Il nuovo libro di p. Serafino M. Lanzetta nasce come tesi di abilitazione alla libera docenza, conseguita presso la Facoltà Teologica di Lugano (Svizzera), sotto la direzione del Prof. Dr. Manfred Hauke. L’opera si avvale di numerose fonti “di prima mano”, documenti d’archivio, soprattutto perizie di teologi della Commissione dottrinale e di scambi epistolari significativi tra i Padri del Concilio e con lo stesso Pontefice Paolo VI.
Così l’Autore ha potuto ricostruire alcuni passaggi storici nodali, in cui si vede Paolo VI che attentamente segue i lavori conciliari e particolarmente i lavori della Commissione dottrinale. S’informa costantemente presso il Card. Ottaviani (Presidente della Commissione) sulla grande questione della Tradizione costitutiva (la tradizione orale ci dona alcune verità di fede che non si trovano neppure implicitamente nella S. Scrittura, se non quando questa è letta alla luce della Tradizione, che precede la formazione delle Scritture e segue, diventando vita stessa della Chiesa), la quale per alcuni era da limare, per altri da lasciare in modo generico, o da presentare in modo più ecumenico in Dei Verbum. I periti e poi i Padri avevano opinioni diverse al riguardo.
Il S. Padre voleva invece che si dicesse chiaramente il tenore costitutivo della Tradizione apostolica, citando un testo di S. Agostino (De baptismo contra Donatistas, V, 23,31), in cui l’Ipponate afferma questa fede della Chiesa: molte cose che gli Apostoli hanno insegnato non sono reperibili nelle Scritture. Si entrava nel problema della duplicità delle fonti della Rivelazione, che il Concilio voleva superare mettendo l’accento più sulla Rivelazione che sulle fonti della sua trasmissione. Il testo finale di Dei Verbum 9 preferisce una formulazione neutrale, che sfuma il problema, toccandolo solo lateralmente: «la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura…».
Intanto Dei Verbum ha apportato un notevole sviluppo teologico del concetto di Rivelazione, accanto però a una formulazione di compromesso su questo dato, esigita, prima che dai Padri conciliari, dalla maggioranza dei periti della Commissione dottrinale per un solido approccio ecumenico e per evitare che il Concilio, contro la posizione di Lutero – il Concilio non era chiamato a condannare errori né a pronunciare nuovi dogmi – non rischiasse di posizionarsi sulla “Sola Traditio”. Sta di fatto che la formulazione più pastorale della dottrina sulla Tradizione costitutiva ha visto e continua a vedere fiumane di possibili interpretazioni, quando si prescinde da ciò che la Chiesa già insegnava e da quello che ha insegnato sia negli altri documenti conciliari che nei successivi documenti magisteriali, particolarmente nel Catechismo della Chiesa Cattolica: due sono le fonti, o se si vuole i rivoli, mediante i quali ci è consegnata la Rivelazione, la Scrittura e la Tradizione, da ricevere e venerare «pari pietatis affectu ac reverentia» (Dei Verbum 9, con rimando al Conc. di Trento, Decr. De canonicis Scripturis: Denz. 783 [1501]).
Su questo dato – un esempio tra gli altri esaminati nel volume – si vede che non basta la formulazione dottrinale del Concilio, dettata soprattutto dalla ricerca di un accordo da raggiungere in aula, ma è necessario ricorrere a un principio ermeneutico superiore: la fede della Chiesa, quindi l’omogeneità della sua dottrina.
Paolo VI chiedeva al Concilio che si dicesse poi chiaramente la dipendenza costitutiva del Collegio episcopale dall’autorità del Romano Pontefice in Lumen gentium (cap. III). Chiede una perizia aggiuntiva sul testo in questione. Il testo nel suo interno fu lasciato anche questa volta sfumato e perciò il S. Padre dovette esigere l’aggiunta di una Nota praevia, che potesse spiegare chiaramente la nozione di collegio e l’esercizio della collegialità episcopale posta in atto unicamente dal Romano Pontefice. Il fine del Concilio, la pastoralità dell’approccio magisteriale, furono determinanti in molti casi, ma non senza problemi, che si fecero sentire sin da subito.
Il titolo del lavoro di P. Lanzetta esprime chiaramente la peculiarità del Vaticano II: un concilio fontalmente pastorale, che si distingue per un insegnamento dottrinale cospicuo, riuscendo a coinvolgere tutti i più importanti e influenti teologi del tempo. Un problema ermeneutico fondamentale che l’Autore affronta è riassumibile nella seguente domanda: qual è il grado di vincolabilità magisteriale del Concilio Vaticano II come tale? A questa domanda non si può rispondere correttamente se non si esaminano puntualmente le singole dottrine che costituiscono il ricco insegnamento del Vaticano II, e quindi, se non si entra, per così dire, nella stessa mens conciliare, rinvenibile solo grazie allo studio sistematico delle fonti del Concilio, lette alla luce della vivente Tradizione della Chiesa e del Magistero pontificio.
