Dopo lo storico invito di Benedetto XVI ad Assisi
Fonte: L'Osservatore Romano, del 14.01.2012
Traduzione italiana di un articolo del direttore dell’Istituto di ricerche filosofiche della Universidad Nacional Autónoma del Messico, che esce sulla rivista «Palabra».
Il 27 ottobre 2011 sono stato invitato, insieme a Walter Baier, Remo Bodei e Julia Kristeva, all’incontro ecumenico e interreligioso organizzato ad Assisi dalla Chiesa cattolica. Noi quattro siamo non credenti dichiarati, ma siamo stati invitati con uno storico gesto di Papa Benedetto XVI a favore del dialogo fra credenti e non credenti. Mi sembra che l’importanza di questo dialogo non si possa ignorare. Credo tuttavia che per configurarlo meglio occorra fare alcune distinzioni.
Così come i credenti non sono tutti uguali — ce ne sono di fedi e atteggiamenti differenti — non lo sono neppure i non credenti. Potremmo dire che normalmente i non credenti si trovano tra due estremi: da una parte ci sono gli atei pieni di rabbia, nemici di Dio e della religione, dall’altra gli agnostici spirituali che stanno per convertirsi a una religione specifica. Fra questi due estremi, tanto distanti fra loro, ci sono molti tipi di non credenti: i tolleranti, gli indifferenti, quelli che cercano Dio, quelli che si rifiutano di credere in lui, e così via.
Ci sono anche atei che in realtà non lo sono, che credono in Dio nel profondo del loro animo, ma che sono arrabbiati con lui e che perciò lo negano. Ci sono pure agnostici che in realtà non lo sono, che credono nella divinità ma che non ne conoscono il volto e quindi non adottano una religione specifica. Lo spettro delle posizioni è amplissimo e perciò parlare di non credenti in astratto genera non poche difficoltà.
Di questo noi quattro non credenti invitati ad Assisi ci siamo subito resi conto. Le nostre posizioni di fronte alla religione e di fronte alla divinità erano molto diverse. Sembra che, dei quattro, io sia stato l’unico a sentirsi identificato con il messaggio del Papa agli agnostici. Nel suo discorso di Assisi, Benedetto XVI ha fatto una distinzione fra atei e agnostici. Ha descritto i primi come antireligiosi e i secondi come persone che soffrono per la loro mancanza di fede e che nella loro ricerca della verità e del bene cercano anche Dio.
Quando ho ascoltato questa definizione degli agnostici mi sono commosso. In effetti, nella mia umile ricerca della verità mi sono interrogato sull’esistenza di un Dio che potesse dare una risposta alle mie domande. E nello scoprirmi senza fede, senza protezione, ho anche desiderato l’esistenza di un Dio che mi offrisse sostegno nei giorni più neri.
Ma non sempre penso e sento allo stesso modo. A volte, la stessa ricerca della verità, vale a dire della verità oggettiva — quale altra potrebbe essere? — mi fa pensare che Dio non esiste, che dobbiamo cercare le risposte da soli. Altre volte, quando soffro per la mia solitudine, per la mia finitezza, qualcosa dentro di me mi fa ribellare contro l’idea che solo un Dio magnanimo potrebbe tirarmi fuori da questo stato. E allora ritrovo nella mia condizione la dignità e il coraggio sufficienti per andare avanti. L’agnostico che soffre perché è senza Dio e lo cerca è, a mio parere, un tipo molto speciale di non credente che non si può prendere come esempio paradigmatico dell’agnostico.
Se la Chiesa cattolica desidera veramente dialogare con tutti i non credenti, dovrà riconoscere che ce ne sono di tanti tipi, che non tutti cercano Dio o soffrono per la sua mancanza, e che tuttavia molti di essi sono disposti ad aprire la propria mente e il proprio cuore per avviare un dialogo costruttivo con i cattolici. Se qualcosa possiamo prendere da quello che potremmo chiamare il “nuovo spirito di Assisi” è proprio questo.
Guillermo Hurtado
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