propria della Sede Apostolica, madre e maestra di tutte le Chiese, e consacrata dall'uso perenne, deve essere ritenuta «tesoro di incomparabile valore» e quasiporta attraverso la quale si apre a tutti l'accesso alle stesse verità cristiane, tramandate dagli antichi tempi, per interpretare le testimonianze della dottrina della Chiesa e, infine, vincolo quanto mai idoneo, mediante il quale l'epoca attuale della Chiesa si mantiene unita con le età passate e con quelle future in modo mirabile. […]
Poiché in questo nostro tempo si è cominciato a contestare in molti luoghi l'uso della lingua Romana e moltissimi chiedono il parere della Sede Apostolica su tale argomento, abbiamo deciso, con opportune norme, enunciate in questo documento, di fare in modo che l'antica e mai interrotta consuetudine della lingua latina sia conservata e, se in qualche caso sia andata in disuso, sia completamente ripristinata.
da «Una Vox»
Il Timone
La Madonna, “profeta di sventura”?
Nostra Signora di La Salette
Si sa, la gente non ama i guastafeste, eppure quando accadde l’irreparabile, rimproveriamo Dio di non averci avvisato. Ma non è così. Già prima di Cristo, i profeti più volte hanno messo in guarda il popolo quando, allontanandosi dal giusto cammino, si dirigeva verso il baratro. Ancora oggi il Signore, per mezzo dei suoi santi, dei suoi “semplici” e, soprattutto, di sua Madre, la Beata Sempre Vergine Maria, ci mette all’erta, ci raccomanda di cambiare strada, di convertirci, prima che la misura sia colma e il castigo divino cada sulle nostre teste. Però, oggi come ieri, facciamo “orecchie da mercante”, non ce ne curiamo, perché abbiamo i nostri progetti, i nostri affari, le nostre illusioni da realizzare. Quando sarà troppo tardi, non lamentiamoci: avremo quello che meriteremo.
Vorrei sottoporre alla vostra attenzione alcune profezie che pare si stiano realizzando in questi giorni. Si tratta di due apparizioni mariane, La Salette e Akita, entrambe riconosciute dalla Chiesa, una profezia di S. Gregorio Magno e una di un monaco russo del XVIII, Basilio di Kronstad, sperando che possano far riflettere i lettori della Strega.
LA SALETTE (1846)
La Madonna disse alla veggente Melania Calvat:
«Melania ciò che sto per dirti ora, non resterà sempre segreto; lo potrai pubblicare nel 1858.
I Sacerdoti, ministri di mio Figlio, i sacerdoti con la loro cattiva vita, con la loro irriverenza ed empietà nella celebrazione dei Santi Misteri, con l’amore per i soldi, con l’amore per l’onore ed i piaceri, i sacerdoti sono diventati delle cloache d’impurità. I sacerdoti domandano vendetta, e la vendetta è sospesa sulle loro teste. Guai ai preti e alle persone consacrate a Dio, che con la loro infedeltà e la loro cattiva vita, crocifiggono di nuovo mio Figlio!
I peccati delle persone consacrate a Dio, gridano verso il cielo e richiedono vendetta, ed ecco che la vendetta è alla loro porta, non vi è infatti più alcuno che implori misericordia e perdono per il popolo; non vi sono più anime generose, non vi è più nessuno degno di offrire la Vittima senza macchia all’Eterno in favore del mondo. Dio colpirà in modo senza pari. Guai agli abitanti della terra! Dio darà fondo alla sua collera e nessuno potrà sottrarsi a tanti mali messi insieme.
I capi e i conduttori del popolo di Dio hanno trascurato la preghiera e la penitenza e il demonio ha ottenebrato la loro intelligenza, essi sono diventati delle stelle erranti che il vecchio diavolo trascinerà con la sua coda per farli perire. Dio permetterà al vecchio serpente di mettere divisioni tra i regnanti, in ogni società ed in ogni famiglia. Si soffriranno pene fisiche e morali; Dio abbandonerà gli uomini a se stessi, e manderà dei castighi che si succederanno per oltre trentacinque anni. La Società è alla vigilia dei flagelli più terribili e dei più grandi avvenimenti; ci si deve aspettare di essere governati con una verga di ferro ed a bere il calice della collera di Dio.
Che il Vicario di mio Figlio il Sommo Pontefice Pio IX non esca da Roma dopo il 1859; ma che sia fermo e generoso e combatta con le armi della fede e dell’amore; io sarò con lui. Che non si fidi di Napoleone; il suo cuore è doppio, e allorché vorrà essere simultaneamente Papa ed Imperatore, presto Dio l’abbandonerà ; lui è quell’aquila che volendo sempre più innalzarsi, cadrà sulla spada di cui voleva servirsi per costringere i popoli ad innalzarlo. L’Italia sarà punita per l’ambizione di voler scuotere il giogo del Signore dei Signori; per cui sarà abbandonata alla guerra; il sangue scorrerà per ogni dove; le chiese saranno chiuse o profanate; i preti e i religiosi saranno scacciati, saranno fatti morire e morire di una morte crudele. Diversi abbandoneranno la fede, ed il numero dei preti e dei religiosi che si separeranno dalla vera religione sarà grande; fra queste persone vi saranno anche dei vescovi. Che il Papa si tenga in guardia dai facitori di miracoli, è venuto infatti il tempo in cui sia in aria che sulla terra vi saranno i prodigi più sbalorditivi.
Nell’anno 1864, Lucifero con un gran numero di demoni saranno staccati dall’inferno; essi, piano piano, aboliranno la fede, anche nelle persone consacrate a Dio, li accecheranno in tal modo che, senza una speciale grazia, queste persone finiranno per prendere lo spirito di questi angeli perversi; diverse case religiose perderanno completamente la fede e perderanno molte anime. I libri cattivi abbonderanno sulla terra, e gli spiriti delle tenebre spanderanno dappertutto un rilassamento universale per quel che concerne il servizio di Dio; essi avranno un grandissimo potere sulla natura: vi saranno delle chiese per servire questi spiriti. Delle persone saranno trasportate da un luogo all’altro da questi cattivi spiriti, ed anche dei preti, perché non seguiranno lo spirito del Vangelo che è spirito d’umiltà , di carità e di zelo per la gloria di Dio. Si faranno risuscitare dei morti e dei giusti. (Cioè che questi morti assumeranno la fisionomia delle anime giuste che erano vissute sulla terra per meglio sedurre gli uomini; questi cosiddetti morti risuscitati, che poi non sono altro che il demonio in quelle sembianze, predicheranno un altro Vangelo contrario a quello del vero Gesù Cristo, negando l’esistenza del Cielo ed anche delle anime dei dannati. Tutte queste anime appariranno come unite al loro corpo). In ogni luogo vi saranno prodigi straordinari poiché, essendosi spenta la vera fede, la falsa luce rischiara il mondo.
Guai ai Principi della Chiesa che saranno intenti ad ammassare soltanto ricchezze su ricchezze, a salvare la propria autorità e a dominare con orgoglio! Il Vicario di mio Figlio dovrà soffrire molto, poiché per un certo tempo la Chiesa sarà data a grandi persecuzioni; e questo sarà il tempo delle tenebre; la Chiesa subirà una crisi spaventosa. La santa fede di Dio essendo dimenticata, ogni individuo vorrà guidarsi da solo ed essere superiore ai suoi simili. Saranno aboliti i poteri civili ed ecclesiastici, ogni ordine ed ogni giustizia saranno calpestati; non si vedrà che omicidi, odio, gelosia, menzogna, discordia, senza amore per la patria né per la famiglia.
Il Santo Padre soffrirà molto, Io sarò con lui fino alla fine, per ricevere il suo sacrificio. I cattivi attenderanno diverse volte alla sua vita senza poter nuocere ai suoi giorni; ma né lui né il suo successore… vedranno il trionfo della Chiesa di Dio. I governanti avranno tutti un medesimo progetto, che sarà di abolire e fare scomparire tutti i princìpi religiosi per sostituirli con il materialismo, l’ateismo, lo spiritismo, e ogni sorta di vizi. Nell’anno 1865 si vedrà l’abominio nei luoghi santi; nei conventi i fiori della Chiesa saranno putrefatti e il demonio diventerà come il re dei cuori. Coloro che sono a capo delle comunità religiose si guardino dalle persone che esse devono ricevere, perché il demonio userà tutta la sua malizia per introdurre negli ordini religiosi delle persone dedite al peccato, perché i disordini e l’amore dei piaceri carnali saranno diffusi su tutta la terra.
La Francia, l’Italia, la Spagna e l’Inghilterra saranno in guerra: il sangue scorrerà per le strade; il francese combatterà contro il francese, l’italiano contro l’italiano, vi sarà poi una guerra generale che sarà spaventevole. Per qualche tempo Dio non si ricorderà più della Francia né dell’Italia, perché il Vangelo di Gesù Cristo non è più conosciuto. I malvagi useranno tutta la loro astuzia; ci si ucciderà, ci si massacrerà reciprocamente perfino nelle case. Al primo colpo della Sua spada fulminante le montagne e la natura tutta tremeranno di spavento perché i disordini e i crimini degli uomini trafiggono la volta celeste. Parigi sarà bruciata e Marsiglia inghiottita; molte grandi città saranno scosse e inghiottite da terremoti; si crederà che tutto è perduto; non si vedranno che omicidi; non si sentiranno che colpi d’arma e bestemmie.
I giusti soffriranno molto, le loro preghiere, la loro penitenza e le loro lacrime saliranno fino al Cielo e tutto il popolo di Dio chiederà perdono e misericordia e chiederà il Mio aiuto e la Mia intercessione. Allora Gesù Cristo con un atto della Sua misericordia grande per i giusti comanderà ai Suoi angeli che tutti i Suoi nemici siano messi a morte. Improvvisamente i persecutori della Chiesa di Gesù Cristo e tutti gli uomini dediti al peccato moriranno e la terra diventerà come un deserto. Allora si farà la pace, la riconciliazione di Dio con gli uomini; Gesù Cristo sarà servito, adorato e glorificato; dappertutto fiorirà la carità.
