domenica 30 aprile 2023

La finestra di Overton applicata alla morte





29 APR 2023

Lettera 


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by Aldo Maria Valli

di Vincenzo Rizza

Caro Aldo Maria,

l’ineffabile monsignor Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, dopo aver dichiarato mesi fa che la legge sull’aborto costituisce un “pilastro della nostra vita sociale”, ha recentemente dichiarato, durante il Festival internazionale del giornalismo a Perugia, nell’ambito di un dibattito sull’eutanasia, che “non è da escludersi che nella nostra società sia praticabile una mediazione giuridica che consenta l’assistenza al suicidio nelle condizioni precisate dalla Sentenza 242/2019 della Corte costituzionale: la persona deve essere ‘tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli’… Personalmente non praticherei l’assistenza al suicidio, ma comprendo che una mediazione giuridica possa costituire il maggior bene comune concretamente possibile nelle condizioni in cui ci troviamo” (Il Riformista).

L’avventatezza della dichiarazione ha costretto l’ufficio stampa della Pontificia accademia per la vita a precisare che “monsignor Paglia [bontà sua, N.d.R.] ribadisce il suo ‘no’ nei confronti dell’eutanasia e del suicidio assistito, in piena adesione al Magistero”, confermando, tuttavia, che ad avviso dello stesso monsignor Paglia “è possibile una “mediazione giuridica” (non certo morale) nella direzione indicata dalla Sentenza, mantenendo il reato [di assistenza al suicidio] e le condizioni in cui si depenalizza, in quanto la medesima Corte Costituzionale ha chiesto al Parlamento di legiferare” (Vatican News).



Una prima considerazione è dovuta (anche se banale): l’attuale pontefice potrà anche avere (come tutti noi) tanti difetti, ma non gli manca certo il senso dell’umorismo e la predilezione per il nonsense. Solo così si spiega la scelta di nominare nel 2016 presidente della Pontificia accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II un monsignore che rilascia dichiarazioni avventate e contrarie, in tema di Vita, al secolare insegnamento della Chiesa e al più recente insegnamento di san Giovanni Paolo II. D’altro canto la vena umoristica del Santo Padre è stata recentemente ribadita dal motu proprio che limita la possibilità di celebrare la messa vetus ordo, beffardamente intitolato Traditionis custodes.



Ritornando, tuttavia, alle richiamate recenti dichiarazioni di monsignor Paglia, non stupisce l’affermazione iniziale contenuta nel suo discorso per cui “la Chiesa cattolica non è che abbia un pacchetto di verità prêt-à-porter, preconfezionate, come se fosse un distributore di pillole di verità. Il pensiero teologico si evolve nella storia, in dialogo con il Magistero e con il vissuto del popolo di Dio (sensus fidei fidelium), in una dinamica di reciproco arricchimento”.



La buona battaglia combattuta da papa Benedetto XVI contro il relativismo imperante è, si spera solo momentaneamente, perduta e buona parte della Chiesa è sempre più attratta dal pensiero mondano e dall’esigenza di compiacere le élìte dominanti o quanto meno di non disturbare troppo le coscienze anche rinunciando al proprio ruolo di guida nella Fede e nella Verità. Non è certo un caso che la precisazione dell’ufficio stampa nulla riferisca con riguardo a questa affermazione che di fatto nega l’esistenza di principi non negoziabili, dimenticando che Qualcuno un tempo disse “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (ma, è noto, al tempo di Gesù non c’erano i registratori).



Stupisce, invece, il richiamo alla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, presa a modello, perfino nella precisazione dell’ufficio stampa (quando la pezza è peggiore del buco!) per un auspicato intervento del legislatore in tema di suicidio assistito. Monsignor Paglia cita espressamente il passaggio della sentenza in cui si dice che l’assistenza al suicidio possa ritenersi non punibile se la persona sia “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”, implicitamente richiamando il principio per cui nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario senza il suo consenso (salvo casi eccezionali) e pertanto il diritto del malato a rifiutare le cure.

Il problema, tuttavia, consiste nel fatto che la Corte costituzionale non si limita a richiamare “l’obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l’interruzione dei trattamenti sanitari – anche quando ciò richieda una condotta attiva, almeno sul piano naturalistico, da parte di terzi (quale il distacco o lo spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di una sedazione profonda continua e di una terapia del dolore) – “, ma aggiunge che non vi sarebbe ragione per escludere la possibilità di accogliere la “richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento conseguente all’anzidetta interruzione dei presidi di sostegno vitale”.



