di Riccardo Cascioli
Devo confessare che quando sento parlare di “seconda chance”, seconda opportunità, a proposito di matrimonio, provo un profondo disagio. Sono abbastanza vecchio da ricordare la propaganda divorzista intorno al referendum del 1974 (anche se allora ero un adolescente), quanto si parlasse di seconda opportunità, presentando casi estremi e cercando di dimostrare la disumanità di una legge che imponeva di rimanere legati a un solo uomo o una sola donna pure in questi casi. Poi, come giornalista, ho avuto modo di seguire negli anni ’90 in Irlanda i tentativi di introdurre il divorzio in quel paese. E anche qui, l’argomento forte era quello della “seconda chance” per chi si trovava in certe situazioni particolari. Insomma, "seconda chance" e divorzio vanno a braccetto da sempre.
Ecco perché quando sento eminenti cardinali parlare di “seconda chance” – con riferimento ai divorziati risposati e alla loro riammissione ai sacramenti -, nasce quel disagio, che diventa più profondo quando vi si accosta la parola Misericordia. «Non è immaginabile che uno possa cadere in un buco nero da cui Dio non possa tirarlo fuori», aveva detto il cardinale Walter Kasper nella sua relazione al Concistoro. Ma se questo è il criterio, perché allora solo una “seconda chance” e non anche un terza, una quarta e via numerando? Ci saranno sicuramente persone sfortunate che capiteranno male anche nel secondo matrimonio. Forse che la Misericordia di Dio è limitata? E’ lo stesso papa Francesco ad aver detto tante volte che Dio non si stanca di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono. E in fondo lo sappiamo: quante volte accostandoci al Sacramento della Riconciliazione ci siamo trovati a dover confessare lo stesso peccato di cui già tante volte ci eravamo pentiti e per il quale avevamo promesso di non ripeterlo più?
Ma siccome la differenza la fa l’eventuale “permanere nel peccato”, viene anche da chiedersi perché la possibilità di accostarsi ai sacramenti pur permanendo in una situazione irregolare (per di più pubblica) debba valere per un solo peccato.
E’ vero, il cardinale Kasper - contrariamente a tanti suoi confratelli tedeschi – ha detto chiaramente che non può essere messa in discussione l’indissolubilità del matrimonio, ma quel suo chiedere come trovare la quadratura del cerchio mettendo insieme indissolubilità e seconda chance fa intuire la pericolosità della questione. Il pericolo è ciò di cui Gesù incolpa i farisei quando dice loro che sono «veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione». Vale a dire, trovare il modo per mantenere una fedeltà formale alla norma dell’indissolubilità mentre nella sostanza la si aggira. E’ un pericolo peraltro che al Concistoro è stato evocato.
Ed è un pericolo che è reso ancora più presente dal fatto che la questione dei divorziati risposati ha ormai assunto un peso più che sproporzionato. Parlando di sfide della Chiesa riguardo alla famiglia, infatti, non si può non notare che questo aspetto riguarda soltanto le Chiese dei paesi occidentali, e anche all’interno di queste non appare certo come il fenomeno numericamente più evidente. Ad esempio, come non constatare che la maggior parte delle persone, anche coloro che vanno in chiesa la domenica, hanno perso qualsiasi consapevolezza di cosa sia la famiglia, che cosa la definisce, quale è il progetto di Dio su di essa? Divorzi e seconde e triple nozze sono solo la conseguenza, così come la tranquilla accettazione di qualsiasi genere di unione. Non sarebbe forse il caso di concentrarsi anzitutto su questo punto, che implica ripensare come accompagnare le coppie al matrimonio? E’ vero, per chi si trova già nei guai è troppo tardi, ma almeno si eviterebbe di moltiplicare in futuro situazioni oggettive di sofferenza.
In ogni caso, la questione dei divorziati risposati riguarda un numero limitato di paesi e andando verso un Sinodo che vede coinvolte le Chiese di tutto il mondo stupisce che non si parli di altro. Eppure le sfide riguardo alla famiglia sono molte e anche gravi. Dai tentativi in sede internazionale di ridefinirne il significato ai matrimoni forzati in Africa e Asia, dalla schiavitù del prezzo delle spose alla poligamia, le sfide che la Chiesa incontra sul suo cammino sono molte. Ridurre tutto il dibattito ai divorziati risposati – pur senza voler minimizzare la sofferenza di chi si trova in certe condizioni - sembra il dramma di una Chiesa che non solo non arriva alle periferie esistenziali ma non riesce neanche a sollevare lo sguardo dal proprio ombelico.
Stimolati da questo, abbiamo perciò deciso di andare a vedere quali problemi concreti e quale sfide relative alla famiglia debbano affrontare le Chiese d’Africa, Asia e America Latina. E li pubblicheremo nei prossimi giorni.
La nuova Bussola Quotidiana 24-02-2014
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