I nuovi re saranno il braccio destro della Santa Chiesa, che sarà forte, umile, pia, povera, zelante e imitatrice delle virtù di Gesù Cristo. Il Vangelo sarà predicato dappertutto e gli uomini faranno grandi progressi nella fede perché vi sarà unità tra gli operai di Gesù Cristo e perché gli uomini vivranno nel timore di Dio. Questa pace tra gli uomini non sarà lunga: venticinque anni di abbondanti raccolti faranno loro dimenticare che i peccati degli uomini sono causa di tutte le pene che arrivano sulla terra.
Un precursore dell’anticristo, con le sue truppe di parecchie nazioni, combatterà contro il vero Cristo, il solo Salvatore del mondo, egli spargerà molto sangue e vorrà annientare il culto di Dio per farsi guardare come un Dio. La terra sarà colpita da ogni sorta di piaghe, (oltre la peste e la carestia che saranno dovunque), vi saranno delle guerre fino all’ultima guerra, che sarà allora fatta da dieci re dell’anticristo, i quali re avranno tutti lo stesso progetto e saranno i soli a governare il mondo. Prima che ciò succeda vi sarà una specie di falsa pace nel mondo; non si penserà che a divertirsi; i malvagi si abbandoneranno a ogni sorta di peccato; ma i figli della Santa Chiesa, i figli della fede, i miei veri imitatori crederanno nell’amore di Dio e nelle virtù che mi sono più care. Felici le anime umili guidate dallo Spirito Santo! Io combatterò con esse fino a che esse saranno nella pienezza dell’età.
La natura chiede vendetta per gli uomini ed essa freme di spavento nell’attesa di ciò che deve arrivare alla terra insudiciata dai crimini. Tremate terra e voi che fate professione di adorare Gesù Cristo e che dentro di voi adorate solo voi stessi; tremate perché Dio sta per consegnarvi al Suo nemico, perché i luoghi santi sono nella corruzione, molti conventi non sono più le case di Dio, ma i pascoli di Asmodeo e dei suoi. Sarà durante questo tempo che nascerà l’anticristo da una religiosa ebrea, da una falsa vergine che sarà in comunicazione con il vecchio serpente, il padrone dell’impurità; suo padre sarà Vescovo, nascendo vomiterà delle bestemmie, egli avrà dei denti, in una parola sarà il diavolo incarnato; egli lancerà delle grida spaventose, farà dei prodigi, non si nutrirà che di impurità. Egli avrà dei fratelli che, sebbene non siano dei demoni incarnati come lui, saranno dei figli del male; a dodici anni essi si faranno notare per le prodi vittorie che otterranno; presto essi saranno ognuno alla testa degli eserciti assistiti dalle legioni dell’inferno.
Le stagioni saranno cambiate, la terra non produrrà che frutti cattivi, gli astri perderanno i loro movimenti regolari, la luna non rifletterà che una debole luce rossastra; l’acqua e il fuoco daranno al globo terrestre dei movimenti convulsi e degli orribili terremoti che inghiottiranno delle montagne, delle città.
Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’anticristo.
I demoni dell’aria con l’anticristo faranno dei grandi prodigi sulla terra e nell’aria e gli uomini si pervertiranno sempre più.
Dio avrà cura dei suoi fedeli servitori e degli uomini di buona volontà; il Vangelo sarà predicato dappertutto, tutti i popoli e tutte le nazioni conosceranno la verità. Io rivolgo un appello urgente alla terra; Io chiamo i veri imitatori di Cristo fatto uomo, il solo e vero Salvatore degli uomini; Io chiamo i miei figli, i miei veri devoti, quelli che si sono dati a Me perché io li conduca dal Mio divin Figlio, quelli che Io porto, per così dire, nelle mie braccia, quelli che sono vissuti del Mio Spirito; infine Io chiamo gli Apostoli degli ultimi tempi, i discepoli di Gesù Cristo che sono vissuti nel disprezzo del mondo e di loro stessi, nella povertà e nell’umiltà, nel disprezzo e nel silenzio, nella preghiera e nella mortificazione, nella castità e nell’unione con Dio, nella sofferenza e sconosciuti al mondo. È tempo che escano e vengano ad illuminare la terra. Andate e mostratevi come i miei cari figli; Io sono con voi e in voi purché la vostra fede sia la luce che vi illumina in questi giorni di disgrazia. Che il vostro zelo vi renda come gli affamati per la gloria e l’onore di Gesù Cristo.
Combattete, figli della luce, voi, piccolo numero che ci vedete, perché ecco il tempo dei tempi, la fine delle fini. La Chiesa sarà eclissata, il mondo sarà nella costernazione. Ma ecco Enoch ed Elia riempiti dello Spirito di Dio; essi predicheranno con la forza di Dio e gli uomini di buona volontà crederanno in Dio e molte anime saranno consolate; essi faranno grandi progressi per virtù dello Spirito Santo e condanneranno gli errori diabolici dell’anticristo. Sciagura agli abitanti della terra!
Vi saranno guerre spaventose e carestie; pesti e malattie contagiose; pioverà una grandine spaventosa di animali; tuoni che scuoteranno le città; terremoti che inghiottiranno paesi; si udiranno delle voci nell’aria; gli uomini batteranno la testa contro i muri, essi chiameranno la morte, da un’altra parte la morte li supplizierà; il sangue scorrerà da ogni parte. Chi potrà vivere se Dio non diminuirà il tempo della prova ? Dal sangue, dalle lacrime e dalle preghiere dei giusti Dio si lascerà placare; Enoch ed Elia saranno messi a morte; Roma pagana sparirà; il fuoco del cielo cadrà e distruggerà tre città; tutto l’universo sarà colpito dal terrore e molti si lasceranno sedurre perché essi non hanno adorato il vero Cristo vivente tra loro. È tempo, il sole si oscura; la fede sola vivrà.
Ecco il tempo, l’abisso si apre. Ecco il re delle tenebre. Ecco la bestia con i suoi sudditi, sedicente salvatore del mondo. Egli si alzerà con orgoglio nell’aria per andare fino al Cielo; egli sarà soffocato dal respiro di San Michele Arcangelo. Egli cadrà e la terra che da tre giorni sarà in continue evoluzioni, aprirà il suo seno pieno di fuoco; egli sarà sprofondato per sempre con tutti i suoi nei baratri eterni dell’inferno. Allora l’acqua e il fuoco purificheranno la terra e consumeranno tutte le opere dell’orgoglio degli uomini e tutto sarà rinnovato: Dio sarà servito e glorificato»
[Mons. Antonio Galli, "Scoperti in Vaticano i segreti de La Salette. L'apparizione, le polemiche, le profezie apocalittiche", pp. 176 - Euro 16,50 - ISBN 978-88-7198-525-1 ]
AKITA (1973)
La Madonna disse alla veggente Suor Agnese Sasagawa:
«Molti uomini in questo mondo fanno soffrire il Signore. Io desidero anime che lo consolino per placare la collera del Padre Celeste. Desidero, con Mio Figlio, anime che dovranno riparare, per mezzo della loro sofferenza e della loro povertà, per i peccatori e gli ingrati. Affinché il mondo possa conoscere la Sua ira, il Padre Celeste si sta preparando a infliggere un grande Castigo su tutta l’umanità. Con Mio Figlio sono intervenuta tante volte per placare l’ira del Padre. Ho impedito l’arrivo di calamità offrendogli le sofferenze del Figlio sulla Croce, il Suo prezioso sangue e le anime dilette che Lo consolano formando una schiera di anime vittime. Preghiera, penitenza e sacrifici coraggiosi possono attenuare la collera del Padre. Io desidero anche questo dalla vostra comunità…che ami la povertà, che si santifichi e preghi in riparazione per l’ingratitudine e le offese di tanti uomini» (3 agosto).
«Come ti ho detto, se gli uomini non si pentiranno e non miglioreranno se stessi, il Padre infliggerà un terribile castigo su tutta l’umanità. Sarà un castigo più grande del Diluvio, tale come non se ne è mai visto prima. Il fuoco cadrà dal cielo e spazzerà via una grande parte dell’umanità, i buoni come i cattivi, senza risparmiare né preti né fedeli. I sopravvissuti si troveranno così afflitti che invidieranno i morti. Le sole armi che vi resteranno sono il Rosario e il Segno lasciato da Mio Figlio. Recitate ogni giorno le preghiere del Rosario. Con il Rosario pregate per il Papa, i vescovi e i preti. L’opera del diavolo si insinuerà anche nella Chiesa in una maniera tale che si vedranno cardinali opporsi ad altri cardinali, vescovi contro vescovi. I sacerdoti che mi venerano saranno disprezzati e ostacolati dai loro confratelli… chiese ed altari saccheggiati; la Chiesa sarà piena di coloro che accettano compromessi e il Demonio spingerà molti sacerdoti e anime consacrate a lasciare il servizio del Signore. Il demonio sarà implacabile specialmente contro le anime consacrate a Dio. Il pensiero della perdita di tante anime è la causa della mia tristezza. Se i peccati aumenteranno in numero e gravità, non ci sarà perdono per loro. [...] Solo io posso ancora salvarvi dalle calamità che si approssimano. Coloro che avranno fiducia in me saranno salvati» (13 ottobre).
