martedì 18 febbraio 2014

PER UNA DEVOTA FREQUENTAZIONE DELLA CASA DI DIO E PER UN BUON RAPPORTO CON GESÙ EUCARISTIA







di Don Leonardo Maria Pompei

1. Il luogo sacro: tempio e casa di Dio

In tutti i popoli ed in tutte le culture, da sempre, si è avvertita l’esigenza di delimitare uno spazio, circoscrivere un luogo, determinare un ambiente che favorisse l’incontro tra l’uomo e la divinità. Noi italiani possiamo tuttora oggi ammirare le rovine degli antichi (e splendidi) templi pagani di Roma, ma lo stesso possono fare in Grecia, in America Latina, in Africa, in Asia: l’uomo ha sempre sentito che doveva esserci Qualcosa, o meglio Qualcuno di più grande di lui e che era necessario definire un posto in cui fosse possibile cercare una qualche forma di contatto con questo Misterioso Essere. Gli Ebrei, nostri padri e fratelli maggiori (così li definì Giovanni Paolo II), costruirono a Dio un tempio grande, meraviglioso e imponente, purtroppo completamente raso al suolo dall’Imperatore Adriano e di cui oggi si possono ammirare solo le fondamenta del lato occidentale (il famoso “Muro del pianto”): essi sapevano e credevano che nel cuore del Tempio ci fosse la presenza viva e vera di Jahvè, la dimora della sua Gloria, un luogo in cui Egli era, parlava ed ascoltava le preghiere di ogni figlio del suo popolo. Con l’avvento del Cristianesimo questa convinzione si è ulteriormente rafforzata: Gesù, infatti, ha istituito il sacramento dell’Eucaristia, in cui, per un miracolo a noi incomprensibile e di cui gli angeli stessi stupiscono, trasforma la sostanza del pane senza lievito nella sua vera Carne, in cui Egli è e rimane presente sostanzialmente, ovvero con tutto se stesso: Corpo, Sangue, Anima e Divinità. La Chiesa ha chiamato questo miracolo con il nome di transustanziazione, termine che significa per l’appunto “cambiamento di sostanza”: non più pane di farina, ma Gesù in persona. Fin quando sussistono le sacre specie, dunque, Egli è personalmente e realmente presente in esse. Nelle nostre Chiese, dunque, nei tabernacoli di esse, c’è la presenza viva, vera, reale e personale di nostro Signore Gesù Cristo: sono la Casa di Dio per eccellenza, in cui abita Dio in persona, con una presenza viva e vera (anche se silenziosa e misteriosa), che richiede di essere creduta, riconosciuta ed onorata come merita.

