mercoledì 25 gennaio 2012
La liturgia fonte di vita, di preghiera e di catechesi
di don Mauro Gagliardi*
I nn. 1071-1075 del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) trattano della sacra liturgia in quanto fonte di vita, nonché della sua relazione con la preghiera e con la catechesi. La liturgia è fonte di vita innanzitutto perché è «opera di Cristo» (CCC, 1071). In secondo luogo, perché «è anche un’azione della sua Chiesa» (ibid.). Ma, tra questi due aspetti, qual è quello preminente? E inoltre, cosa significa in questo contesto la parola «vita»?
Risponde il Concilio Vaticano II: «Dalla liturgia, dunque, e particolarmente dall’Eucaristia, deriva in noi, come da una fonte, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini in Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa» (Sacrosanctum Concilium [SC], 10). Si comprende così che, quando si chiama la liturgia fonte di vita, si intende dire che da essa sgorga la grazia. Con questo, si è già risposto anche alla prima domanda: la liturgia è fonte di vita principalmente perché è opera di Cristo, Autore della grazia.
Un principio classico del cattolicesimo, tuttavia, afferma che la grazia non toglie la natura, bensì la suppone e la perfeziona (cf. san Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, 1, 8 ad 2 ecc.). Perciò anche l’uomo coopera al culto liturgico, che è azione sacerdotale del «Cristo tutto intero», ossia il Capo, che è Gesù, e le membra, che sono i battezzati. Così la liturgia è fonte di vita anche in quanto azione della Chiesa. Proprio in quanto opera di Cristo e della Chiesa, la liturgia è «azione sacra per eccellenza» (SC, 7), dona ai fedeli la vita di Cristo e richiede la loro partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa (cf. SC, 11). Qui si comprende anche il legame della sacra liturgia con la vita di fede: potremmo dire «dalla Vita alla vita». La grazia che ci è donata da Cristo nella liturgia chiama ad un coinvolgimento vitale: «La sacra liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa» (SC, 9), infatti «essa deve essere preceduta dall’evangelizzazione, dalla fede e dalla conversione; allora è in grado di portare i suoi frutti nella vita dei fedeli» (CCC, 1072).
Non a caso, al momento di raccogliere gli scritti liturgici di J. Ratzinger in un unico volume, dal titolo Teologia della liturgia, si è pensato di esprimere una delle intuizioni fondamentali dell’autore aggiungendo il sottotitolo: La fondazione sacramentale dell’esistenza cristiana. È una traduzione in termini teologici di ciò che Gesù ha detto nel Vangelo con le parole: «Senza di me, non potete fare nulla» (Gv 15,5). Nella sacra liturgia noi riceviamo il dono di quella vita divina di Cristo senza la quale non possiamo fare nulla di valido per la salvezza. Perciò la vita del cristiano non è altro che una continuazione, o il frutto, della grazia che si riceve nel culto divino, in particolare in quello eucaristico.
In secondo luogo, la liturgia ha una stretta relazione con la preghiera. Di nuovo, il fulcro di comprensione di questo rapporto è il Signore: «La liturgia è anche partecipazione alla preghiera di Cristo, rivolta al Padre nello Spirito Santo. In essa ogni preghiera cristiana trova la sua sorgente e il suo termine» (CCC, 1073). La liturgia è dunque anche fonte di preghiera. Da essa impariamo a pregare nel modo giusto.
Siccome la liturgia è la preghiera sacerdotale di Gesù, cosa possiamo imparare da essa per la nostra preghiera personale? In cosa consisteva la preghiera del Signore? «Per comprendere Gesù sono fondamentali gli accenni ricorrenti al fatto che Egli si ritirava “sul monte” e lì pregava per notti intere, “da solo” con il Padre. [...] Questo “pregare” di Gesù è il parlare del Figlio con il Padre in cui vengono coinvolte la coscienza e la volontà umane, l’anima umana di Gesù, di modo che la “preghiera” dell’uomo possa divenire partecipazione alla comunione del Figlio con il Padre» (J. Ratzinger/Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, I, Rizzoli, Milano 2007, pp. 27-28). In Gesù, la preghiera “personale” non è distinta dalla sua preghiera sacerdotale: secondo la Lettera agli Ebrei, la preghiera sofferta di Gesù durante la Passione «costituisce la messa in atto del sommo sacerdozio di Gesù. Proprio nel suo gridare, piangere e pregare Gesù fa ciò che è proprio del sommo sacerdote: Egli porta il travaglio dell’essere uomini in alto verso Dio. Porta l’uomo davanti a Dio» (ibid., II, LEV, Città del Vaticano 2010, p. 184).
In una parola, la preghiera di Gesù è una preghiera di colloquio, una preghiera svolta alla presenza di Dio. Gesù ci insegna questo tipo di preghiera: «È necessario tenere sempre desta questa relazione e ricondurvi in continuazione gli avvenimenti quotidiani. Pregheremo tanto meglio quanto più nel profondo della nostra anima è presente l’orientamento verso Dio» (ibid., I, p. 159). La liturgia, dunque, ci insegna a pregare perché ci riorienta costantemente verso Dio: «In alto i nostri cuori – sono rivolti al Signore!». La preghiera è essere rivolti al Signore – e questo è anche il senso profondo della partecipazione attiva alla liturgia.
Infine, la preghiera è «luogo privilegiato della catechesi [...] in quanto procede dal visibile all’invisibile» (CCC, 1074-1075). Ciò implica che i testi, i segni, i riti, i gesti e gli elementi ornamentali della liturgia devono essere tali da trasmettere davvero il Mistero che significano e possano così essere utilmente spiegati all’interno della catechesi mistagogica.
*Don Mauro Gagliardi è Professore ordinario presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”, Professore incaricato presso l’Università Europea di Roma, Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice e della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
ZENIT - 25 gennaio 2012
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