["The Woman and the Dragon - Apparitions of Mary" di David M. Lindsey, Pelican Publishing Company]
PROFEZIE DI BASILIO DI KRONSTAD
Nel XVIII secolo, a San Pietroburgo, questo mondo ortodosso fece diverse profezie, tra cui la seguente:
«Quando il vescovo di Roma assumerà due nomi un impero sarà prossimo a crollare: quello della bestemmia. Ma sarebbe follia esultare di gioia, perché non sarà la fine ma l’inizio dei dolori: lo spettro cupo della miseria volteggierà nel cielo come nube impazzita e getterà ombra su molti popoli. Mancherà il pane anche nei paesi ricchi, le guerre strisceranno sulla terra come serpenti velenosi: tutto rovinerà perché tutti parleranno d’amore, ma nessuno conoscerà più l’amore per il prossimo. I cristiani saranno numerosi, ma avranno dimenticato la legge cristiana e la loro fede sarà di parole. Ai patriarchi, al vescovo di Roma che bagnerà la terra con il suo sangue, il cielo affiderà il compito di riportare la Chiesa alle origini. Sarà questo il momento di abbandonare i palazzi per ritornare nell’umiltà, nella pace delle catacombe, di rivivere la chiesa dei martiri della fede. La salvezza verrà da pochi, ma santi. Se non germoglierà l’amore, cadrà un secondo impero e con lui Roma.
Sul vitello d’oro cadranno le stelle, ed egli diventerà cenere. Un impero cadrà e una piramide verrà scrollata dal terremoto, perché dell’Eterno è stato fatto uso blasfemo. L’oro diventerà polvere e la polvere oro: il paese nei cui fiumi scorre il miele diventerà il paese della fame, ove troveranno casa Caino e Abele. Delle stelle non rimarrà niente. Nel tempo in cui verrà demolito il vitello d’oro (sarà questo il tempo della bestia marina) vedrete segni in cielo e interra. Il sole cambierà strada e la luna si perderà tra i monti, le stelle pioveranno sulla terra e da Oriente uscirà una voce che si udrà sino a Occidente. Montagne invisibili passeranno nel cielo e, quando una di queste si vedrà , mancherà il tempo della preghiera. Sentirete allora il pianto di mille madri, perché mille uomini saranno schiacciati dalla montagna. Nel tempo della bestia marina il cielo invierà i suoi messaggi affinché nessun uomo giunga impreparato all’appuntamento finale. Legioni di Santi appariranno tra le nubi del cielo, quando la terra sarà assediata da Satana. Gli angeli parleranno agli uomini, ma pochi saranno capaci di udire la loro voce, e pochi di vedere le visioni angeliche. Milioni di spiriti celesti popoleranno il cielo e milioni di spiriti infernali la terra: i primi vestiti di luce, i secondi di egoismo e cattiveria. Nel giorno dei tre Santi, gli spiriti luminosi scenderanno sulla terra per portare la corona della giustizia e si udrà un pianto disperato nella valle del vitello d’oro».
["Il mistero di San Pietroburgo", Renzo Baschera, Mondadori Editore, 1992]
PROFEZIE DI SAN GREGORIO MAGNO
Durante una predica sugli ultimi tempi, il grande pontefice, tra l’altro, disse:
«La Chiesa sarà come Giobbe sofferente, esposto alle perfide insinuazioni di sua moglie e alle critiche amare dei suoi amici; egli, davanti al quale gli anziani si alzavano e i principi tacevano!
La Chiesa verso la fine del suo pellegrinaggio, sarà privata del suo potere temporale; si cercherà di toglierle ogni punto d’appoggio sulla terra. Ma dice di più e dichiara che essa sarà spogliata dello sfarzo stesso che deriva dai doni soprannaturali. Il potere dei miracoli sarà ritirato, la grazia delle guarigioni tolta, la profezia sarà scomparsa, il dono di una lunga astinenza sarà diminuito, gli insegnamenti della dottrina taceranno, i prodigi miracolosi cesseranno. Così dicendo non si vuole dire che non ci sarà più nulla di tutto questo; ma tutti questi segni non brilleranno più apertamente e sotto mille forme come nei primi secoli.
Sarà anche l’occasione di un meraviglioso discernimento. In questo stato umiliato della Chiesa, aumenterà la ricompensa dei buoni, che aderiranno a lei unicamente in vista dei beni celesti; quanto ai malvagi, non vedendo più in lei alcuna attrattiva temporale, non avranno nulla da nascondere, si mostreranno quali sono».
["La Santa Chiesa", di P. Emmanuel Andrè, 1997]
Concludiamo con le parole del santo apostolo Paolo: «Non disprezzate le profezie» (1Ts 5,20). Soprattutto, ascoltiamo e amiamo la Madonna, Madre di Dio e nostra
Cose da pazzi. Il cardinale Collins e il curato di campagna
Dopo Müller, Brandmüller, Caffarra e De Paolis, un altro cardinale è sceso in campo alla grande contro le tesi pro comunione ai divorziati risposati sostenute dal loro collega teologo Walter Kasper nel concistoro dello scorso febbraio.
È il canadese Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, 66 anni, cardinale dal 2012 e stella emergente del sacro collegio, tra l’altro chiamato da papa Francesco a far parte della rinnovata commissione cardinalizia di sovrintendenza sullo IOR.
Il cardinale Collins è intervenuto sulla questione in un’ampia intervista a Brandon Vogt per il blog cattolico americano “The Word on Fire”, pubblicata il 25 giugno, vigilia della diffusione dell’”Instrumentum laboris“, cioè del testo base del prossimo sinodo sulla famiglia:
> Marriage, Divorce, and Communion
In un passaggio dell’intervista, Collins argomenta così l’impossibilità di dare la comunione ai divorziati risposati:
“I cattolici divorziati e risposati non possono ricevere la santa comunione dal momento che, quali che siano la loro disposizione personale o le ragioni della loro situazione, conosciute forse solo da Dio, essi persistono in una condotta di vita che è oggettivamente in contrasto con il chiaro comando di Gesù. Questo è il punto. Il punto non è che essi hanno commesso un peccato; la misericordia di Dio è abbondantemente assicurata a tutti i peccatori. L’omicidio, l’adulterio e altri peccati, non importa quanto gravi, sono perdonati da Gesù, specialmente attraverso il sacramento della riconciliazione, e il peccatore perdonato riceve la comunione. In materia di divorzio e di secondo matrimonio il problema sta nella consapevole decisione, per le ragioni più diverse, di persistere in una durevole situazione di lontananza dal comando di Gesù. Sebbene non sia giusto per loro ricevere i sacramenti, dobbiamo trovare migliori vie per aiutare le persone che si trovano in questa situazione, per offrire loro una cura amorevole.
“Un elemento di possibile aiuto sarebbe che tutti noi capissimo che non è obbligatorio ricevere la comunione quando si va a messa. Sono molti i motivi per i quali un cristiano può decidere di non ricevere al comunione. Se ci fosse minore pressione perché ciascuno riceva la comunione, ciò sarebbe d’aiuto per coloro che non sono in condizione di farlo”.
E ancora:
“Dobbiamo riflettere su che cosa possiamo fare per aiutare le persone che si trovano in questa situazione, in forme amorevoli ed efficaci. Ma facendo questo, dobbiamo anche essere fedeli al comando di Gesù e alla necessità di non mettere a rischio al santità del matrimonio, con le più gravi conseguenze per tutti, specialmente in un mondo in cui la stabilità del matrimonio è già tragicamente compromessa. Se noi dessimo prova con i fatti, se non con le parole, che il patto matrimoniale non è effettivamente quello che Gesù dice che è, ciò offrirebbe un sollievo solo momentaneo, al prezzo di una sofferenza di lunga durata. Se la santità del patto matrimoniale fosse progressivamente indebolita, alla fine sarebbero i figli a soffrire di più”.
Ma nell’intervista Collins dice molto più di quanto qui riportato. Verso la fine egli fa anche un parallelo tra le aspettative di cambiamento che precedettero la “Humanae vitae” di Paolo VI e quelle – a suo giudizio altrettanto infondate – che precedono il prossimo sinodo:
“Negli anni che precedettero l’enciclica di papa Paolo VI che ha riaffermato il costante insegnamento cristiano che la contraccezione non è in accordo con la volontà di Dio, c’era la diffusa aspettativa che la Chiesa stesse per cambiare il suo insegnamento. Questo tipo di aspettativa era basata per una certa parte sull’idea che la dottrina cristiana è come la politica di un governo: quando le circostanze cambiano, o quando più gente sostiene un’alternativa invece di un’altra, allora la politica cambia.
“Ma l’insegnamento cristiano è fondato sulla legge naturale che è scritta nei nostri cuori da Dio, e specialmente sulla parola rivelata di Dio. Noi scopriamo la volontà di Dio, e le Scritture e la fede vivente della Chiesa ci aiutano a fare ciò. Noi non modelliamo la volontà di Dio secondo ciò che attualmente ci pare meglio.
“Così, quando papa Paolo VI non cambiò ciò che non era nei suoi poteri cambiare, ma riaffermò la fede cristiana, molta, molta gente fu contrariata, e semplicemente decise di ignorare l’insegnamento. Questa è la nostra situazione presente. Io spero davvero che non abbiamo a soffrire una ripetizione di questo, mentre si diffondono infondate aspettative riguardo a un cambiamento da parte della Chiesa dell’esplicito insegnamento di Gesù sul matrimonio”.
Una curiosità. Come s’è visto sopra, anche il cardinale Collins, per spiegare l’impossibilità di dare la comunione ai divorziati risposati, fa il paragone tra la loro situazione di perdurante e consapevole “lontananza dal comando di Gesù” e quella di un colpevole di altro peccato anche gravissimo come l’omicidio, che però, pentito, può essere assolto e riammesso alla comunione.
La curiosità è che questo stesso paragone, fatto negli stessi giorni dal parroco di Cameri nella diocesi di Novara, don Tarcisio Vicario, ha invece esposto costui al pubblico ludibrio da parte del cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del sinodo, che il 26 giugno ha definito le parole del sacerdote come “una pazzia, un’opinione strettamente personale di un parroco che non rappresenta nessuno, neanche se stesso”.
Il giorno precedente anche il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, s’era sentito in dovere di “una netta presa di distanza sia dai toni che dai contenuti del testo” di quel suo parroco, a motivo della “inaccettabile equiparazione, pur introdotta come esempio, tra convivenze irregolari e omicidio. L’esemplificazione, anche se scritta tra parentesi, risulta inopportuna e fuorviante, e quindi errata”.