2. Il tempio è una casa di preghiera

Fu Gesù in persona, quando scacciò i mercanti dal Tempio, a pronunciare questa frase: “il tempio è una casa di preghiera”. Vuol dire che tutto ciò che si fa, che si dice e che si svolge al suo interno deve avere come fine la preghiera, ovvero deve favorire la preghiera o almeno non impedirla o disturbarla. La preghiera, dice santa Teresa, non è altro che un intimo dialogo e colloquio con Colui che ci ama infinitamente e che si compiace di ascoltarci, di esaudirci, di parlarci. La Sua Voce, però, non è suono percepibile dall’orecchio, ma un pensiero dolce e soave, intimo e delicato, che io magari percepisco come “un mio pensiero”, quando invece è la Voce del mio Dio che parla al mio cuore. È necessario un grande raccoglimento e un profondo silenzio per poterla udire: ecco perché, nelle nostre Chiese, è richiesta una grande attenzione per mantenere un clima di profondissimo silenzio, dentro il luogo sacro e, possibilmente, anche nella zona circostante. Bisogna pian piano abituarsi a non parlare mai ad alta voce, ma sempre a voce sommessa, quasi soffusa e parlare solo di ciò che è indispensabile dire o che la carità fraterna esige che sia detto. Si può senza dubbio pregare ad alta voce, cantare al Signore con tutto il cuore, leggere la sua Parola, commentarla, fare una catechesi in Chiesa; ma non “chiacchierare”, nemmeno fare una buona e amichevole conversazione, cose che rivestono una grande importanza e valenza anche per noi cristiani, ma che non trovano nel luogo Sacro il luogo ideale per svolgersi. Quando sono in Chiesa sono più che mai alla presenza di Dio (anche se Lui mi vede sempre e dovunque mi trovo); ma sono anche nel luogo che è consacrato perché lo si usi solo per ciò che attiene al suo onore, al suo culto, alla sua ricerca. Tutto quello che noi vediamo in una Chiesa cristiana, la bellezza degli arredi sacri, l’architettura, le sculture, le pitture, gli strumenti del culto, sono pensati, voluti e fatti solo per rendere culto a Dio, per dirgli che Lui è bello, che Lui solo è grande, che Lui solo merita tutto il nostro amore, tutta la nostra dedizione, tutta la nostra adorazione. Ed anche per aiutare chiunque entra nel luogo Sacro (anche attraverso la sua bellezza di cui tanto parla Papa Benedetto XVI) a prendere coscienza della Bellezza di Dio: la Chiesa, casa e tempio di Dio, dovrebbe essere una rappresentazione (in piccolo) di ciò che è il Paradiso, dove Dio ed i santi abitano in una felicità e delizia piena e sempiterna: entrando in Chiesa, osservandone il decoro, la pulizia ed anche la bellezza (anche modesta, ma sempre dignitosa), ognuno di noi dovrebbe sentire un po’ di nostalgia di Dio e del Paradiso. Il nostro silenzio, il nostro modo di comportarci, il nostro modo decoroso e dignitoso di vestire, di stare ed intrattenerci nel luogo sacro è una parola che noi diciamo a Dio ed anche agli altri. Padre Pio raccomandava ai suoi figli spirituali di essere irreprensibili nel modo di stare nel luogo sacro, proprio perché questo rivela il nostro senso del soprannaturale, la nostra percezione della grandezza dell’Altissimo, il nostro delicato, devoto, garbato e filiale modo di manifestargli tutto il nostro affetto, amore e adorazione.

3. Alcune indicazioni pratiche

La prima cosa da fare, appena si entra in Chiesa, è volgere lo sguardo verso il Tabernacolo, che è indicato dalla lampada che brilla ininterrottamente a fianco ad esso, e adorare il Signore, realmente presente nel Tabernacolo, con il gesto della genuflessione, che consiste nel piegare il ginocchio destro, toccando con esso la terra, mentre mentalmente si rivolge un’espressione di amorevole saluto al Signore. Dopo la genuflessione, il primo gesto da compiere è il segno della croce, preferibilmente con l’acqua santa, avendo cura di compiere questo gesto con rispetto e devozione, mai in modo frettoloso o distratto. Con questo semplice gesto, infatti, si compiono moltissimi atti di fede: si dichiara di credere nella Santissima Trinità, le cui tre divine Persone si nominano (“nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo); tracciando il segno della croce, ci si ricorda del patibolo su cui nostro Signore Gesù è stato ucciso, per salvarci dai nostri peccati; questi due misteri (che sono quelli principali della nostra fede cattolica) ci si impegna a tenerli fissi nella mente (si porta la mano su di essa), ad amarli con tutto il cuore (si porta la mano sul cuore) a servirli con tutte le forze (si porta la mano sulle due spalle): e questo, come insegna Gesù, è il primo e il più grande di tutti i comandamenti (“amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze”). Fatti questi gesti, si può andare al banco per rivolgere una preghiera a Gesù, oppure accendere una candela (simbolo della nostra devozione: accendo una candela per dire a Gesù, a Maria o a un santo, che voglio che la mia piccola vita sia consumata per loro, come la fiamma consuma la cera della candela e per “illuminarli”, ovvero per farli vedere a tutti attraverso la mia vita protesa verso la santità). Padre Pio raccomandava, quando si prega in Chiesa, di non divagare con lo sguardo, non girarsi a vedere chi entra e chi esce, etc.: rimango in dolce colloquio con Gesù, gli parlo, lo ascolto, lo lodo, lo ringrazio, gli chiedo le cose di cui ho bisogno. E quando uscirò dalla Chiesa compirò gli stessi gesti di quando sono entrato. La piccola Bernardetta di Lourdes disse che rimase sbalordita (in senso positivo) nel vedere come la Madonna si faceva il segno della Croce, con quanto rispetto, amore e devozione; san Josè Maria Escrivà raccomandava ai suoi figli di fare con molta devozione la genuflessione, evitando di fare strani gesti o pseudo inchini che sembrano quasi “una burla”. Sono infatti gesti che Gesù vede e con cui gli comunichiamo il nostro amore: pensiamo alla differenza tra il ricevere una carezza o un bacetto affettuoso da un nostro familiare, oppure un gesto di circostanza o un bacio dato per abitudine, freddo e senza amore. L’Immacolata Vergine Maria Santissima, i Santi e il nostro Angelo custode ci insegnino ad essere sempre molto delicati e affettuosi verso Gesù, il cui Cuore che pulsa nei nostri Tabernacoli, è un roveto ardente di amore sconfinato verso tutti e ciascuno di noi.

