venerdì 13 giugno 2014

Per i giudici, i figli non esistono






 di Alfredo Mantovano

Lui cambia sesso, il matrimonio resta valido: in questi termini larga parte delle testate, televisive e della carta stampata (con rare eccezioni, come il quotidiano Libero), hanno riassunto la sentenza della Corte costituzionale n. 174, dell’11 giugno. È una sintesi sbagliata: porre così la questione ne fa perdere di vista il senso. Per coglierlo va fatto un passo indietro: nel 1982 è approvata la legge n. 164 in materia di rettificazione di attribuzione di sesso. Le sue disposizioni stabiliscono che la modifica del sesso, rispetto a quello enunciato dall’atto di nascita, avviene con sentenza del tribunale, con due precisazioni, poste dall’articolo 4: la sentenza non ha effetto retroattivo (restano valide le situazioni giuridiche maturate prima della modifica dei caratteri sessuali); “essa provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili” del matrimonio religioso, con conseguente applicazione della disciplina del codice civile e del divorzio.

Oggi la Consulta interviene sull’automatismo fra la sentenza di rettificazione del sesso di uno dei coniugi e lo scioglimento del matrimonio previsto dall’art. 4: ad avviso della Cassazione, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, ciò violerebbe il “diritto alla conservazione della preesistente dimensione relazione, quando essa assuma i caratteri della stabilità e della continuità propri del vincolo coniugale”. La Corte costituzionale mostra di non condividere questa posizione, e richiama in proposito una sua precedente sentenza del 2010 per confermare che il matrimonio, secondo l’ordinamento italiano, è possibile solo fra persone di sesso diverso; per questo non ritiene “configurabile un diritto della coppia non più eterosessuale a rimanere unita nel vincolo del matrimonio”, né ritiene di sostituire il divorzio automatico con un divorzio a domanda, “poiché ciò equivarrebbe a rendere possibile il perdurare del vincolo matrimoniale tra soggetti del medesimo sesso, in contrasto con l’art. 29 Cost.”. I titoli di quasi tutti i quotidiani di ieri sono pertanto da correggere: lui cambia sesso, il matrimonio non resta valido.

La Consulta però va oltre, e ricorda che l’unione omosessuale rientra nella categoria delle “formazioni sociali” tutelate dall’articolo 2 della Costituzione: tale tutela non ha come unico terreno di realizzazione la parificazione fra unione omosessuale e matrimonio. Forme di riconoscimento e di garanzia di tali unioni per la Corte competono al Parlamento: nel caso specifico, esse – se esistenti – eviterebbero “il sacrificio integrale della dimensione giuridica del precedente rapporto”. Da ciò – ed è il passaggio più significativo della sentenza – l’indicazione, come “compito del legislatore”, di “introdurre una forma alternativa (…) che consenta ai coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica a una condizione (…) di assoluta indeterminatezza”. Dunque, l’illegittimità della legge del 1982 sul cambiamento di sesso è non in quello che essa prescrive, bensì in quello che essa omette: “mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata”. È un “compito del legislatore”, cui adempiere “con la massima sollecitudine”.

Il ragionamento solleva qualche interrogativo. Il primo; quanti sono in Italia, su 60 milioni di abitanti, i casi che hanno le caratteristiche di quello dal quale ha preso le mosse la Corte costituzionale? è rilevabile statisticamente la quantità di coppie regolarmente sposate (in Chiesa!), al cui interno un coniuge cambi sesso, e che però intendono restare unite in matrimonio pur dopo gli interventi del chirurgo e del giudice? Una vicenda così particolare giustifica l’ingiunzione al Parlamento di un obbligo di fare, e di fare rapidissimamente, valido per tutti? Il secondo; la Consulta pone un’alternativa fra la “massima protezione giuridica”, che sarebbe garantita ai coniugi dal regime matrimoniale, e la “condizione di assoluta indeterminatezza”, che riguarda invece i componenti di una unione di fatto; è una alternativa così radicale? Mettiamo su due colonne, gli uni a fianco agli altri, i diritti di cui godono i coniugi e i diritti riconosciuti ai componenti di una unione di fatto, esito di leggi ordinarie, di pronunce della stessa Corte costituzionale e di giurisprudenza consolidata. È più facile dire per costoro che cosa resta fuori rispetto a ciò di cui invece possono godere: restano fuori la quota di legittima nelle successioni, la possibilità di adottare un bambino e la reversibilità del trattamento pensionistico, tutto il resto è riconosciuto! Va approvata una legge sulle unioni civili per disciplinare quello che è già previsto o per inserire legittima, adozioni e reversibilità? se la risposta è la seconda, conviene essere onesti fino in fondo, e ammettere che la legge così perentoriamente sollecitata avrà per titolo “unioni civili”, ma per sostanza il matrimonio fra persone dello stesso sesso.

Due annotazioni conclusive: a) quando nel 1982 passò la legge sul cambiamento di sesso si era, come oggi, alla vigilia di un campionato del mondo di calcio, ma le firme in calce al provvedimento erano quelle di Pertini, Spadolini, Darida e Rognoni, rispettivamente capo dello Stato, capo del Governo e ministri della Giustizia e dell’Interno. Dubito che in quel momento taluno di loro immaginasse quali problemi sarebbero sorti 32 anni dopo: è la conferma del pieno vigore di una legge, mai pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, i cui effetti sono però implacabili, soprattutto se la si ignora, che è quella – più volte evocata dal cardinale Sgreccia – del “piano inclinato”; quando si abbandona il rispetto del dato naturale, nulla più sorprende; b) nella sentenza n. 170 della Corte costituzionale si parla di unioni omosessuali, di libertà di autodeterminarsi, di diritti da non comprimere, ma non compare neanche una volta la parola “figli”. Sono lasciati fuori dalla porta, privi di qualsiasi considerazione. Sono lasciati anche fuori dalla Nazione, come il dato statistico – questa volta rilevante – tragicamente denuncia.




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