giovedì 14 marzo 2013

Quando il cardinal Bergoglio parlò del libro di don Giussani: «Si tratta di dire Tu a Cristo, e dirglielo spesso»



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Redazione Tempi 

Quando era cardinale di Buenos Aires, Bergoglio presentò un libro del fondatore di Comunione e Liberazione, che gli inviò un telegramma. Ecco i testi


A papa Francesco, quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires, è capitato di presentare alla Fiera del Libro della sua città un libro di monsignor Luigi Giussani, L’attrattiva Gesù. Accadde il 27 aprile 2001 e ne diede conto Tracce, la rivista ufficiale del movimento di Comunione e Liberazione.

In quell’occasione, come narra la cronaca, il cardinale Jorge Mario Bergoglio presentò il volume in una delle sale più grandi «che, sorprendentemente, si rivelò piccola. Si son dovute togliere varie file di sedie per lasciare spazio – per lo meno in piedi – a tutti i presenti». Già nel 1999, Bergoglio aveva presentato un altro libro di Giussani, El Sentido Religioso, e, in quella seconda occasione disse: «Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo».

Per mezzo di un telegramma, don Giussani lo ringraziò, scrivendogli che la sua presenza faceva sentire agli aderenti al movimento «la vicinanza del Papa e di tutta la Chiesa, nostra Madre, per la quale siamo stati voluti all’esistenza e scelti per ingrossare il flusso del popolo cristiano dall’attrattiva Gesù, l’uomo-Dio che ci ha raggiunti e convinti. Tanto che Lo abbiamo seguito, con tutti i nostri limiti e con tutti i nostri impeti, tutto a Lui offrendo lietamente nella semplicità del cuore. Ci sia maestro e padre, Eminenza, come sento raccontare dai miei amici di Buenos Aires, grati alla Sua persona e obbedienti come a Gesù. Mi sia consentito ringraziare tutti loro che sono presenti, segno grande per me di stima verso Colui che, attraverso la fragilità delle nostre persone, si rende visibile, udibile e toccabile nel mondo».

Ecco di seguito alcuni passi di quell’intervento dell’allora cardinale Bergoglio.

«Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Oserei dire che si tratta della fenomenologia più profonda e, allo stesso tempo, più comprensibile della nostalgia come fatto trascendentale. C’è una fenomenologia della nostalgia, il nóstos algos, il sentirsi richiamati alla casa, l’esperienza di sentirci attratti verso ciò che ci è più proprio, che è più consono al nostro essere. Nel contesto delle riflessioni di don Giussani incontriamo pennellate di una reale fenomenologia della nostalgia.

Il libro che oggi si presenta, L’attrattiva Gesù, non è un trattato di teologia, è un dialogo di amicizia; sono conversazioni a tavola di don Giussani con i suoi discepoli. Non è un libro per intellettuali, ma per chi è uomo o donna. È la descrizione di quella esperienza iniziale, a cui mi riferirò più avanti, dello stupore che viene a galla dialogando sull’esperienza quotidiana provocata, affascinata dalla presenza e dallo sguardo eccezionalmente umano e divino di Gesù. È il racconto di un rapporto personale, intenso, misterioso e concreto allo stesso tempo, di un affetto appassionato e intelligente verso la persona di Gesù, e questo permette a don Giussani di arrivare come alla soglia del Mistero, di dare del tu al Mistero.
Tutto nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest’uomo, il falegname di Nazareth, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso. I primi, Giovanni, Andrea, Simone, si scoprirono guardati fin nel profondo, letti nel loro intimo, e in essi si è generata una sorpresa, uno stupore che, immediatamente, li faceva sentire legati a lui, che li faceva sentire diversi.

Quando Gesù chiede a Pietro: «Mi ami?», «quel “sì” non era l’esito di una forza di volontà, non era l’esito di una “decisione” del giovane uomo Simone: era l’emergere, il venire a galla di tutto un filo di tenerezza e di adesione che si spiegava per la stima che aveva di lui – perciò è un atto di ragione -», è stato un atto ragionevole, «per cui non poteva non dire “sì”».