In sostanza la Corte costituzionale non legittima solo la condotta di chi si limiti a terminare il trattamento sanitario non più voluto dal paziente pienamente capace di intendere e di volere, eventualmente applicando una terapia del dolore che allevi le sofferenze, ma anche la condotta di chi volutamente acceleri il percorso che condurrà alla morte del paziente con un comportamento attivo volto a procurare in anticipo la morte naturale (ad esempio tramite un’iniezione letale). In definitiva si legittima quello che un tempo si sarebbe semplicemente chiamato omicidio del consenziente (la finestra di Overton applicata alla morte).

Non c’è che dire; un bel passo avanti per il magistero della Chiesa dimenticare la sacralità della vita e auspicare una “mediazione giuridica (non certo morale) nella direzione indicata dalla Sentenza” della Corte costituzionale per autorizzare un omicidio. Evidentemente il pilastro della legge 194 sull’aborto non è sufficiente per sorreggere la nuova chiesa universale; sono necessari nuovi e ben più solidi pilastri per rendere la struttura indistruttibile. Peccato che a forza di costruire pilastri non ci sarà più spazio per Gesù e per i fedeli.










sabato 29 aprile 2023

Una sorprendente difesa della Messa tradizionale



Nell'articolo che segue emergono ulteriori dettagli rispetto a quanto già pubblicato qui. Qui l'indice degli articoli sulla Traditionis custodes e successivi.




sabato 29 aprile 2023

Da diversi mesi, a Roma, si vocifera che dopo Traditionis custodes e il rescritto del 21 febbraio 2023, la celebrazione della messa tradizionale verrà ancora più severamente limitata. Per il momento non è stato pubblicato nulla e non è detto che un testo compaia a breve.

Tuttavia, il 30 marzo è apparso sul settimanale francese Valeurs Actuelles, una dichiarazione che potrebbe servire come risposta anticipata a qualsiasi tentativo romano di rilasciare un permesso di sepoltura per la Messa tridentina.

Ecco questa affermazione: "Vogliamo rendere tutto orizzontale, banalizzare le cose, renderle ordinarie […]. È sorprendente vedere che questa tentazione colpisce anche la Chiesa cattolica. Una volta ho assistito a una celebrazione della Messa secondo il rito tradizionale: non è la mia cultura, ma ho avuto prima di tutto un'emozione estetica che mi ha attratto".


"Non dico che riempirà necessariamente le chiese, ma questa liturgia tridentina appartiene a un patrimonio liturgico. Ho l'impressione che quella che è in gioco con gli attacchi di cui è oggetto questo rito, sia un po' la continuazione del Vaticano II, con questa tentazione, anche nella Chiesa, di scardinare il sacro, la trascendenza. Tuttavia, ho piuttosto la sensazione che sia un tesoro che dovrebbe essere protetto e difeso."

Queste osservazioni sono state fatte da una giornalista franco-tunisina, di fede musulmana, Sonia Mabrouk.

Aggiunge: "Commettiamo l'errore di credere che con la messa a livello, l'orizzontalità, daremo più facile accesso al sacro. Penso che sia esattamente il contrario: è la verticalità che permette questa connessione, questa riconnessione al sacro. Non voglio nominare nessun responsabile di questo, ma mi sembra che papa Francesco, comunque, faccia la sua parte: il Papa non può essere una Ong ambulante, e a volte è così".

"A volte si ha l'impressione, ascoltandolo, di vedere un televisore dove sfilano tutti i temi sociali. Non dico che non sia suo compito tirare fuori certi argomenti, ma il suo discorso a volte è così desacralizzato, in connessione con un'attualità e un'immediatezza totali, che non corrisponde a ciò che ci si aspetta da lui. In ogni caso, io che sono di cultura e religione musulmana, non me lo aspetto dal Papa."

Siamo lontani dalla dichiarazione interreligiosa di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019, "sulla fratellanza umana per la pace nel mondo e la convivenza comune", cofirmata da Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar [vedi].

I conciliari vogliono conquistare le grazie del mondo moderno, multiculturale e multireligioso, desacralizzando il rito cattolico. Riescono solo a screditarsi sempre più agli occhi di coloro ai quali dovrebbero portare il messaggio evangelico.