4. Il tempio è un luogo di culto: il sacrificio della Santa Messa

Oltre che casa di preghiera, il tempio è anche il luogo del culto, in cui si offre a Dio il sacrificio a Lui gradito per eccellenza, anzi l’unico che Egli gradisce: quello del Suo Figlio Santissimo, Vittima innocente che si è offerto in olocausto al Padre per la nostra salvezza, distruggendo nel crogiuolo delle Sue immense sofferenze tutti i nostri peccati, per ottenerci la riconciliazione con il Padre, la Grazia che abita nelle nostre anime, la possibilità di vivere come amici di Dio. Al Suo Sacrificio, che si perpetua nel corso del tempo e della storia nel santo Sacrificio della Messa, Gesù associa la sua Chiesa, ovvero ogni fedele battezzato, che da Gesù e in Gesù, per Lui e con Lui, deve imparare a trasformare tutta la sua esistenza in “un’offerta viva gradita al Padre”, offrendo a Dio la propria giornata, il proprio lavoro, le proprie piccole o grandi sofferenze, in una parola tutto se stesso. Dio non cerca e non vuole sacrifici di animali (come nell’Antico Testamento) e nemmeno le nostre cose, i nostri beni: Dio desidera il nostro cuore, che Lui ha creato perché potesse conoscerLo, amarLo e servirLo in questa vita, per goderLo eternamente in quella che ci attende nel Cielo. Tutto questo si vive e si compie soprattutto nella celebrazione della Santa Messa. All’inizio di essa tutti noi ci riconosciamo piccoli e miseri davanti a Dio, bisognosi del suo perdono, della sua Parola e della sua grazia (riti di introduzione e atto penitenziale); poi ascoltiamo la sua Parola, che ci insegna a distinguere il vero dal falso, il bene dal male, il bello dal brutto, perché la mettiamo in pratica (liturgia della Parola); poi professiamo la nostra fede in Dio e Gli eleviamo le nostre suppliche (Credo e preghiera dei fedeli). Nell’offertorio il sacerdote offre se stesso e tutti noi come sacrifici viventi a Dio Padre, supplicandoLo che ci accetti in unione al suo Figlio Gesù, divina Vittima (Ostia) che sarà immolata nella liturgia eucaristica. Poi, il sacerdote ringrazia Dio e lo loda per tutti i benefici che ci elargisce (Prefazio). Finalmente si giunge al momento più solenne, più importante, più bello e più grande che esiste nell’universo: attraverso la consacrazione Dio trasforma il pane ed il vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, che vediamo separati come lo furono sul Golgota, quando Gesù moriva offrendo la sua vita per noi nel supplizio della Croce: tutto questo si compie qui ed ora in ogni Messa che si celebra (liturgia eucaristica). Dopo aver pregato il Padre con le parole insegnateci da Gesù, si giunge all’altro momento cardine della Santa Messa: la santa Comunione, in cui si diventa una sola cosa con Gesù in persona, in un mistero ineffabile che comprenderemo solo in cielo: divento una sola carne, un solo sangue, un solo spirito, un solo cuore con Gesù. È la massima unione possibile che si può avere con Dio su questa terra. Dovrebbe diventare il momento in assoluto più bello della nostra vita. È il dono di Gesù, che attende cuori grati e ben disposti ad accoglierlo.