Per la precisione, ecco le parole testuali del malcapitato curato: “Per la Chiesa, che agisce in nome del Figlio di Dio, il matrimonio tra battezzati è solo e sempre un sacramento. Il matrimonio civile e la convivenza non sono un sacramento. Pertanto chi si pone al di fuori del sacramento contraendo il matrimonio civile vive una infedeltà continuativa. Non si tratta di un peccato occasionale (per esempio un omicidio), né di una infedeltà per leggerezza o per abitudine che la coscienza richiama comunque al dovere di emendarsi attraverso un pentimento sincero e il proposito vero e fermo di allontanarsi dal peccato e dalle occasioni che conducono ad esso”.
Il cardinale Collins non ha detto niente di diverso. Una “pazzia” anche la sua?
sabato 28 giugno 2014
Sui F.I.: il papa sa la verità?
di Luisella
Ogni volta che qualcuno tenta di mostrare la “ragionevolezza” del commissariamento dei Frati Francescani dell’Immacolata, finisce per aprire una falla più grande del buco che si voleva chiudere. E paradossalmente rafforza l’idea che la vera ragione che sta dietro al commissariamento dei frati sia quella di un “conto da regolare” da parte di qualcuno.
Un recente articolo (http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/francesco-francis-francisco-34860/, 23-6-2014) ne è l’ennesima conferma.
Intanto, per la cronaca, è interessante notare che tra la sessantina di frati presenti all’incontro del Papa, mancavano delle presenze significative, tra le quali quella di due “personaggi” di un certo rilievo, quanto alla rappresentatività
dell’Istituto: i fondatori. Ma siccome erano probabilmente troppo lontani per essere avvisati in tempo per l’incontro con il Santo Padre, soprassediamo.
Dunque, ricordiamo che tra le paranoie della nuova guardia dei FI c’è quella di aver salvato l’istituto da una deriva lefebvriana, ribadita dallo stesso Tornielli, quando ricorda che tra le motivazioni del commissariamento c’è “l‘uso divenuto ormai quasi esclusivo del messale antico e l’interpretazione dell’ultimo Concilio”.
Riguardo all’interpretazione del Vaticano II, il Papa ha espresso la propria personale opinione sul fatto che Mons. Marchetto sia il migliore interprete del Concilio. Bene. Guarda a caso Mons. Marchetto era uno dei relatori del Convegno sul Vaticano II organizzato dai FFI “gestione Manelli”, nel 2010. Il Papa ha inoltre ribadito autorevolmente che la corretta linea interpretativa del Concilio è quella tracciata da Benedetto XVI nel discorso alla Curia romana del dicembre 2005, esortando a proseguire con una ermeneutica teologica e non ideologica del Concilio. E sempre per caso, uno dei frati “silurati” dal nuovo regime dei FI, p. Serafino Lanzetta, è autore di una tesi dottorale, da pochissimo edita per la stampa, che, secondo la presentazione che ne fa il Direttore di ricerca, prof. Don Manfred Hauke, si mette proprio nella linea dell’ermeneutica della riforma, cercando di evitare – lo dice esplicitamente – rotture di “destra” e di “sinistra”.
Dunque i FI erano già indirizzati nella linea indicata da papa Francesco, ma evidentemente al Papa dev’essere stato riferito altro. E non solo al Papa, visto che Tornielli, in perfetta buona fede, in conclusione al suo articolo, ha riportato la falsa notizia di un frate che se ne sarebbe andato via dall’Istituto per il fatto di non accettare il Vaticano II. La notizia è stata riferita al giornalista in modo subdolo, per convincere ulteriormente l’opinione pubblica che i FI “gestione Manelli” stavano diventando un covo di cripto-lefebvriani. Tant’è vero che lo stesso Tornielli, il 26 giugno, ha dovuto togliere il riferimento al Vaticano II: evidentemente si sarà accorto di esser stato ingannato ancora una volta – dopo la vicenda dei numeri legati al famoso questionario- dai suoi informatori…
Circa la questione del rito antico, visto che non si vuole tenere in considerazione quanto scritto in contrario ad abundantiam, facciamo una proposta seria ed onesta: si provi a fare un’indagine su quante effettivamente fossero le comunità dei FI che, al momento del commissariamento, stavano utilizzando solo il rito antico, quante solo il nuovo e quante entrambi. Dagli annuari risulta, per esempio, che nel 2012, in Italia 15 case su 21 celebrano anche secondo il rito di San Pio V: “anche” e non “esclusivamente” (se si eccettua il Ritiro mariano di Amandola). Quindi 6 case su 21 hanno solo la forma ordinaria, 15 entrambe e una sola il rito tridentino esclusivo. Nella delegazione filippina sono 3 su 6 le case che adottano anche il rito antico; negli Usa 3 su 5 Come si fa ancora a parlare di uso “quasi esclusivo” del messale antico?
Se il Papa, com’è giusto, ha spiegato che ci dev’ essere libertà “sia per chi vuole celebrare con l’antico, sia per chi vuole celebrare col nuovo rito, senza che il rito diventi una bandiera ideologica”, ciò significa che la versione dei fatti che gli è stata presentata è stata quella di una manica di fanatici del Rito antico, desiderosi di arrivare ad imporlo come rito unico. Ma anche qui, non solo i numeri, come si è visto, ma anche i fatti dicono ben altro.
Infatti, qualche anno fa, prima del commissariamento, si era si era verificata l’uscita di un novizio, per il fatto che non accettava il biritualismo, cioè l’effettiva celebrazione con entrambe le forme del rito romano; ed infatti questo novizio andò a rifugiarsi nella Fraternità sacerdotale san Pio X, per poter evitare il Novus Ordo. Ci fu anche il caso di un aspirante allontanato, sempre per il motivo che non riconosceva la legittimità della forma ordinaria.
Dunque, per l’ennesima volta, i fatti non solo smentiscono la campagna mediatica orchestrata dai dissidenti interni, ma dimostrano che la linea adottata dai Fondatori sia sul Vaticano II, sia sull’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, era esattamente quella indicata da Benedetto XVI e confermata da papa Francesco. Ma quanto stiamo scrivendo da tempo su questo blog, sarà mai arrivato alla lettura del Papa? Oppure l’unica versione dei fatti è quella in salsa Volpi-Bruno?
A questo punto pongo ancora una domanda aperta e fraterna ad Andrea Tornielli: perché non intervistare i fondatori? Perché non dare loro la possibilità di dire come effettivamente stanno le cose? Perché non favorire un loro incontro con il Santo Padre?
Libertà e Persona
venerdì 27 giugno 2014
ATTO DI CONSACRAZIONE AL SACRO CUORE DI GESU'
(di Santa Margherita Maria Alacoque)
Io (nome e cognome), dono e consacro al Cuore adorabile di nostro Signore Gesù Cristo la mia persona e la mia vita, (la mia famiglia/il mio matrimonio), le mie azioni pene e sofferenze, per non voler più servirmi d'alcuna parte del mio essere, che per onorarlo, amarlo e glorificarlo.E' questa la mia volontà irrevocabile: essere tutto suo e fare ogni cosa per suo amore, rinunciandi di cuore a tutto ciò che potrebbe dispiacergli.
Ti scelgo, o Sacro Cuore, come unico oggetto del mio amore, come custode della mia via, pegno della mia salvezza, rimedio della mia fragilità e incostanza, riparatore di tutte le colpe della mia vita e rifugio sicuro nell'ora della mia morte. Sii, o Cuore di bontà, la mia giustificazione presso Dio, tuo Padre, e allontana da me la sua giusta indignazione. O Cuore amoroso, pongo tutta la mia fiducia in te, perchè temo tutto dalla mia malizia e debolezza, ma spero tutto dalla tua bontà.
Consuma, dunque, in me quanto può dispiacerti o resisterti; il tuo puro amore s'imprima profondamente nel mio cuore, in modo che non ti possa più scordare o essere da te separato.Ti chiedo, per la tua bontà, che il mio nome sia scritto in te, poichè voglio concretizzare tutta la mia felicità e la mia gloria nel vivere e morire come tuo servo.
Amen.
giovedì 26 giugno 2014
Verso un cattolicesimo post-cristiano?
Nicodemo Grabber
Dove sta andando la Cattolicità? E’ domanda, non solo lecita, ma doverosa per chi non abbia abdicato alla propria intelligenza e abbia a cuore la Dottrina di Verità con quella civiltà che ne costituisce l’esito sociale e culturale.
Non è un riandare a recenti polemiche o un giudicare le parole e l’agire di papa Francesco. [...] Piuttosto, con la semplicità dei bambini, desideriamo condividere, come tra amici, quanto ci spaventa dandoci il tormento di giorno e di notte. Dire a chi ci è fratello e a chi ci è padre nella fede qual è la nostra paura.
Come un bimbo, intendiamo puntare il dito verso le ombre che ci inquietano, dire ciò che temiamo possa avvenire in un domani non troppo lontano se non vi si pone rimedio.
Un domani che forse è già oggi! [...]
Dove sta andando la Cattolicità? Diciamo Cattolicità e non Chiesa per fugare ogni dubbio circa la nostra fede nel non praevalebunt e quindi il nostro interrogarci spaventati circa la componente sociale dell’ecclesia, non già riguardo l’indefettibile Sposa di Cristo nel suo aspetto ontologico.
Che la Chiesa, da 50 anni, viva una profonda crisi è cosa nota e, ormai, riconosciuta da molti, anche insospettabili.
Crisi di fedeltà al Magistero, di vocazioni, di disciplina, di vita religiosa (in quanti conventi il Tabernacolo è stato sostituito dalla TV con suore e frati che trascorrono ore e ore a rincitrullirsi davanti al piccolo schermo invece che pregare in cappella?), crisi spirituale, intellettuale e morale. Che la cultura cattolica sia sempre più marginale e inquinata è altrettanto evidente. Che la civiltà cattolica (quella, per intendersi, nota come Christianitas e di cui Pio XII cercò di farsi restauratore dopo gli orrori degli anni 30 e 40) sia ormai morta è affermazione lapalissiana.