Don Alain Lorans(Fonti: Dici n°431 - FSSPX.Actualités) Immagine: Messe à Saint-Nicolas du Chardonnet







venerdì 28 aprile 2023

La Chiesa nel Terzo Millennio Cristiano. Convegno a Gricigliano (Fi), 29 Aprile

 







Se votano anche i laici non è più il Sinodo "dei Vescovi"



Cambiano le carte in tavola a processo sinodale in corso: quote rosa e quote laiche snaturano di fatto l'organismo istituito da San Paolo VI e normato dal diritto canonico. E se è chiaro dove si vuole andare a parare, tiriamo però un sospiro di sollievo: un'assemblea così ridefinita non "fa" magistero.




FINESTRE DI OVERTON

ECCLESIA

Luisella Scrosati, 28-04-2023

Tanto tuonò che piovve. Nell’ennesima intervista (in ginocchio, o meglio prostrata), quella del 10 marzo scorso di Elisabetta Piqué a Francesco, il Papa aveva preannunciato il “suffragio universale” nelle assemblee sinodali della Chiesa cattolica: «chiunque partecipa al sinodo ha diritto di voto. Sia uomo o donna. Tutti, tutti. Questa parola “tutti” è decisiva per me».

Trascorso poco più di un mese, la Segreteria del Sinodo, attraverso alcune modifiche (il documento nelle varie lingue con le modifiche è scaricabile qui), annuncia la trasformazione della categoria degli uditori, a veri e propri membri con diritto di voto. Secondo i desiderata del Pontefice, “tutti” potranno dunque votare. Ma siccome, come in ogni repubblica delle banane, la patente di “tutti” la dà solo il capo, anche il Papa ha pensato bene di non violare la consuetudine: i 70 nuovi votanti non vescovi li decide lui. Dunque, sinodalità, ma senza esagerare. Se ne è accorta anche la Scaraffia: «trovo poi incredibile questo fatto del Papa sinodale che centralizza sempre di più». Non è incredibile. è tipico di una certa corrente sudamericana.

Sempre in scrupolosa ottemperanza alla burocrazia parallela, necessaria ad ogni governo dittatoriale, il pollice verso o recto verrà esercitato dal Papa su una lista di 140 persone, spiega la Segreteria, «individuate (e non elette) dalle sette Riunioni Internazionali di Conferenze Episcopali e dall'Assemblea dei Patriarchi delle Chiese Orientali Cattoliche (20 per ognuna di queste realtà ecclesiali)». La metà degli eletti dovrà necessariamente essere in quota rosa. Una buffonata, un dazio pagato al politicamente corretto.

I magnifici 70 provengono da una sorta di preselezione, sulla base della «cultura generale» dei candidati (test a crocette o risposta libera?), della «loro prudenza» (ossia il grado di sottomissione), ma anche la «loro conoscenza, teorica e pratica» (di cosa? Argomento a scelta?), e infine «la loro partecipazione a vario titolo nel processo sinodale», condizione fondamentale per capire se il candidato ha già dato prova di fedeltà assoluta al sistema. Ortodossia, integrità della vita morale, particolari meriti nel servizio al prossimo: criteri sorpassati. E, non meno importante, al Sinodo ci andrà non una rappresentanza della Chiesa reale, ma quella «individuata», quella cioè che è stata selezionata secondo i criteri del tutto vaghi e soggettivi di cui sopra.

Torniamo alla quota femminile: 35 prescelte, alle quali si aggiungono, in virtù di un’altra modifica voluta dal papa, 5 religiose elette dalle organizzazioni delle Superiori maggiori (alle quali si affiancheranno altrettanti omologhi maschili) e la prescelta par excellence, la sottosegretaria suor Nathalie Becquart, la prima donna ad avere diritto di voto in un Sinodo dei vescovi per volontà del Papa. All’epoca, febbraio 2021, il Cardinale Mario Grech, Segretario Generale della Segreteria Generale del Sinodo, aveva commentato: «Con la nomina di suor Becquart e la sua possibilità di partecipare con diritto di voto una porta è stata aperta, vedremo poi quali altri passi potranno essere compiuti in futuro». I misteriosi futuri passi, almeno quelli più prossimi, erano già piuttosto ovvi: se può votare un laico ad un Sinodo dei Vescovi, non si capisce perché non ne possano votare 70, e magari domani anche la metà dei membri. Maschi o femmine che siano.