5. Indicazioni per una buona partecipazione alla santa Messa

I Santi davano delle indicazioni molto semplici, ma anche molto incisive: se vuoi partecipare bene alla santa Messa, vivila come se fosse la prima, come se fosse l’ultima, come se fosse l’unica. Non c’è nulla di più grande nell’universo, come insegnava Padre Pio. La partecipazione alla santa Messa deve essere attenta (non distrarsi e non divagare con gli occhi o col pensiero), degna (non ridere, non chiacchierare, rispondere recitando bene le parti riservate ai fedeli), devota (animata dal senso di stare alla presenza di Dio, stando in ginocchio almeno durante la consacrazione e dopo la Comunione, atteggiamento che esprime l’adorazione che a Dio è dovuta e che i santi raccomandavano: Padre Pio, se vedeva qualcuno in piedi alla sua Messa, esclamava imperiosamente: “in ginocchio!”). Vivere ogni momento della Messa in modo consapevole: umiliandosi nei riti introduzione, ascoltando con attenzione durante la liturgia della Parola, offrendosi a Dio durante l’Offertorio, adorando nel più assoluto silenzio durante la consacrazione e la preghiera eucaristica, amando e intrattenendosi in dolce colloquio con Gesù se lo si è ricevuto nella Comunione sacramentale, oppure, se non ci si può accostare ad essa, fare la comunione spirituale, tanto raccomandata dai Santi, rivolgendo a Gesù eucaristico parole come queste: “desidero riceverti, Signore Gesù, con la purezza, l’umiltà e la devozione con cui ti ricevette la tua santissima Madre e con lo spirito e il fervore dei santi”. Terminata la S. Messa è bene uscire in silenzio e riservare l’area del sagrato della Chiesa per intrattenersi fraternamente con i nostri fratelli e sorelle. I Santi raccomandavano di dedicare un congruo tempo al ringraziamento. Il silenzio dopo la comunione serve a questo.

6. Indicazioni per una buona Comunione sacramentale

Per fare una buona comunione è necessario: essere in grazia di Dio, ovvero non avere sulla coscienza alcun peccato grave non confessato, altrimenti è necessario prima confessarsi; rendersi conto di Chi si va a ricevere, prendendo coscienza del dono che Dio ci fa nella santa Comunione; desiderarlo con tutto il cuore; comunicarsi in modo degno e devoto. Si ricordi che il modo attualmente ordinario di ricevere la comunione nella Chiesa Cattolica è comunicarsi in piedi ricevendo l’Ostia in bocca (forma normale), dicendo “Amen” dopo che il sacerdote ha detto “il Corpo di Cristo” e facendo almeno un inchino profondo con la testa in segno di adorazione. È comunque un diritto dei fedeli che lo desiderano quello di ricevere la comunione in ginocchio, prassi che la Chiesa e anche l’attuale Pontefice hanno sempre lodato e incoraggiato come espressione piena dell’adorazione dovuta a Gesù eucaristia; ricevere la Santa Ostia sulle mani è una facoltà (non un diritto né tanto meno un dovere) che è stata concessa dalla Santa Sede su richiesta dei Vescovi, purché si faccia attenzione alla pulizia delle mani e a non lasciare cadere in terra alcun frammento, anche minimo, in cui è presente Gesù tutto intero.









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