martedì 12 novembre 2024

Eutanasia per disabili e dementi, in Canada c’è fretta di uccidere



Nel Québec la nuova legge consente a chi ha una forma di demenza di avanzare una «richiesta anticipata» di eutanasia. In Ontario, un rapporto conferma che alcuni disabili scelgono l’eutanasia per mancanza di cure e sostegno. Derive di una società che abbandona le persone.


Nuove derive

Vita e bioetica


Ermes Dovico,  12-11-2024

Arrivano nuove conferme dal Canada su come i Paesi che legalizzano l’eutanasia sprofondino rapidamente in un baratro senza fine, dove l’essere umano ha sempre meno valore.

Partiamo dalla provincia del Québec, dove il 30 ottobre di quest’anno è entrata in vigore la legge approvata nel giugno 2023 che consente ai pazienti che soddisfino determinati requisiti di avanzare una «richiesta anticipata» per ricevere – come la chiama la neolingua da quelle parti – «assistenza medica nel morire» (Medical aid in dyingMaid), ossia eutanasia e suicidio assistito. Nello specifico, la novità riguarda quelle persone «a cui è stata diagnosticata una malattia grave e incurabile che porta all’incapacità (ad esempio, il morbo di Alzheimer)», come si legge sul sito del governo del Québec, e che si trovano ancora nelle condizioni di esprimere il proprio consenso alle cure. Con la nuova norma, quindi, viene meno il requisito secondo cui coloro che chiedono in un certo momento della loro vita di accedere all’eutanasia debbano poi confermare questa intenzione immediatamente prima che la pratica mortifera venga eseguita.

E questo, d’ora in poi, potrà avvenire in barba al Codice penale canadese che ad oggi prevede che gli operatori sanitari non possano praticare l’eutanasia sulla base di una mera «richiesta anticipata», non confermata dal paziente stesso. Il governo Trudeau, pur riconoscendo la violazione del Codice penale, ha detto che non sfiderà la legge del Québec e annunciato che avvierà consultazioni con le altre province canadesi e sondaggi online. Inoltre, la Procura della Corona del Québec ha dichiarato che «non sarebbe nell'interesse pubblico autorizzare la formulazione di accuse penali in relazione a un decesso avvenuto nel contesto dell’assistenza medica nel morire», anche se attraverso una richiesta anticipata. L’importante, per la Procura, è che si rispettino i requisiti previsti dalla legge, in primo luogo il consenso libero e informato in materia di cure.

La persona cui è stata diagnosticata una forma di demenza e fa una richiesta anticipata di accesso all’eutanasia deve essere informata sull’esistenza di alternative, cioè delle cure disponibili. Tra i sei criteri da soddisfare, c’è quello di «essere in uno stato di salute tale da indurre un professionista competente (medico o infermiere specializzato) a ritenere, sulla base delle informazioni a sua disposizione e secondo il suo giudizio clinico, che la persona stia provando una sofferenza fisica o psicologica duratura e insopportabile che non può essere alleviata in condizioni considerate tollerabili». Questo parere deve essere confermato da un secondo professionista.

In primo luogo, va ricordato che tutti i requisiti, protocolli, criteri di garanzia e paletti di questo mondo non rendono mai l’eutanasia un atto buono: rimane un atto intrinsecamente cattivo, «una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana», come confermò san Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae (n. 65). In secondo luogo, il fatto che i suddetti requisiti diventino sempre di meno e sempre meno stringenti col passare degli anni rende evidente che la legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito si accompagna a una progressiva svalorizzazione della vita umana e della sua intangibilità. Terzo, l’assunto alla base dell’eutanasia stessa – il consenso libero e informato – è sempre più ipotetico che reale, visto che una legge che consente l’ingannevole “dolce morte” (dunque, una libertà slegata dal bene) esercita già di suo una pressione culturale sui più fragili e favorisce lo slittamento dell’arte medica dal prendersi cura del paziente all’abbandono dello stesso, fino a togliergli la vita il prima possibile.

Lo conferma – oltre alla crescita considerevole di eutanasia e suicidio assistito nell’intero Canada (il 4,1% di tutte le morti nel 2022, con un +31,2% rispetto al 2021) – anche un rapporto fresco di pubblicazione proveniente da un’altra provincia, l’Ontario. Come scrive in un articolo sul Globe and Mail la dottoressa Ramona Coelho, uno dei membri dell’Ontario MAiD Death Review Committee (il Comitato pubblico che si occupa di verificare l’applicazione della legge sull’eutanasia in quella provincia), «alcuni canadesi con disabilità» optano per eutanasia e suicidio assistito «perché non hanno accesso a supporti e servizi sanitari essenziali». E questa è una conferma della «validità dei ripetuti avvertimenti della Commissione canadese per i diritti umani (CHRC)». Ancora, aggiunge la dottoressa Coelho, il rapporto del Comitato dell’Ontario (pubblicato in tre parti: vedi qui, qui e qui) «sottolinea anche una tendenza preoccupante: alcuni fornitori di Maid possono porre fine alla vita di canadesi con disabilità senza aver esplorato a fondo altre opzioni di assistenza, senza aver considerato gli effetti di fattori non medici che influenzano le richieste di morte o senza essersi chiesti se la Maid debba essere un'opzione».

Emblematici gli esempi descritti dalla Coelho: «Un uomo affetto da malattia infiammatoria intestinale è stato informato sulla Maid – un esempio di potenziale influenza indebita. Sebbene l'uomo lottasse anche con dipendenze non trattate, isolamento sociale e problemi di salute mentale, sembra che questi siano stati ampiamente trascurati, così come le preoccupazioni della sua famiglia. In un altro caso, una donna con sensibilità chimica multipla ha optato per la Maid a causa della sofferenza causata dall'isolamento e dalla sua situazione abitativa». Esempi, questi, di una situazione generalizzata. «Morti superflue», le chiama la dottoressa. Morti cioè che si sarebbero potute e si sarebbero dovute evitare, mettendo al centro la persona: garantendole le giuste cure (anche palliative), un supporto materiale alla bisogna e la necessaria vicinanza umana e spirituale.






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