Con il voto dei laici all’interno del Sinodo, possiamo tranquillamente ritenere che non si tratta più del Sinodo dei Vescovi, come definito e normato dai canoni 342-348. Il can. 342 è quasi tautologico: «Il sinodo dei Vescovi è un’assemblea di Vescovi i quali […] si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi stessi». E, guarda un po’, anche la Costituzione Apostolica Episcopalis Communio, firmata da Francesco, insegnava che i membri del Sinodo dei Vescovi sono i Vescovi, a norma del can. 346, cui si aggiungono membri di istituti religiosi clericali. Vi sono poi «altri partecipanti», anche laici, che però non hanno diritto di voto.

Nonostante le rassicurazioni «di mantenere la specificità episcopale dell’Assemblea convocata a Roma», non è nella potestà del Papa ordinare che una realtà sia diversa da quella che è o sopprimere il principio di non contraddizione. Il Sinodo dei vescovi è tale perché ha come membri i vescovi; se una quota, che pare essere di circa 1/4, non è costituita da vescovi, né è legata alla costituzione gerarchica della Chiesa tramite l’ordine sacro, allora non è più il Sinodo dei Vescovi, ma semmai dei cristiani. Il che non è meglio o peggio, ma è semplicemente un’altra cosa.

Dunque, la decisione di papa Francesco ci fa in fondo tirare un sospiro di sollievo. Dove andrà a parare il Sinodo, quanto ai contenuti e alla disciplina, è piuttosto chiaro, e non si tratta di buone prospettive. Ma adesso almeno sappiamo che quel documento che uscirà dall’Assemblea semplicemente non sarà un documento del Sinodo dei Vescovi, e dunque l’eventuale ratifica da parte del Sommo Pontefice (cf. can. 343) sarà semplicemente nulla.

Seconda considerazione: il sacerdozio femminile è più vicino di quanto si pensi. E non rassicura per niente la posizione negativa espressa da Francesco. Anzitutto, perché il Papa ha dimostrato di dire e scrivere tranquillamente una cosa e fare (o lasciar fare) l’esatto opposto. La questione della benedizione delle coppie omosessuali è piuttosto evidente. Come anche la Costituzione Apostolica menzionata sopra. Inoltre, è un fatto che più di una premessa è stata posta in direzione del conferimento degli ordini sacri alle donne: la riapertura della questione del diaconato femminile, con l’istituzione, nell’aprile 2020, di una nuova Commissione di studio sul tema; poi il Motu Proprio Spiritus Domini (2021), che ha ammesso le donne ai ministeri del lettorato e dell’accolitato (vedi qui e qui); quindi la nomina di tre donne al Dicastero dei Vescovi (vedi qui). Ed ora le donne (ed i laici in generale) equiparate ai Vescovi, in quanto membri di un Sinodo dei Vescovi. Molte, troppe finestre di Overton sono state aperte.

Infine, come ha scritto Fr. Gerard Murray, la possibilità che dei laici votino durante l’Assemblea del Sinodo dei Vescovi ne ha radicalmente distorto la natura, in quanto il Sinodo non è più la comunione dei pastori della Chiesa con il Papa per discutere e trovare delle soluzioni alle necessità della Chiesa universale, parte della loro divina missione di «santificare, insegnare e governare il gregge di Cristo». Quello che si va a costituire è qualcosa di totalmente diverso: «persone che non sono sacramentalmente conformati dagli Ordini sacri a Cristo, Sommo sacerdote», ma che verranno «trattati giuridicamente come uguali ai vescovi». Il Relatore generale del Sinodo, il Cardinale Jean-Claude Hollerich, ha voluto subito mettere le mani avanti, dichiarando che si tratterebbe di «un cambiamento importante, ma non una rivoluzione». Che nella modalità comunicativa orwelliana significa: è una rivoluzione, ma non dovete pensarlo.

La verità è invece chiaramente espressa da Fr. Murray: «Questa innovazione dev’essere respinta dai vescovi della Chiesa. Essa entra in conflitto con l’insegnamento dogmatico della Chiesa sulla natura del sacramento dell’Ordine, in particolare la natura dell’episcopato».







Propaganda Lgbtq+ in una parrocchia del Piemonte. E il vescovo tace




28 APR 2023

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by Aldo Maria Valli

Ricevo e diffondo il seguente comunicato.