Ma questo è passato e presente, un passato/presente di rovine su cui hanno scritto già molti. Dove, allora, il funesto presagio? Dove il nuovo e imminente male? Non un male nuovo, piuttosto una nuova tappa di quella Rivoluzione occultamente penetrata nel Popolo di Dio e a cui il santo papa Pio X dedicò l’enciclica Pascendi e il decreto Lamentabili.
Una sorta di fede debole speculare al pensiero debole della post-modernità, come dire: un post-Cristianesimo. Un post-Cristianesimo di cui si possono già riconoscere le due correnti estreme, la calda e la fredda. Coglierne i tratti specifici non sarà inutile, non tanto per l’importanza in sé di queste posizioni estreme, quanto piuttosto per cogliere le linee di tendenza di cui sono avanguardia.
Correnti diverse per temperatura ma non per sostanza, correnti della stessa acqua perché comune è la sorgente soggettivista e uguale l’esito: un superamento del Cristianesimo storicamente dato in un nuovo Cristianesimo non più vincolato ad un patrimonio di dottrine oggettive divinamente rivelate, ovvero in un post-Cristianesimo.
La corrente calda è visibile nel variegato mondo del carismatismo (che và ben oltre il numero di quelle realtà che tali si definiscono; comprende tutto quel che si muove in ambito cattolico offrendo un primato dell’emotivo e una riduzione della fede a esperienza indipendentemente dalla ragione e, spesso anche senza mediazione istituzionale), di una “fede” spesso ridotta alla fede fiduciale, ad un sentire, ad un particolare darsi di emozioni. Fenomeno religioso post-moderno per eccellenza!
Il Cristianesimo non è più adesione alla Verità ma esperienza di qualcosa, una emergenza psicologica che risponde a bisogni soggettivi spesso subcoscienti. E’ un credere a cosa? A Chi? E’ piuttosto un provare qualcosa, un fare esperienza, un sentire. E’ la succursale in casa cattolica di quel neo-pentecostalismo che, in una miriade di sette, costituisce l’ultimo esito del protestantesimo, esito che si fatica, in molti casi, persino a riconoscere come ancora cristiano.
Vi è poi la corrente fredda, di cui ad es. l’ultimo libro di Vito Mancuso è campione illuminante e che tra il clero vede sinistramente brillare molti gesuiti, di chi scientemente lavora ad un superamento del dogma, ad una religione funzionale ai pretesi bisogni dell’uomo. E’ la corrente che rifugge il soprannaturale, vuole “smitizzare” il Cristianesimo, superare il dogma relativizzandolo quale prodotto d’un’epoca e formalizzazione di istanze soggettive. E’ tutto il vasto movimento che vuole ripensare il Cristianesimo come antropocentrismo radicale e la Chiesa come coscienza umanitaria mondiale. E’ quell’arcipelago di eresie che oscilla sempre tra un cristismo indifferente a Nostro Signore Gesù Cristo e un gesuismo dove il Nazzareno non è più il Logos eterno incarnato.
Le due correnti non si toccano, anzi chi nuota nell’una disprezza istintivamente quanti nuotano nell’altra. Per il freddo teologo il carismatico infuocato sarà un invasato da compatire mentre per l’esaltato che “fa esperienza dello Spirito” l’esegeta demitizzante o il teologo post-moderno saranno dei miscredenti. Tuttavia vi è una sinistra eterogenesi dei fini che congiunge le due correnti, come comune è la sorgente. La messa tra parentesi del dogma, della Verità per un soggettivismo, che fa da perno in entrambe. Un “Cristianesimo” senza Logos, la frattura tra fede e ragione, un Cristianesimo post-moderno ovvero un post-Cristianesimo.
In questo quadro sembra dimenticata la gran massa dei cattolici, la grande corrente, la corrente placida e intellettualmente conformista dei cattolici di parrocchia, di chi legge Famiglia Cristiana e manda i figli in oratorio. Magari ci fosse d’aiuto a vincere la paura! Magari guardare a questo vasto mondo ci consolasse e rassicurasse! Purtroppo non è così, anzi l’effetto panico dell’incubo si acuisce. Perché tutto sembra proprio indicare il baratro.
Chi abbia un minimo di esperienza del “cattolicesimo medio di parrocchia” sa bene che questa corrente grande è oggi, molto spesso, corrente tiepida.
[...] E’ il ventre molle che tutto irenicamente accoglie depotenziando ed edulcorando, non è calda perché è anche un po’ fredda e non è fredda perché è anche un po’ calda: è semplicemente tiepida!
Ma con la calda e la fredda, di cui è media, condivide il soggettivismo imperante, l’irrazionalismo emotivista, l’indifferenza (pratica) al dogma, un sostanziale relativismo etico nobilitato da etichette posticce di “carità – misericordia – accoglienza” che nulla dicono ormai dell’antico loro significato cristiano. L’incubo si fa claustrofobia, sembra non esserci scampo, non esserci speranza. Manca l’aria!
Il pastoralismo delle gerarchie post-conciliari, con tutto il portato di ambiguità dottrinali e gravi omissioni d’esercizio dell’autorità, non è che la versione burocratica e teologizzata della fiacchezza e tiepidezza che domina la grande corrente, irenica, sincretica, stanca.
E già si vedono i tristi frutti! Già il raccolto di quanto fu seminato negli anni 60 dice, a chi solo abbia gli occhi per guardare e l’onestà di non mentire a se stesso, la cattiva qualità del seme. Paolo VI parlò di autodemolizione della ChiesaJ, Giovanni Paolo II di apostasia silenziosa, Benedetto XVI della Chiesa come barca che sembra affondare. Sfido a chiamarli buoni frutti!
Ma ora si preannuncia l’impollinazione di ancor peggiore malerba, una ibridazione del Cristianesimo tale da mutarlo di specie! Questo è l’incubo che ci toglie il sonno.
Eravamo abituati a parlare di crisi della pratica religiosa avvalendoci del concetto sociologico di “credenti non praticanti”, fenomeno più morale che dottrinale.
Eravamo abituati a parlare del diffondersi di eresie nel Popolo di Dio, sin dentro i Seminari, tra il clero, tra l’episcopato, etc.
Tutto ciò è ancora tristemente attuale ma anche superato da una nuova tappa del processo di autodemolizione. Tappa che la categoria sociologica di “praticanti non credenti” coglie solo in parte. Coglie un aspetto, la scissione tra il vivere nella Chiesa e l’aderire alla Dottrina cattolica, ma non in tutta la sua radicalità. E’ forse il caso di iniziare a parlare di un neo-cattolicesimo, di un cattolicesimo post-cristiano.
L’espressione sarebbe auto contraddittoria se si desse al termine cattolicesimo il significato classico implicante il dato dogmatico della Dottrina ricevuta, custodita e trasmessa inalterata dalla Chiesa.
Ma oggi un tale significato del termine corrisponde ancora all’uso che gli stessi cattolici ne fanno? L’autocomprensione come “cattolico” non è, il più delle volte, indifferente alla adesione a tutte e singole le verità della Dottrina cattolica?
Qui è proprio la grande corrente tiepida dei cattolici di parrocchia che si presenta sconvolgentemente esemplare. Basta frequentare un po’ quest’ambiente per sapere che tra quanti vivono intensamente la vita parrocchiale (liturgica, aggregativa, etc.) la stragrande maggioranza (molto spesso, parroco compreso) è del tutto indifferente alla ortodossia della fede. C’è chi nega l’inferno, chi crede alla reincarnazione, chi reputa Gesù un grande uomo ma che poi sia Dio?, quello per cui tutte le religioni vanno bene, quello che la Santissima Trinità, Allah e il solitario Adonai del giudaismo talmudico sono poi la stessa cosa. E molto altro.
Ciò che è ancor più sconvolgente è l’assoluta normalità di ciò, la placida indifferenza verso una incoerenza dottrinale senza limiti. Nessuno, semplicemente, si pone il problema.
Si pone, invece, il problema e il parroco si inquieta se i ragazzi non frequentano il campo di pallone dell’oratorio, se le famiglie non partecipano numerose alla gita parrocchiale, se mancano i volontari per la mensa dei poveri, se calano le offerte della domenica o, il peggio del peggio, se qualche laico preparato rompe la sonnolenta pace richiamando i fratelli alla ortodossia cattolica.
L’importante è far del bene (filantropia) e partecipare alla vita di comunità (comunitarismo), se poi si è nella più crassa eterodossia poco importa.
Questa indifferenza per la Verità, questa prassi di neo-cattolicesimo a-dogmatico, questa insofferenza per il pensiero rigoroso, per il semplice principio di non contraddizione, per una ortodossa di fede ragionata, è quotidiana realtà nella grande corrente ma è anche quanto di più assurdo per chi si dice cristiano.
Ecco perché l’incubo che ci tormenta è l’incubo d’un cattolicesimo (questo neo-cattolicesimo) post-cristiano ovvero non cristiano.
Quando la massa dei cattolici ritiene, nella pratica, indifferente il credere o meno alla Dottrina trinitaria e ai dogmi riguardanti il Verbo Incarnato, ovvero quando si ritiene più importante, per essere un buon parrocchiano, partecipare alla vita dell’oratorio (che di oratorio non ha che il nome visto che l’orazione vi latita) piuttosto che credere alle due verità fondamentali del Cristianesimo, siamo già nel post-Cristianesimo.
Qualche decennio fa si temeva una ribellione dentro la Chiesa contro la gerarchia, una rivoluzione che intendesse cancellare l’istituzione. Certo queste tendenze anti-istituzionali permangono ma … oggi l’istituzione più che abbattuta rischia d’essere svuotata. Non più custode e dispensatrice della sana Dottrina, piuttosto guscio vuoto, burocrazia di servizi, coordinamento della vita di comunità in un praxismo radicale, in un mediocre funzionalismo. E’ quello che rischiano di diventare le parrocchie se non lo sono già diventate.