Dallo studio analitico della mens dei Padri, l’Autore arriva a questo possibile grado teologico del tenore magisteriale del Vaticano II nelle sue principali dottrine insegnate nelle Costituzioni dogmatiche: sententiae ad fidem pertinentes, non definitive, ma che possono conoscere ancora un importante progresso magisteriale, rimanendo, quale nota magisteriale del Concilio in quanto tale, quella di magistero solenne e straordinario nella forma, ma ordinario nell’esercizio effettivo.
L’Autore sceglie tre grandi temi che possono illuminare la grande questione ermeneutica del Vaticano II: il rapporto tra Scrittura e Tradizione in Dei Verbum, il mistero della Chiesa in Lumen gentium, con particolare attenzione alla questione dei membri divenuto poi appartenenza alla Chiesa, della collegialità e della Chiesa come sacramento, e infine il tema mariologico di Lumen gentium nel cap. VIII, studiando la posizione del mistero di Maria SS. in Cristo e nella Chiesa. Particolarmente qui la questione della mediazione di Maria (mediatrice di tutte le grazie?, si chiedeva ad es. l'Episcopato tedesco), vero motivo teologico di una scelta più pastorale nel dire la fede mariana della Chiesa, fa vedere quanto il Concilio desiderasse poter intavolare un dialogo con i fratelli separati dalla Chiesa. La pastoralità voluta da Giovanni XXIII non impedisce al Vaticano II di esercitare un munus docendi propriamente detto, ma, data la sua notevole enfasi, talvolta, condiziona la stessa dottrina, la sua esposizione e il suo tenore magisteriale. Tutto ciò non può lasciare indifferenti; soprattutto spinge a lumeggiare numerose questioni teologiche rimaste in sospeso o volutamente accantonate per rispettare il fine della grande Assise ecumenica.
Ci sono molte dottrine che sono rimaste nella loro formulazione magisteriale al tempo del Concilio o a prima del Concilio, ma che necessiterebbero di essere di nuovo prese in considerazione e aggiornate. Pensiamo al tema del limbo (scartato allora e solo di recente riaffrontato dalla CTI), al dato dei membri della Chiesa in relazione alla coestensività del Corpo mistico di Cristo e della Chiesa cattolica romana, al tema della Chiesa “arca di salvezza”, alla questione del celibato in relazione alle Chiese orientali, alla presentazione di un «diaconato di fatto» che in realtà non esiste. In diversi casi, il loro stato teologico si è bloccato al 1962, ma molto spesso contro la stessa volontà dei Padri, i quali non volevano certo congelare la teologia, ma solo indicare, per alcuni temi ritenuti più cogenti, una formulazione pastoralmente migliore, per dire la dottrina in modo nuovo, per quel tempo ritenuto nuovo. Sta di fatto, però, che il tempo di oggi è già qualitativamente nuovo e molto diverso rispetto a quello dei Padri del Concilio e la stessa visione della Chiesa nel mondo contemporaneo è fortemente cambiata.
Il libro di P. Lanzetta è arricchito della prefazione del teologo tedesco Don Manfred Hauke, che definisce il lavoro «una trattazione brillante del tema scelto», in cui «l’autore conosce bene la discussione contemporanea e le fonti del Vaticano II». Per questo «la tesi porta un contributo originale nuovo sia dal punto di visto storico…, sia dal lato della riflessione sistematica».
Al termine dell’Introduzione al suo studio, P. Lanzetta si chiede se il Vaticano II potrà finalmente essere un concilio per l’unità della Chiesa. Spesso l’unità ecumenica, cosa eccellente e nobile, ha fatto perdere di vista l’unità nella fede, nel credere con la Chiesa (di sempre). Per questo l’Autore solleva molte domande, le quali – di questo è cosciente – sono al momento molto più numerose delle risposte. Ma almeno spera di aver indovinato quelle giuste, che facciano riflettere non solo gli studiosi del tema, ma anche tutti gli altri, che, per motivi vari, invece, vorrebbero avere tutte le risposte senza porsi però le rispettive domande. Non si può far finta che domande non ci siano.
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Questa la scheda con cui l'Editore presenta il libro:
Una approfondita ricerca sul concilio Vaticano II. L'autore analizza da più punti di vista, nessuno escluso, tutte le tematiche legate al Concilio Vaticano II. Il volume frutto di una ricerca durata 3 anni sviscera tutte le teorie, le correnti di pensiero ''conciliari''. Una straordinaria Summa su questo evento che ha cambiato la storia della Chiesa. L'ermeneutica della continuità, quella della discontinuità, lo spirito del concilio, le riforme effettivamente indicate e quelle presunte, che non trovano riscontro nei documenti. L'autore non rinuncia in questo studio ad indicare una possibile unità della chiesa nella comprensione di questo evento. Il libro è corredato da un'amplissima bibliografia che raccoglie tutte le fonti relative al dibattito sul Concilio.
http://catholicafides.blogspot.it
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