13 Novembre 2024
Cop29, l’annuale Conferenza Onu sul cambiamento climatico,
si svolge quest’anno a Baku, Azerbaigian (foto Ansa)
Alla Conferenza Onu sul clima tornano gli appelli a buttare migliaia di miliardi in discutibili fondi per l’ambiente. Ma erano irrealistici anche prima della vittoria di Trump, figurarsi adesso
La favola dei «100 miliardi all’anno» di Hillary Clinton
Il problema principale è che i paesi ricchi – responsabili della maggior parte delle emissioni che provocano il cambiamento climatico – vogliono ridurre le emissioni, mentre i paesi poveri hanno innanzitutto l’obiettivo di sradicare la povertà attraverso la crescita economica, che continua a dipendere in larga misura dai combustibili fossili. Per convincere i paesi più poveri ad agire contro i propri interessi, due decenni fa l’Occidente ha iniziato a offrire loro denaro contante.
Nel 2009, l’allora segretario di Stato americano Hillary Clinton promise «nuovi e ulteriori» fondi per 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 se i paesi in via di sviluppo avessero accettato di ridurre le emissioni di CO2. Ma il mondo ricco non ha rispettato l’impegno e la maggior parte dei finanziamenti è stata semplicemente reimpacchettata e rietichettata più volte come aiuto allo sviluppo.
«Solidarietà per un mondo green», recita uno slogan della Cop29
in corso fino al 22 novembre nella capitale azera (foto Ansa)
Malgrado quel fiasco, adesso i paesi in via di sviluppo chiedono ancora più soldi. Nel 2021 l’India ha dichiarato che avrebbe avuto bisogno, da sola, di 100 miliardi di dollari all’anno per la sua transizione. Quest’anno Cina, India, Brasile e Sudafrica si sono trovati d’accordo sul fatto che le nazioni ricche dovrebbero aumentare i loro finanziamenti «da miliardi di dollari a migliaia di miliardi di dollari all’anno». Tutte cose che Ottmar Edenhofer, economista del Climate Panel delle Nazioni Unite, aveva previsto già nel 2010: «Bisogna liberarsi dall’illusione che le politiche climatiche internazionali siano politiche ambientali». Piuttosto, «si tratta de facto di redistribuzione della ricchezza mondiale attraverso le politiche climatiche».
Il trucco del risarcimento danni da CO2
Ma sarà difficile spremere miliardi – figurarsi migliaia di miliardi – da un mondo ricco che ha già i suoi problemi a cui far fronte. Furbescamente, gli ambientalisti e molti paesi in via di sviluppo hanno riqualificato la ragione di tali trasferimenti attribuendo la colpa dei costi dei danni meteorologici alle emissioni del mondo ricco, e chiedendo di conseguenza compensazioni per «perdite e danni».
Si tratta per la verità di pretese infondate, visto che dal 1990 i danni causati da uragani, inondazioni, siccità e altre calamità meteorologiche sono diminuiti come percentuale del Pil globale, sia per i paesi ricchi che per i poveri. Le morti per questo tipo di catastrofi sono crollate.
Questo rebranding, comunque, è un ottimo modo per aumentare le pretese. Al raduno sul clima dello scorso anno, i politici hanno concordato la creazione di un fondo per «perdite e danni» che è stato appena istituito. Secondo le stime dell’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di cambiamenti climatici, da qui al 2030 il fondo genererà un flusso verso i paesi più poveri dell’ordine di 5,8-5,9 mila miliardi di dollari. Altri fanno stime persino maggiori, qualcosa come 100-238 mila miliardi di dollari entro il 2050. Tra i fautori della campagna, invece, c’è chi suggerisce che l’Occidente dovrebbe raccogliere 2.500 miliardi di dollari all’anno per far partire le riparazioni.
Il maldipancia del mondo ricco e le vere emergenze dei poveri
Si tratta di cifre proibitive per l’Occidente: una pretesa che comporta costi pari a 1.000 dollari e anche di più a carico di ogni singola persona del mondo ricco, per ogni anno del prossimo futuro. E questo in aggiunta al costo delle politiche per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica del mondo ricco, che saranno addirittura più care.
Un recente sondaggio americano ha rilevato che la stragrande maggioranza della gente rifiuterebbe trasferimenti così ingenti, ed è probabile che in tutto l’Occidente la maggioranza delle persone esprimerebbe opinioni simili.