Persino il Papa rischia di diventare una celebrità ammirata, seguita, idolatrata. Un culto della personalità che nulla ha a che vedere con l’obbedienza filiale e la devozione dovute al Vicario di Cristo.
Si battono le mani al Papa, si fanno chilometri per vederlo, si sventolano bandierine … ma si crede a ciò che è Dottrina rivelata? Che senso ha un papismo non cristiano? Che senso ha osannare il Vicario di Cristo se poi non si crede a Cristo e a ciò che Cristo ha insegnato?
Veramente il rischio di un “cattolicesimo”, magari anche papista, post-cristiano è dietro l’angolo.
E’ per questo che le recenti parole della gerarchia non ci hanno per nulla rassicurato! C’è bisogno di curare la malattia prima che sia troppo tardi e invece … Sembra proprio che non si voglia cambiar strada rispetto a quella che ci ha portato a simile disastro e che ancor’oggi calpestano le disorientate masse cattoliche, placidamente incamminate verso un post-Cristianesimo paludato di cattolicesimo, verso una inavvertita apostasia.
Solo il Papa può riportare il gregge sulla strada sicura, alla Verità tutta intera! Preghiamo per il Papa!
(Fonte: CONCILIOVATICANOSECONDO.it)
Durante la Messa meglio niente applausi
di A. Giulianto, da Avvenire, del 19.06.2014, pag. 25
La Messa è finita. Nel senso che ormai pare stia andando a farsi benedire l’osservanza delle più elementari norme liturgiche. Che non ci sia più religione in alcune celebrazioni eucaristiche è una questione seria. E padre Serafino Tognetti, monaco e primo successore di don Divo Barsotti alla guida della Comunità dei Figli di Dio, non può fare a meno di rilevarlo in questo provocatorio volumetto. In appendice a un testo denso di stupore per il paradosso del cristianesimo la cui forza si sprigiona nella debolezza («Cercate voi in tutta la letteratura di tutto il mondo, antica e moderna, studiate tutte le religioni del mondo e ditemi se trovate un re agnello o una divinità che si faccia mite, vittima») ecco alcune osservazioni appassionate sulla realtà sconfortante di certe Messe odierne. Sotto la sua lente finisce quindi l’uso «ultimamente in voga» di applaudire in chiesa.
Il tema non è nuovo. Già Joseph Ratzinger nell’Introduzione allo spirito della liturgia aveva tuonato: «Là, dove irrompe l’applauso per l’opera umana nella liturgia, si è di fronte a un segno sicuro che si è del tutto perduta l’essenza della liturgia e la si è sostituita con una sorta di intrattenimento a sfondo religioso ». Sulla stessa scia padre Tognetti: «Il tempio di Dio non è il luogo degli applausi. Con l’applauso si sposta l’attenzione: si celebra l’uomo al posto di Dio». Non siamo di fronte a un cantante, a un calciatore o a un funambolo del circo, rimarca con ironia l’autore. «Nessuno applaude nel rimirare estasiato un tramonto sull’oceano, o nell’osservare ammirato il volo degli uccelli nel cielo. L’applauso è sempre in relazione agli uomini, quando fanno qualcosa di bello, qualcosa che ci piace». Ma il protagonista per eccellenza della celebrazione è Gesù:"Probabilmente sotto la croce a nessuno venne in mente di applaudire. Nel momento della Resurrezione, poi, non c’era nessuno, e se c’era dormiva (le guardie). E nella Messa non succede la stessa cosa: morte e Resurrezione? La Messa è il Sacrificio di Cristo, non altro, da vivere con timore e tremore, nella preghiera, nell’adorazione,nella lode…». La verità è che si smarrisce quell’atteggiamento di meraviglia e composta gratitudine che dovrebbe avere il fedele e trasformiamo la chiesa in un teatrino molto umano» annota amaramente Tognetti. Per non parlare di ciò che accade dopo la benedizione: «Ci rimango sempre male quando dopo aver detto 'La Messa è finita, andate in pace', l’assemblea si trasforma in un mercato…». O quel che avviene nelle Messe nuziali: «Sono ancora matrimoni o sedute fotografiche?».
Il pensiero di padre Tognetti corre al mistico toscano: «Tuttaltra cosa era la Messa di don Divo Barsotti. Lo abbiamo spesso visto piangere, mai applaudire. Il suo atteggiamento nella Messa ci richiamava ad una partecipazione commossa e profonda. Era un entrare nel Mistero, ed esserne coinvolti. Vi era un’attenzione a Dio e non all’uomo, da cui ne veniva spesso quel desiderio di Dio che porta a conversione».
mercoledì 25 giugno 2014
Giudicare sì o no? Il rompicapo di Francesco
di Sandro Magister
In meno di un paio di giorni papa Francesco ha prima emesso un tremendogiudizio di condanna che ha conquistato le prime pagine di tutti i giornali, e poi ha dedicato un’intera sua omelia mattutina a Santa Marta per dire che non bisogna mai giudicare e condannare, ma solo farsi difensori e intercessori per gli altri.
Il giudizio di condanna l’ha emesso sabato 21 giugno contro i mafiosi della ‘ndrangheta calabrese. Con queste precise parole:
“Quando non si adora Dio, il Signore, si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza… La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no!.. Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”.
Le cronache hanno registrato a questo punto il generale applauso dei duecentomila presenti. Seguito dal plauso ancor più universale dei media.
Ma risulta che un altrettanto diffuso consenso arride a papa Francesco anche ogni volta che egli esorta a non emettere giudizi, a partire da quel memorabile “Chi sono io per giudicare?” che è forse fin qui la battuta più universalmente citata e osannata del suo pontificato.
Il rompicapo sta appunto qui. Francesco è papa che giudica, sentenzia, assolve, condanna, promuove, rimuove. Ma nello stesso tempo predica in continuazione che non si deve mai giudicare, né accusare, né condannare.
Chi giudica “sbaglia sempre”, ha detto nell’omelia del 23 giugno a Santa Marta. E sbaglia, ha proseguito, “perché prende il posto di Dio, che è l’unico giudice”. Si arroga “la potestà di giudicare tutto: le persone, la vita, tutto”. E “con la capacità di giudicare” ritiene di avere “anche la capacità di condannare”.
Con la scomunica dei mafiosi, due giorni prima, la musica era tutta diversa. Monsignor Nunzio Galantino, il vescovo di Cassano all’Jonio prediletto da Francesco e da lui fatto segretario della CEI, ha così tradotto le parole del papa: “La scomunica significa che ai mafiosi è preclusa la vita nella Chiesa. Hanno scelto il male come sistema di vita. E quando questo accade sei fuori dalla comunione. Non puoi ricevere i sacramenti, fare da padrino, entrare nel comitato del patrono, niente. Non è la tua comunità. E non importa che tu tenga l’immagine della Madonna o un altarino o la Bibbia nelle topaie dove ti nascondi: non significa un bel niente”. Altro che non giudicare! Con un’avvertenza: perché se il mafioso in questione si nasconde “nelle topaie” è segno che è latitante ed è già stato giudicato colpevole dalla giustizia terrena, mentre se è incensurato, non è così facile per la Chiesa condannarlo lei in foro esterno.
Ma ancor meno facile è mettere d’accordo le condanne del papa ai mafiosi, ai “corrotti” e a tutti gli altri che cadono quotidianamente sotto il suo giudizio con le sue incessanti esortazioni a non giudicare. Tanto più colpiscono queste sue esortazioni in quanto provengono da un successore di Pietro, al quale sono state consegnate le chiavi per “legare e sciogliere” sulla terra ciò che lo è anche nei cieli.
Veramente, nell’omelia del 23 giugno a Santa Marta papa Francesco ha anche detto che “l’unico che giudica è Dio e quelli ai quali Dio dà la potestà di farlo”. Ma non ha specificato chi siano costoro. L’enigma continua.
IN CHE SENSO L’EUCARISTIA È SACRIFICIO
di don Ivo Cisar
da "Palestra del Clero" 73 (1994), 215-217
Pur ricorrendo il termine "sacrificio" più di una volta nelle preci eucaristiche, specialmente nella prima e nella terza, oltre che in varie orazioni, nell’offertorio e nelle parole della consacrazione, molti fedeli, soprattutto i giovani, non sanno che l’eucaristia è anche e principalmente sacrificio, e che cosa significhi questo termine. Si parla molto della messa come liturgia della Parola (di Dio) e come banchetto-cena, poco del fatto che essa è sacrificio. Che vi sia un cedimento al protestantesimo? Per i protestanti l’eucaristia non è sacrificio, perché porterebbe pregiudizio all’unicità del sacrificio di Gesù sulla croce. Inoltre, nel linguaggio corrente, la parola "sacrificio" ha una connotazione negativa, oltre che puramente profana, come quando si parla dei "sacrifici" fatti per i figli, ecc.
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Alcuni teologi odierni danno spiegazioni erronee o incomplete del sacrificio eucaristico, o addirittura di quello in genere, anche rifiutando troppo frettolosamente, come se fosse sbagliata, la concezione del sacrificio nelle religioni. Così alcuni (Ch. Biscontin) lo descrivono come dono di Dio, vale a dire "in linea discendente", confondendolo così con i sacramenti, mentre esso si svolge "in linea ascendente". Si ha l’impressione che, come in generale, si esageri alla maniera protestante presentando tutto unilateralmente come dono di Dio (lo è, ma non solo), secondo i princìpi della sola gratia, sola fides, e comprimendo la parte umana. Altri teologi (come R. Falsini, in "Vita Pastorale" 1994, 2, 8) riducono il concetto di sacrificio a quello di memoriale, liquidando con disinvoltura la teologia postridentina invece di approfondirla. Certamente il sacrificio eucaristico è "sacramento"-memoriale-anamnesi di quello della croce attraverso quello della Cena: questo è vero, ma non è tutto. Molti rifiutano il concetto di sacrificio, perché pensano che esso esprima un atteggiamento sanguinario della divinità da placare mediante la morte.
