giovedì 12 gennaio 2012
Dialoghi sulla vita della Chiesa
di Pietro Soliani
Sono stato educato a pensare al sacerdote come alla manifestazione della presenza di Cristo. In questi tempi di crisi profonda, che è crisi soprattutto di Fede, questa consapevolezza a volte sembra attenuarsi in molti fedeli.
L’incontro con un sacerdote secondo il cuore di Cristo, però, risveglia la Speranza cristiana nella Resurrezione e dona la consapevolezza che «le porte degli inferi non prevarranno». Vorrei raccontare di due incontri che ho fatto nelle ultime settimane e che parlano esattamente di questo.
Il primo incontro è quello con un seminarista di un seminario tradizionale che si trova in Baviera. L’ho invitato a cena, insieme a un suo confratello sacerdote, nell’appartamento nel quale vivo con altri studenti. Dopo qualche presentazione, abbiamo parlato della necessità di tornare ad una formazione spirituale che riprenda tutta la ricchezza della Tradizione cattolica.
«Assistendo al rito antico ho avuto la sensazione che si stia perdendo qualcosa di bello, non in senso superficiale, ma nel senso di qualcosa di sacro che dovrebbe essere conosciuto e diffuso», afferma un mio amico rivolto al sacerdote. «È proprio così. Purtroppo il nuovo rito necessita sempre di una costante riforma e di essere “animato” perché non ha in sé quella perennità che è un riflesso dell’Eterno e che il rito antico, invece, possiede».
Ho fatto notare, però, che sentendo i pareri di molti esperti di liturgia odierni, sembra necessario spogliare il rito della Santa Messa da tante incrostazioni per tornare alla sua essenzialità, cioè all’aspetto comunitario della frazione del Pane.
«È vero – dice il seminarista – che nei primi tempi ci si riuniva nelle catacombe e poi nelle case dei cristiani per la Santa Messa; e poi c’era questo aspetto della condivisione del Pane spezzato; ma gli stessi cristiani ad un certo punto hanno sentito l’esigenza di arricchire il rito perché capivano che quel gesto era qualcosa di grandioso e di misterioso.
Per questo nacque la schola che arricchiva il rito con il canto, nacquero diversi ministeri e tante preghiere che conserviamo ancora oggi. Ad esempio, per quanto riguarda la formazione dei sacerdoti è un peccato che non si faccia più la tonsura ai seminaristi. Aveva un significato molto bello: la corona di capelli simboleggiava la corona di spine di Cristo.
Questo processo di arricchimento e di sacralità era, comunque, sempre in vista della lode a Dio, era orientato verso Dio». Trovo conferma di quello che penso: il riformismo esasperato in campo liturgico, non è altro che regressismo dal sapore protestante.
«Tra l’altro il rito antico –aggiunge il sacerdote – è un elemento che facilita il dialogo con i cristiani ortodossi; mentre con i protestanti il dialogo è realisticamente impossibile». È vero, penso, anche solo razionalmente il protestantesimo è l’opposto della dottrina Cattolica: per i protestanti la verità si fonda sulla libertà del soggetto, mentre nel Vangelo si dice esattamente l’opposto: «la verità vi farà liberi».
Basta leggere alcuni scritti del beato Rosmini sul protestantesimo per capirlo.
Siamo poi giunti a parlare della carenza di vocazioni. «Ma i due seminari della nostra fraternità sono pieni – risponde il seminarista –. Anzi, non c’è il posto per accogliere tutti. La maggior parte delle vocazioni francesi, ad esempio, sono nel nostro seminario tedesco. Arrivano ragazzi che hanno appena finito il liceo (18-19 anni), figli di famiglie numerose che vivono il Vangelo radicalmente.
Posso assicurare che non sono dei fanatici, sono solo cristiani. Non è vero, quindi, che in Francia non ci sono vocazioni. Ciò che manca è la formazione adeguata nei seminari, e molti giovani cercano da noi ciò che non trovano nei seminari delle diocesi. È impressionante: nella nostra Fratenità l’età media dei seminaristi è di circa 25 anni».
Alcuni giorni dopo parlo con un sacerdote anziano della mia diocesi il quale mi rende partecipe di alcuni suoi pensieri sulla vita della Chiesa. «È necessario rivedere l’impostazione della pastorale. È importante l’organizzazione, ma è più necessaria la preghiera. I preti sono prosciugati dalle attività con i ragazzi, ma hanno bisogno di stare alla presenza di Dio… Sono rimasto male dal dialogo con un sacerdote di 65 anni al quale ho ricordato l’importanza del ringraziamento dopo la Messa. Mi sono sentito rispondere: “Ma la nuova teologia non lo prevede più”.
Ho risposto che allora la nuova teologia non prevede più di pregare, e questo è molto strano…». Mi viene in mente che, in effetti, abbiamo relegato Gesù in cappelle laterali, per mettere al suo posto un libro aperto e un altare che chiamiamo mensa. E mi viene anche in mente che quello che un tempo era detto da tutti Santissimo Sacramento, oggi è chiamato nei documenti della CEI “riserva eucaristica” (vedi documento sull’adeguamento liturgico).
«Non mi sembra – aggiunge l’anziano sacerdote – che sia un bel modo per santificare la festa quello di arrivare all’inizio della S. Messa e andarsene quando sta per finire. I nostri vecchi insegnavano a fare almeno dieci minuti di ringraziamento. Sono pessimista sul modo nel quale si sta impostando la pastorale perché non risolve la crisi della Chiesa che è crisi legata alla poca preghiera. Dagli anni ’60 è iniziato il disorientamento: occore riorientarsi…
Un sacerdote, molti anni fa, sapevo che faceva quasi un’ora di ringraziamento dopo la Messa e, mentre pregava, i bambini di 7-8 anni gli giravano intorno e giocando con la talare. È una scena molto bella!». È una scena del Vangelo.
Fonte: liberta' e persona
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