Per di più, le popolazioni povere di tutto il mondo lottano contro la miseria, le malattie, la malnutrizione e la mancanza di istruzione, che potrebbero essere alleviate a costi ridotti. È sbagliato e immorale ignorare quasi totalmente queste piaghe e spendere invece migliaia di miliardi in progetti sul clima. E per aggiungere il danno alla beffa, questa spesa aggiuntiva finirebbe probabilmente per comprimere ulteriormente quella destinata agli aiuti. Anche se si riuscisse a raccogliere tutto quel denaro, è assai improbabile che le migliaia di miliardi arrivino effettivamente ai poveri invece che essere dirottate su progetti di lusso da cui trarre motivi di vanto o in conti bancari svizzeri. Inoltre i trasferimenti non cancelleranno il fatto che i paesi più poveri hanno ancora bisogno di uscire dalla miseria, e dunque di alimentare il proprio sviluppo con enormi quantità di energia, gran parte della quale proverrà ancora da combustibili fossili.
Proposta per un investimento sensato
Dal momento che quelli che oggi sono i paesi più poveri saranno responsabili della maggior parte delle emissioni del XXI secolo, la vera sfida è avvicinare il giorno in cui potranno convertirsi all’energia verde. Ma questo non realizzerà grazie a risarcimenti spropositati. I governi dovrebbero piuttosto impegnarsi a farsi carico di una spesa molto inferiore ma molto più efficiente in innovazione. Spendere decine di miliardi di dollari all’anno in ricerca e sviluppo nel campo della riduzione delle emissioni di CO2 per portare il costo dell’energia green al di sotto di quello dei combustibili fossili abbatterebbe il prezzo dell’energia pulita futura, rendendo la transizione finalmente sensata per tutti i paesi, specialmente per i poveri del mondo.
È una proposta ragionevole di questo tipo ciò su cui i politici dovrebbero cercare accordi alla Cop29. Purtroppo il dibattito globale sul clima ha smarrito la rotta, e infatti l’attenzione in questa settimana si concentrerà sulla presunta necessità di trasferimenti di ricchezza stratosferici. Peccato che non si sarebbero mai realizzati, nemmeno prima dell’elezione di Donald Trump, e adesso sono assolutamente impensabili.
Si tratta di cifre proibitive per l’Occidente: una pretesa che comporta costi pari a 1.000 dollari e anche di più a carico di ogni singola persona del mondo ricco, per ogni anno del prossimo futuro. E questo in aggiunta al costo delle politiche per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica del mondo ricco, che saranno addirittura più care.
Un recente sondaggio americano ha rilevato che la stragrande maggioranza della gente rifiuterebbe trasferimenti così ingenti, ed è probabile che in tutto l’Occidente la maggioranza delle persone esprimerebbe opinioni simili.
Per di più, le popolazioni povere di tutto il mondo lottano contro la miseria, le malattie, la malnutrizione e la mancanza di istruzione, che potrebbero essere alleviate a costi ridotti. È sbagliato e immorale ignorare quasi totalmente queste piaghe e spendere invece migliaia di miliardi in progetti sul clima. E per aggiungere il danno alla beffa, questa spesa aggiuntiva finirebbe probabilmente per comprimere ulteriormente quella destinata agli aiuti. Anche se si riuscisse a raccogliere tutto quel denaro, è assai improbabile che le migliaia di miliardi arrivino effettivamente ai poveri invece che essere dirottate su progetti di lusso da cui trarre motivi di vanto o in conti bancari svizzeri. Inoltre i trasferimenti non cancelleranno il fatto che i paesi più poveri hanno ancora bisogno di uscire dalla miseria, e dunque di alimentare il proprio sviluppo con enormi quantità di energia, gran parte della quale proverrà ancora da combustibili fossili.
Proposta per un investimento sensato
Dal momento che quelli che oggi sono i paesi più poveri saranno responsabili della maggior parte delle emissioni del XXI secolo, la vera sfida è avvicinare il giorno in cui potranno convertirsi all’energia verde. Ma questo non realizzerà grazie a risarcimenti spropositati. I governi dovrebbero piuttosto impegnarsi a farsi carico di una spesa molto inferiore ma molto più efficiente in innovazione. Spendere decine di miliardi di dollari all’anno in ricerca e sviluppo nel campo della riduzione delle emissioni di CO2 per portare il costo dell’energia green al di sotto di quello dei combustibili fossili abbatterebbe il prezzo dell’energia pulita futura, rendendo la transizione finalmente sensata per tutti i paesi, specialmente per i poveri del mondo.
È una proposta ragionevole di questo tipo ciò su cui i politici dovrebbero cercare accordi alla Cop29. Purtroppo il dibattito globale sul clima ha smarrito la rotta, e infatti l’attenzione in questa settimana si concentrerà sulla presunta necessità di trasferimenti di ricchezza stratosferici. Peccato che non si sarebbero mai realizzati, nemmeno prima dell’elezione di Donald Trump, e adesso sono assolutamente impensabili.
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