Ma già biblisti come S. Lyonnet e teologi come padre Philippe de la Trinité hanno avvertito che la funzione del sangue nel sacrificio di Gesù si rifà ai "sacrifici nel sangue" dell’Antico Testamento, quali quello liberatorio dell’agnello pasquale (Es 12,3-14; cfr. Gv 19,36), quello dell’alleanza (Es 24,6-8; cfr. Eb 9,19-22; Mt 26,28 par.), quello purificatorio di propiziazione (Lv 16,14-15; cfr. 1Gv 2,2; 4,10).
Inoltre, nell’ambito della scienza delle religioni, il mio venerato Maestro mons. Giuseppe Graneris ha dimostrato, sulla scia di sant’Agostino e di san Tommaso d’Aquino, che il fine del sacrificio e il significato originario della stessa parola "immolazione" (il senso della parola proviene dall'uso, proprio della religione romana di cospargere la vittima sacrificale con la mola salsa,mistura di farro tostato e sale preparata dalle Vestali in tre particolari giorni dell'anno sacrale: immolare est mola, id est farre molito et sale, hostiam perspersam sacrare, Festo, De verborum significatu, p. 97 Lindsay, sv.Immolare), non è la distruzione, ma la trasformazione della vittima, renderla sacra (sacrum facere) trasferendola nella sfera divina: è un dono fatto a Dio in segno della propria assoluta sottomissione. Non si offrono, infatti, a Dio soltanto animali, ma anche i frutti della terra (cfr. Gn 14,18; Eb 5-7), specialmente le primizie. La mactatio è solo il mezzo per realizzare un’offerta. (su tutto ciò G. Graneris, La vita della religione nella storia delle religioni, Torino, Sei, 1980, 201-299; per sant’Agostino cfr. pure CCC 2099). La morte di Cristo poi è la conseguenza del peccato degli uomini (Rm 5,12; 6,23; Fil 2,8; Gv 1,29), ma anche il mezzo del passaggio di Gesù al Padre (Gv 13,1).
Non è pertanto fuori luogo tentare di approfondire la teoria del sacrificio sul tronco della dottrina esposta egregiamente da Pio XII nell’enciclica Mediator Dei (20 novembre 1947), nella parte II, 1, in cui egli si rifà al dogma tridentino (Sess. XXII, DS 1738-1759, cfr. CCC 1367). Pio XII spiega che "la divina sapienza ha trovato il modo mirabile di rendere manifesto il sacrificio del nostro Redentore con segni esteriori che sono simboli di morte. Giacché, per mezzo della transustanziazione del pane in corpo e del vino in sangue di Cristo, come si ha realmente presente il suo corpo, così si ha il suo sangue; le specie eucaristiche, poi, sotto le quali è presente, simboleggiano la cruenta separazione del corpo e del sangue. Così il memoriale della sua morte reale sul Calvario si ripete in ogni sacrificio dell’altare, perché per mezzo di simboli distinti (per distinctos indices) si significa e dimostra che Gesù Cristo è in stato di vittima". Non si vorrà negare che il sacrificio di Gesù sulla croce sia consistito nella sua passione e morte (la risurrezione è propriamente il suo effetto, la risposta del Padre), e che il sacramento, in quanto segno sacro, deve in qualche maniera significarlo. È ovvio che l’essenza del sacrificio è l’atto interiore di oblazione-amore.
Ma perché il sacrificio della croce si rinnova sull’altare? Già sant’Agostino scrisse che Cristo sacerdote volle un sacrificio della Chiesa, perché Lei, suo corpo, imparasse a offrire sé stessa per mezzo suo (Sant'Agostino, De civitate Dei 10,20, cfr. pure CCC 1372). Anche il Concilio di Trento insegna che Cristo ha lasciato alla Chiesa sua Sposa un sacrificio visibile, perché in esso venisse offerto dai sacerdoti per l’applicazione della virtù salvifica del suo sacrificio (Sess. XXII, cap. 1; DS 1740-1741).
Pertanto si può dire che il sacrificio eucaristico è semplicemente applicativo da parte di Cristo, essendo memoriale-rinnovamento sacramentale del suo unico sacrifico della croce, ma comporta insieme una novità da parte della Chiesa, cioè di noi, in quanto dobbiamo appropriarci del sacrificio di Cristo, inserendoci in esso, diventando insieme con Lui vittime che si offrono, consacrano, donano filialmente a Dio Padre. Questa offerta di noi stessi s’inizia nell’offertorio in cui la Chiesa presenta, in segno della propria offerta, i suoi poveri doni di pane e vino. Questi poi vengono trasformati, (transustanziati, s’intende) nella consacrazione, e così devoluti nella sfera divina, divenendo corpo e sangue di Cristo. Ma nel momento stesso e con l’atto stesso con cui si perfeziona il sacrificio della Chiesa (in tale senso "assoluto"), esso diventa tutt’uno con il sacrificio di Cristo, sacramentalmente presente e operante (sacrificio relativo). Qualcuno ha paragonato l’altare al talamo nuziale di Cristo e della Chiesa e vi si può applicare la parola di san Giovanni Battista sulla sua funzione di amico dello sposo di unire lo sposo e la sposa (Gv 3,29): è il compito del sacerdote celebrante (cfr. LG 10b; grazie al sacerdozio ministeriale si attua ed esercita il sacerdozio comune dei fedeli; cfr. anche Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis 16). Infine, a opera dello Spirito Santo, come è avvenuta la consacrazione, così avviene anche poi (vedi le due epiclesi, prima e dopo la consacrazione), nella santa comunione, il passaggio delle nostre persone nella sfera divina, in qualità di figli di Dio Padre, destinati alla risurrezione futura, della quale l’eucaristia è il germe. Effetto del sacrificio, quindi, è la vita divina in noi (grazia), mentre mezzo ne è la morte al peccato (cfr. Eb 9,23-28).
In quest’azione il sacerdote celebrante si unisce a Cristo vittima: è vittima, perché sacerdote (cfr. PO 13), mentre i fedeli esercitano il loro sacerdozio comune, in quanto vittime, offerenti e consacranti sé stessi a Dio Padre (cfr. LG 11a; PO 5c).
Da questi cenni segue l’importanza della partecipazione spirituale al sacrificio eucaristico, già a partire dall’offertorio, in cui presentiamo a Dio noi stessi mediante i doni simbolici; poi la necessità della partecipazione spirituale ("sacrificio spirituale e perfetto", del Canone Romano, "sacrificio perenne a te gradito", Preghiera eucaristica III) alla consacrazione e alla relativa preghiera del Canone. Per partecipare con frutto alla santa messa (cfr. SC 48a, 59a) bisogna che impariamo a offrirci con Cristo e mediante Lui a Dio Padre, quali figli obbedienti (cfr. Eb 5,8). Mentre durante la liturgia della Parola aderiamo a Dio mediante la fede (professata poi esplicitamente nel Credo), nella liturgia eucaristica esercitiamo prima la carità verso Dio Padre, consistente nell’osservanza dei suoi comandamenti (cfr. 1Gv 5,3), nella sua parte sacrificale, e poi la speranza, in quanto la santa comunione eucaristica ci viene data come pegno della nostra risurrezione futura (cfr. Gv 6,54; 11,25).
martedì 24 giugno 2014
La straordinaria tenuta del matrimonio religioso
Giuliano Guzzo
Ci sono almeno due aspetti singolari in “Separazioni e divorzi in Italia”, report Istat divulgato ieri e contenente un’analisi dei dati per l’anno 2012. Il primo riguarda, per la prima volta dopo tanti anni, un deciso rallentamento dell’instabilità coniugale. «Nel 2012, infatti – nota l’Istat - per la prima volta le separazioni diminuiscono (-0,6%) mentre i divorzi già da qualche anno stanno registrando un calo (-5,8% in tre anni)». La ragione di questo con ogni probabilità deriva, più che da un’improbabile riscoperta del valore dell’indissolubilità matrimoniale, dall’impoverimento generale conseguente alla crisi economica. Tuttavia vale anche il ragionamento opposto, e cioè che l’idea che non pochi, fra le separazioni ed i divorzi conteggiati negli anni precedenti, fossero se non determinati quanto meno agevolati, per così dire, da una disponibilità finanziaria oggi fortemente ridimensionata. In questo senso, perché escludere che, fra tanti effetti negativi quando non disastrosi, la crisi non possa incoraggiare ripensamenti positivi sulla rottura coniugale, positivi soprattutto laddove vi è la presenza di figli?
Il secondo aspetto rilevante fotografato dall’Istat riguarda la straordinaria tenuta del matrimonio religioso rispetto a quello civile. «Mettendo a confronto i matrimoni del 1995 con quelli del 2005 – è scritto nel report - si osserva come la propensione a separarsi nei matrimoni celebrati con il rito religioso sia molto inferiore e molto più stabile nel tempo rispetto a quella nelle nozze civili. Dopo sette anni i matrimoni religiosi sopravviventi sono praticamente gli stessi per le due coorti di matrimonio considerate (rispettivamente 933 e 935 su 1.000). I matrimoni civili sopravviventi scendono a 897 per la coorte del 1995 e a 880 per quella del 2005» (p.3). Intendiamoci: tra gli addetti ai lavori il ruolo protettivo – e non solo protettivo, ma anche in termini di equilibro ed appagamento – esercitato dal fattore religioso sulla stabilità coniugale è noto da tempo e, fra l’altro, è già emerso con chiarezza anche da metanalisi che hanno considerato quasi cento studi effettuati in proposito (Cfr. Journal of Family Psychology2001;Vol.15(4):559-96).