***

di Toni Brandi*

Siamo sconcertati e allarmati dall’iniziativa promossa, lo scorso 20 aprile, dalla parrocchia di Santa Maria Maggiore nel comune di Poirino, in provincia di Torino, dal tema L’amore nelle sue forme ed espressioni: sessualità, emozioni, sentimenti. Lgbtq+, tra conoscenza e rispetto, con relatore il parroco don Domenico Cravero, “consulente in sessuologia”.

Nonostante il condivisibile intento di promuovere una cultura del rispetto e della convivenza civile, lascia interdetti che una parrocchia si sia fatta promotrice di un evento riconducibile alla galassia Lgbtqia+ e dunque alle sue istanze ideologiche: gender, sessualità fluida, carriera alias e transizione di genere per i minori nelle scuole fino anche alla barbara pratica dell’utero in affitto.



Ci lascia, però, ancor più sconcertati e sinceramente sorpresi il silenzio di monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino, al quale ci siamo appellati con due lettere ufficiali, prima dello svolgimento dell’evento stesso. L’unica risposta è stata che l’arcivescovo “è stato informato”, ma non abbiamo avuto ulteriori riscontri né il minimo impegno di un intervento che invece sarebbe stato coerente e doveroso.

L’ideologia gender, portata avanti proprio dal mondo Lgbtqia+, è stata infatti più volte condannata da papa Francesco nel corso del suo pontificato. Un’ideologia che mira al sistematico smantellamento della famiglia naturale fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, del diritto di ogni bambino ad avere una mamma e un papà e della libertà educativa di questi ultimi.



Non vediamo quindi nessuna ragione plausibile per il mancato intervento dell’arcivescovo nel bloccare questa iniziativa.

*presidente di Pro Vita & Famiglia Onlus








Che ne è stato dei principi non negoziabili, nella Chiesa?







Lucia Comelli, 27 APR 2023

Mi sono rifatta, per l’ennesima volta, questa domanda in occasione delle recentissime elezioni locali che nella mia città hanno visto prevalere, anche con l’appoggio di diversi cattolici praticanti, la Sinistra. La mia scelta di votare in senso opposto è stata confermata l’altra sera dal bellissimo incontro online con don Samuele Cecotti, che ha parlato proprio di tali principi.[1]

In una società occidentale relativista e quindi sempre più lontana dalla fede cristiana, nel 2002 il cardinale Joseph Ratzinger – allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede – consapevole della difficoltà di portare una proposta cattolica in sede politica scrisse una Nota[2] approvata da papa Giovanni Paolo II, in cui sottolineava il carattere centrale nella dialettica politica democratica dei cosiddetti principi non negoziabili[3]. Tali valori, che si radicano nel diritto naturale classicamente inteso, rappresentano secondo l’autore i principi architettonici dell’intera costruzione della polis e pertanto le coordinate essenziali dell’azione di un cattolico o, semplicemente, di una persona di buona volontà nella vita politica: per questo non sono ‘negoziabili’, cioè non possono essere oggetto di contrattazione o compromesso, né su essi è lecito tacere a chi voglia agire in politica per la tutela e la promozione della dignità della persona. Ratzinger, divenuto papa con il nome di Benedetto XVI, ha fatto riferimento successivamente più volte nei suoi insegnamenti a tali principi, così come, durante il suo pontificato, hanno fatto la CEI e altre conferenze episcopali nel mondo. Questi ammaestramenti hanno suscitato una vasta eco, ad esempio negli Stati Uniti, dove si è verificata negli ultimi due decenni una forte polarizzazione sui temi etici: se il Partito Democratico si è radicalmente laicizzato, per cui i cattolici liberal, a partire dallo stesso Presidente, Joe Biden, sono favorevoli all’aborto, all’eutanasia e al ‘matrimonio’ omosessuale, il partito repubblicano ha invece accentuato la propria adesione ai valori naturali.

Nell’elencazione di questi principi ci sono, nel magistero di papa Benedetto XVI alcune differenze tra un documento e l’altro, che – a seconda della finalità – possono approfondire aspetti diversi, ma in tutti ricorrono tre principi, una sorta di suprema sintesi della legge naturale (criterio ultimo dell’agire politico, giuridico, e morale, di chi ritiene che la realtà sia ordinata e abbia un senso) che oggi sono particolarmente a rischio – ha detto Papa Ratzinger il 30 marzo 2006 ai partecipanti al convegno promosso dal Partito popolare europeo[4] :la tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale;
il riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale;
la tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli.

