giovedì 20 febbraio 2014

I poveri nella lettera del Papa ai giovani





di Silvio Brachetta

Con il recente Messaggio (21 gennaio) per la XXIXª Giornata mondiale della Gioventù (Gmg del 13 aprile 2014), Papa Francesco continua una riflessione, di notevole profondità teologica, sul tema della povertà evangelica, già avviata ad esempio nel Messaggio (26/12/2013) per la Quaresima di quest’anno. La povertà cristiana, specificava il Papa nel Messaggio quaresimale, «non coincide» con la miseria, perché «la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza». Così anche Gesù Cristo «svuotò se stesso» (Fil 2, 7) e divenne povero, non per via di una predilezione della miseria, ma affinché noi potessimo diventare «ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8, 9). È anzi una vera testimonianza evangelica, nonché un’autentica sequela di Cristo, il voler combattere la «miseria materiale», «morale» e «spirituale», al di là di ogni «pietismo filantropico».

Il Dio che ci presenta il Pontefice è dunque, ad esempio, il Dio di santa Caterina da Siena, per la quale «Egli è somma ed eterna ricchezza» (“Lettere”, n. XLVIII). Santa Caterina esaltava spesso la povertà, che permette di eliminare la ricchezza mondana, frutto d’egoismo. Ed esortava la ricerca della vera ricchezza spirituale, che si trova nel corrispondere alla grazia e nell’accrescimento della virtù. Anche nel Messaggio per la Gmg, il Santo Padre specifica che Dio «da ricco che era, si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà» (cf 2 Cor 8, 9). È questo il senso - scrive - per interpretare una delle beatitudini del Discorso della montagna, tema della Giornata mondiale: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3). Quello della povertà spirituale, è «il mistero che contempliamo nel presepio, vedendo il Figlio di Dio in una mangiatoia», o sulla «croce, dove la spogliazione giunge al culmine».

Papa Francesco precisa che, nel testo greco originale del Vangelo secondo Matteo, l’«aggettivo greco ptochós (povero) non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire “mendicante”», nel senso di qualcuno che «evoca umiltà» e «consapevolezza dei propri limiti». Così come gli «anawim» - i «poveri di Iahweh» dell’Antico Testamento - «si fidano del Signore», sapendo di «dipendere da Lui». E tra i santi, il pensiero corre subito a san Francesco d’Assisi, che visse «l’imitazione di Cristo povero e l’amore per i poveri in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia». Come, allora, trasformare la povertà spirituale in uno stile di vita concreto? Il Santo Padre indica tre maniere. Innanzi tutto è necessario assumere in noi stessi la povertà, cercando di «essere liberi nei confronti delle cose», nel distacco «dalla brama di avere», dall’idolatria nei confronti del denaro. Poi concentrando lo sguardo su coloro che vivono una situazione di povertà materiale e spirituale: «vincendo la tentazione dell’indifferenza», dobbiamo «imparare a stare con i poveri», poiché costoro «sono per noi un’occasione concreta di incontrare Cristo stesso». Abbiamo, cioè, «tutti bisogno di conversione per quanto riguarda i poveri». Infine, potremo incarnare la povertà imparando dai poveri molte cose sull’«umiltà» e sulla «fiducia in Dio». Essi, infatti, «hanno tanto da offrirci e da insegnarci», essendo per noi «come maestri» di saggezza.

Ai giovani il Papa indica le Beatitudini come «via della vera felicità», opposta a ciò «che di solito viene comunicato dai media, dal pensiero dominante». Difatti «beati» - in greco «makarioi» - vuol dire «felici». Per questo il Pontefice sprona ad «andare contro corrente» e ad affrancarsi da una prassi mondana sempre in cerca del successo o del piacere effimero. Ai «poveri in spirito», quindi, appartiene «il regno dei cieli», già presente, ma non ancora compiuto in pienezza. Papa Francesco esorta anche i giovani ad identificarsi in Maria, «povera in spirito», intonando assieme a Lei il Magnificat, che è «il canto di chi vive le Beatitudini». La Vergine è «beata», perché il suo «cuore povero» ha saputo «esultare e meravigliarsi per le opere di Dio».




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