Tuttavia è forse la prima volta che l’Istat – e per di più in una fase culturalmente così critica per la cosiddetta famiglia tradizionale – effettua una sottolineatura tanto convinta come quella ricordata. Questo non può non stimolare una riflessione circa l’effettiva solidità che la famiglia, nella sua versione considerata più antiquata, assicura. In questo senso, anziché introdurre il divorzio breve – evento che, anche fosse ridotto a pratica istantanea, rimarrebbe per chi lo sperimenta un fallimento – si dovrebbe fare possibile per arginare quelli che già si verificano. Chiaramente la religiosità non si può diffondere per decreto né può, in uno Stato laico, essere oggetto di promozione. Il fatto però che taluni matrimoni rispetto ad altri durino significa che lo scioglimento del vincolo coniugale non è, anche se spesso viene percepito come tale, un evento sempre inevitabile. Se quindi, al posto di velocizzare le procedure di fallimento matrimoniale, s’iniziassero a predisporre sostegni concreti per le coppie in crisi, si potrebbe davvero fare del bene. Il punto è che oggi manca totalmente la volontà politica di agire in tal senso. Purtroppo.
giulianoguzzo.wordpress.com
Francesco, papa della tradizione
Il tema della misericordia di Dio non è una "scoperta" di Jorge Mario Bergoglio. È da sempre al centro della predicazione della Chiesa. Il cardinale Giacomo Biffi spiega perché, con una stupefacente citazione di sant'Ambrogio
di Sandro Magister
ROMA, 24 giugno 2014 – Tra i grandi pastori che hanno segnato la stagione di Giovanni Paolo II c'è il cardinale e teologo Giacomo Biffi, 86 anni, milanese, arcivescovo di Bologna dal 1984 al 2003.
Nel 1989 papa Karol Wojtyla lo chiamò a predicare gli esercizi spirituali d'inizio Quaresima a lui e ai maggiorenti della curia romana.
In poco più di un mese Biffi preparò le ventidue meditazioni che ora, a distanza di anni, ha deciso per la prima volta di pubblicare in un volume edito da Cantagalli, da pochi giorni in libreria.
La sua lettura è di quelle che generano felice meraviglia di fronte alla "multiforme sapienza di Dio": citazione tratta dalla lettera di Paolo agli Efesini che fa da titolo al volume.
Con il suo periodare nitido, cristallino, Biffi narra e glorifica le "mirabilia Dei" che costituiscono l'essenza della fede cristiana, pur senza evitare questioni disputate come il concetto di Chiesa "santa e peccatrice" o il celibato sacerdotale.
Qui di seguito è riprodotto un brano del libro che riguarda il peccato e il perdono nel disegno di Dio: un tema che è costantemente al centro della predicazione di papa Francesco ma che è del tutto improprio attribuire all'attuale pontefice come sua "scoperta" peculiare.
Biffi mostra, anzi, che l'attenzione al binomio peccato-perdono è fortissima già nei primi secoli della Chiesa, negli scritti dei Padri e in particolare del santo patrono dell'arcidiocesi di Milano, Ambrogio, il vescovo che battezzò sant'Agostino.
E muove proprio da sant'Ambrogio per spiegare il senso di quella "felix culpa" che la Chiesa canta nell'Exultet della veglia pasquale.
La positività del peccato e del peccatore nel disegno di Dio è uno dei misteri più profondi del cristianesimo. Che Ambrogio espresse nel modo più geniale quando, nel commentare i giorni della creazione, scrisse che Dio "si riposò" solo dopo aver creato l'uomo perché finalmente "aveva creato un essere al quale perdonare i peccati".
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PECCATO E PERDONO NEL DISEGNO DI DIO
di Giacomo Biffi
Colui che nella tradizione cristiana ha espresso con maggior insistenza e vigore la convinzione che il peccato abbia nel disegno di Dio una sua preziosa positività, e pertanto faccia parte dall’inizio del progetto che ha dato l’esistenza a questo universo di fatto esistente, è stato, io credo, sant’Ambrogio.
Egli possiede vivissimo il senso del peccato, della sua gravità, della sua universalità, della sua determinante presenza nella vita dell’uomo. Ma la considerazione del peccato è sempre da lui addotta perché emerga e si imponga all’attenzione la misericordia divina, che ci è data in Cristo ed è la caratteristica primaria di quest’ordine di provvidenza. Di qui l’insistenza con cui afferma la “utilità” spirituale che la grazia riesce sempre a ricavare anche dalle più gravi trasgressioni.
Propongo di riflettere su alcune delle molte frasi ambrosiane che potrebbero essere citate.
"La mia colpa è divenuta per me il prezzo della redenzione, attraverso cui Cristo è venuto a me. Per me Cristo ha assaporato la morte. È più proficua la colpa dell’innocenza. L’innocenza mi aveva reso arrogante, la colpa mi ha reso umile" (De Iacob et vita beata, I, 21).
"Il Signore sapeva che Adamo sarebbe caduto per essere poi redento da Cristo. Felice rovina, che ha una riparazione più bella!". Frase che troviamo poi parafrasata nell’Exultet [della veglia di Pasqua]: “O felix culpa...” (Commento al Salmo 39, 20).
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"Noi che abbiamo peccato di più, abbiamo guadagnato di più, perché la tua grazia ci rende più beati della nostra assenza di colpa" (Commento al Salmo 37, 47).
"Il male ha addirittura in sé un’utilità e il male si è insinuato anche nei santi per un provvidenziale volere del Signore" (Apologia David, 7).
"O Signore Gesù, sono più debitore ai tuoi oltraggi per la mia redenzione, che non alla tua potenza per la mia creazione. Sarebbe stato inutile per noi nascere, se non ci avesse giovato venire redenti". Frase che troviamo riprodotta alla lettera nell’Exultet: "Nihil enim nasci profuit nisi redimi profuisset" (In Lucam II, 41).
"La colpa ci giovò più di quanto non ci nocque, poiché essa diede occasione alla misericordia divina di redimerci" (De institutione virginis, 104).
"Dio ha preferito che ci fossero più uomini da salvare e ai quali poter perdonare il peccato, che avere soltanto l’unico Adamo, il quale restasse libero dalla colpa" (De paradiso, 47).
Il coronamento di questo piccolo florilegio non può essere che lo straordinario pensiero col quale conclude il suo commento ai sei giorni della creazione. E proprio il numero delle citazioni fin qui fatte (che poteva essere molto accresciuto) ci persuade che l’affermazione non è dovuta a una spensieratezza oratoria, ma è ben meditata e costituisce probabilmente il fulcro di tutta la sua personale concezione teologica.
"Gratias ago Domino Deo nostro, qui huiusmodi opus fecit, in quo requiesceret. Fecit caelum, non lego quod requieverit, fecit terram, non lego quod requieverit, fecit solem et lunam et stellas, nec ibi lego quod requieverit, sed lego quod fecerit hominem et tunc requieverit habens cui peccata dimitteret".
"Ringrazio il Signore Dio nostro che ha creato un’opera così meravigliosa nella quale trovare il suo riposo. Creò il cielo, e non leggo che si sia riposato; creò la terra, e non leggo che si sia riposato; creò il sole, la luna, le stelle, e non leggo che nemmeno allora si sia riposato; ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere cui perdonare i peccati" (Exameron, IX, 76).
Come si vede, secondo Ambrogio Dio crea l’universo per l’uomo, e crea l’uomo per poter essere misericordioso. Non si può dire che crei l’uomo peccatore o perché pecchi; ma si deve certamente dire che il riposo ultimo di Cristo nella morte redentiva e la manifestazione della divina misericordia rappresentano il senso ultimo e più alto della creazione.
La liturgia ambrosiana sembra farsi eco della voce del suo Padre e Maestro, quando in un suo prefazio proclama: "Ti sei chinato sulle nostre ferite e ci hai guarito, donandoci una medicina più forte delle nostre piaghe, una misericordia più grande della nostra colpa. Così anche il peccato, in virtù del tuo invincibile amore, è servito a elevarci alla vita divina" (XVI domenica per annum).
Dio è sempre il primo; perciò la sua misericordia non consegue al peccato ma lo anticipa. È vero che la pietà divina si effonde sul mondo per rimediare alla colpa, ma è ancora più profondamente vero che la colpa è accolta nel progetto eterno perché il perdono possa manifestarsi.
Dio poteva scegliere tra infiniti mondi possibili. Nessuno di essi avrebbe potuto manifestare tutte le perfezioni divine; ciascuno di essi ne avrebbe manifestata qualcuna. Eleggendo un ordine tutto incentrato nel Figlio suo fatto uomo, crocifisso e risorto, redentore e capo di una moltitudine di fratelli, il Padre ha preferito a ogni altro un universo che esprimesse soprattutto la sua gioia di perdonare ed esaltasse nell’uomo l’umiltà dell’amore penitente.
Ci si fa più chiara allora nella sua verità l’affermazione di Gesù che "ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione" (Luca 15, 7).
Il peccatore che si pente, esprime in modo diretto il senso specifico e il valore emergente di questo universo di fatto voluto da Dio.
Così arriviamo a capire che le nostre infedeltà, le nostre insipienze, i nostri “no” bizzosi (per i quali siamo e dobbiamo essere umiliati e confusi) possono diventare l’occasione per una vita spirituale più intensa; e che la stessa nostra colpa è vinta e travolta sul nascere dalla più grande forza d’amore del Padre che salva.
È una sofferenza vedersi nella propria meschinità. Ma appunto quando mi riconosco meschino, mi vedo proprio per questo chiamato alla salvezza e avvicinato al mio redentore: il mio peccato non fa in tempo ad esprimersi, che già è superato e dissolto dalla divina volontà di riscatto.
Alla fine c’è come una letizia dolente, che non dimentica le infedeltà e non lascia di piangerle, ma non riesce più a vederle se non già oltrepassate dal più grande impeto della misericordia del Padre.
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Il libro:
G. Biffi, "La multiforme sapienza di Dio. Esercizi spirituali con Giovanni Paolo II", Cantagalli, Siena, 2014, pp. 232, euro 14,00.^