Questi principi non sono verità di fede, anche se ricevono ulteriore luce e conferma dalla fede. Essi sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa.

Diversamente dalla tendenza oggi imperante nello stesso clero di annacquare, se non tradire, il messaggio evangelico per piacere al mondo, Benedetto XVI aggiungeva che la promozione di tali valori da parte della Chiesa: è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia stessa».

Questa dottrina vincola in primis i politici cattolici, sia livello legislativo che di governo, ma anche i giudici e ogni credente o persona che voglia agire rettamente. Eppure, non c’è legislazione occidentale che oggi non intacchi questi principi della morale naturale. Lo Stato, ad esempio, ha sempre più assorbito la funzione educativa e in diverse legislazioni occidentali i genitori rischiano di subire un’azione penale o addirittura di perdere la tutela dei figli se si oppongono all’indottrinamento ‘gender’ propinato dalle scuole o all’idea che tutte le pratiche sessuali si equivalgano … Anche in Italia, accade che studenti minorenni vengano inseriti nella Carriera Alias dalle scuole arbitrariamente (non esiste una legge dello Stato che lo consenta), senza nemmeno un certificato che attesti la presenza effettiva di una disforia di genere e persino – se hanno compiuto 16 anni – senza avvisare preventivamente i genitori. Questo, malgrado le stesse nuovissime Linee Guida sul trattamento delle disforie di genere nei minori del Regno Unito evidenzino i rischi della cosiddetta transizione sociale. Possiamo pertanto affermare che la dottrina dei principi non negoziabili, per quanto minimalista dal punto di vista morale, ponga chi la sostiene in una posizione conflittuale nei confronti del sistema vigente e quindi richieda il coraggio di una testimonianza controcorrente. Già negli anni del pontificato di Papa Benedetto XVI, anche all’interno della Chiesa stessa, cioè nei seminari, nelle facoltà teologiche e negli ordini religiosi essa è stata ampiamente contestata e disapplicata negli ambienti progressisti: cioè in quelli – e sono la maggior parte – che si ispirano al pensiero di Karl Rahner e al nuovo paradigma teologico ‘della svolta antropologica’ da lui costruito. Gesuita tedesco, di gran lunga il pensatore più prolifico e influente a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, Rahner ha predicato il dovere della Chiesa, non di evangelizzare il mondo, ma di convertirsi ad esso. Infatti, la teologia deve mantenersi ‘al passo con i tempi’, assimilando l’interpretazione della verità, storica e dunque variabile, acquisita dal genere umano in una determinata epoca. La realtà non ha strutture ontologiche, non rivela un ordine finalistico cui attingere per avere delle indicazioni di ordine morale, i concetto di natura e sovra natura sono obsoleti, molti dei racconti biblici (relativi ad esempio ai miracoli) vanno demitizzati, le verità sono sempre provvisorie e parziali: se la coscienza dell’umanità su alcuni punti cambia, anche la dottrina deve cambiare « il magistero non dovrà più definire dottrine, ma aprire processi pastorali, da cui emergerà storicamente la nuova dottrina ».[5] La dottrina dei principi non negoziabili con il pontificato di papa Francesco, che ha sostenuto pubblicamente di non aver mai capito tale espressione, è stata abbandonata dalla gerarchia cattolica, pur essendo in continuità con l’intera tradizione (Padri della Chiesa, testi liturgici…). La Chiesa, infatti, da sempre ha sostenuto l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, mai leciti, neppure per perseguire un fine buono o stretti dalla necessità, tanto che compierli o promuoverli politicamente esclude automaticamente un fedele, che non si penta, dalla comunione ecclesiale, precludendogli così l’accesso all’Eucarestia.[6] Su tali valori fondamentali i prelati, dunque, per lo più tacciono o magari rilasciano dichiarazioni sconcertanti come quella, recentissima, di mons. Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che – a proposito della sentenza della Corte costituzionale sul suicidio assistito – ha detto: «Personalmente non praticherei l’assistenza al suicidio, ma comprendo che una mediazione giuridica possa costituire il maggior bene comune concretamente possibile nelle condizioni in cui viviamo».