Non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione se su di essa non è fatto scattare – perdonatemi la parola – il grilletto della misericordia. Solo chi ha incontrato la misericordia, chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, si trova bene con il Signore. Chiedo ai teologi presenti che non mi denuncino al Sant’Uffizio né all’Inquisizione, però forzando l’argomento oserei dire che il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato.
Di fronte a questo abbraccio di misericordia – e continuo secondo le linee del pensiero di Giussani – viene proprio voglia di rispondere, di cambiare, di corrispondere, sorge una moralità nuova. Ci poniamo il problema etico, un’etica che nasce dall’incontro, da quest’incontro che abbiamo descritto fino ad ora. La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico, lo sforzo di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sfida solitaria di fronte al mondo. No. La morale cristiana è semplicemente risposta. È la risposta commossa davanti a una misericordia sorprendente, imprevedibile, “ingiusta” (riprenderò questo aggettivo). La misericordia sorprendente, imprevedibile, “ingiusta”, con criteri puramente umani, di uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e lo stesso mi vuole bene, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me e attende da me. Per questo la concezione cristiana della morale è una rivoluzione, non è non cadere mai ma alzarsi sempre.

Come vediamo, questa concezione cristianamente autentica della morale che Giussani presenta non ha niente a che vedere con i quietismi spiritualoidi di cui sono pieni gli scaffali dei supermercati religiosi oggigiorno. Inganni. E neppure con il pelagianismo così di moda nelle sue diverse e sofisticate manifestazioni. Il pelagianismo, al fondo, è rieditare la torre di Babele. I quietismi spiritualoidi sono sforzi di preghiera o di spiritualità immanente che non escono mai da se stessi.
Gesù lo si incontra, analogamente a 2000 anni fa, in una presenza umana, la Chiesa, la compagnia di coloro che Egli assimila a sé, il Suo corpo, il segno e sacramento della Sua presenza. Leggendo questo libro, uno rimane stupefatto e pieno di ammirazione davanti a un rapporto così personale e profondo con Gesù, e gli sembra che sia difficile per lui. Quando dicono a don Giussani: «Che coraggio bisogna avere per dire sì a Cristo!» oppure: «A me nasce questa obiezione: si vede che don Giussani ama Gesù e io invece non lo amo allo stesso modo». Lui risponde: «Perché opponete quello che voi non avreste a quel che io avrei? Io ho questo sì e basta, e a voi non costerebbe neanche una virgola di più di quello che costa a me… Dire sì a Gesù. Se io prevedessi domani di offenderlo mille volte, lo dico». Quasi testualmente, Teresa di Lisieux ripete la stessa cosa. «Lo dico, perché se non dicessi “sì” a Gesù non potrei dir “sì” alle stelle del cielo o ai capelli, ai vostri capelli…». Non c’è niente di più semplice: «Io non lo so com’è, non so come sia: so che io debbo dire “sì”. Non posso non dirlo». E ragionevolmente, ossia, ogni momento Giussani nella riflessione di questo libro ricorre alla ragionevolezza dell’esperienza.

Si tratta di iniziare a dire Tu a Cristo, e dirglielo spesso. È impossibile desiderarlo senza chiederlo. E se uno incomincia a chiederlo, allora incomincia a cambiare. D’altra parte, se uno lo chiede è perché nel profondo del suo essere si sente attratto, chiamato, guardato, atteso. La esperienza di Agostino: là dal fondo dell’essere qualcosa mi attrae verso qualcuno che mi ha cercato per primo, mi sta aspettando per primo, è il fiore di mandorlo dei profeti, il primo che fiorisce in primavera. È quella qualità che ha Dio e che mi permetterò di definire con una parola di Buenos Aires: Dio, Gesù Cristo in questo caso, sempre ci primerea, ci anticipa. Quando arriviamo, ci stava già aspettando.
Colui che incontra Gesù Cristo sente l’impulso di testimoniarlo o di dar testimonianza di quello che ha incontrato, e questa è la vocazione cristiana: andare e dare testimonianza. Non si può convincere nessuno. L’incontro accade. Che Dio esiste lo si può provare, però attraverso la via del convincimento mai potrai ottenere che qualcuno incontri Dio. Questo è pura grazia. Pura grazia. Nella storia, da quando è iniziata fino al giorno d’oggi, sempre prima la grazia, sempre viene prima la grazia, poi viene tutto il resto.



Tempi.it   marzo 13, 2013

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