Intanto, in consonanza con la mentalità corrente, si diffondono nella Chiesa assoluti morali inediti: l’attenzione all’ambiente, il risparmio energetico, l’accoglienza (indiscriminata?) dei migranti … Eppure, anche per una semplice fedele come me, i principi inviolabili della morale naturale – già intuiti dalle migliori menti dell’antichità (si pensi al Giuramento di Ippocrate, che ha vietato per molti secoli ai medici, anche qualora fosse stato loro richiesto, di spegnere la vita umana) – e della Dottrina sociale della Chiesa (quali i principi della sussidiarietà e della solidarietà, la difesa della proprietà privata, a garanzia della libertà della persona e della famiglia, il diritto ad un giusto salario … in gran parte recepiti dalla nostra Costituzione, proprio perché ampiamente condivisi) rimangono vincolanti e prioritari.

In conclusione, per non essere travolta dalla confusione imperante nella società e in tanta parte della stessa Chiesa, cerco – con l’aiuto di Dio – di legarmi sempre più strettamente a Cristo e di approfondire e rimanere fedele a quello che è certo, in quanto conforme alla retta ragione e da sempre insegnato nella Chiesa – la Rivelazione, infatti, non cambia[7]– testimoniandolo, per come posso, con la vita e le parole.

Lucia Comelli

http://www.sabinopaciolla.com


Note:

[1] L’incontro, organizzato alle 21.00 dello scorso venerdì dall’Osservatorio Card.Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa e dalla rivista online La Nuova Bussola Quotidiana, fa parte di un ciclo di sei lezioni dedicate al magistero sociale di Benedetto XVI. L’articolo presente si serve ampiamente dell’insegnamento di don Cecotti, vicepresidente dell’Osservatorio.

[2] La categoria della “non negoziabilità” è emersa per la prima volta nel Magistero della Chiesa nella Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica emanata il 24 novembre del 2002 dalla suddetta Congregazione. Nel paragrafo 3 della Nota si ribadisce che «non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete – e meno ancora soluzioni uniche – per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno». Se però, aggiunge la Nota, il cristiano è tenuto ad «ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali», egli è ugualmente chiamato «a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili»

[3] L’espressione non negoziabili, coniata da Ratzinger, si riallaccia alla tradizionale fede cristiana nell’esistenza di verità morali assolute, valide ovunque e in ogni luogo, che a nessuna coscienza è lecito mai trasgredire (questa convinzione è centrale anche nel giusnaturalismo, che ha ispirato la Dichiarazione universale dei diritti umani e i preamboli di tante Costituzioni, nonché i Principi fondamentali di quella italiana).

[4] Tutti i testi citati si trovano in forma integrale online (cfr.www.vatican.va).

[5] Stefano Fontana, Ateismo cattolico? Quando le idee sono fuorvianti per la fede, Fede&Cultura 2022, p. 81. Rahner ha portato le categorie della filosofia moderna e contemporanea (in particolar modo da Kant ad Heidegger), una filosofia dell’immanenza, all’interno della teologia cattolica, con esiti devastanti per la fede.

[6] «Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato […]: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana. Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l’Eucaristia. (Cfr. 1 Cor 11,27-29). I Vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato». Cfr. Benedetto XVI, Coerenza eucaristica, Sacramentum Caritatis (83).

[7] «Mi meraviglio che, così in fretta […] voi passiate a un altro Vangelo. Però non ce n’è un altro, se non che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo. Ma se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema! Infatti, è forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!» San Paolo, Lettera ai Galati (1, 6-10).







giovedì 27 aprile 2023

I castighi divini sul mondo secondo la Beata Elena Aiello (2° parte)







di Roberto de Mattei, 26 Aprile 2023 

Una rivelazione privata, per essere presa in considerazione da un cattolico, deve avere le seguenti caratteristiche: nulla vi deve essere in essa che si opponga alla fede e alla morale cattolica, ma anche al buon senso cristiano; inoltre, chi riceve la rivelazione deve essere un soggetto realmente virtuoso e sottomesso all’autorità della Chiesa, perché è solo alla Chiesa che spetta pronunciarsi sul carattere soprannaturale di visioni e rivelazioni. Le rivelazioni infine devono essere valutate non per un bene secondario che possono provocare, ma per un bene reale e assoluto, esaminando con diligenza la loro causa finale (A. Oddone, Visioni e apparizioni. Criteri di discernimento, Edizioni La Civiltà Cattolica, Roma 1948).

E’ in questo spirito che propongo la lettura delle rivelazioni ricevute dalla beata Elena Ajello nello spazio di oltre vent’anni, raccolte nel dattiloscritto di cui ho ricevuto copia da mons. Francesco Spadafora nel 1977. Riporto un’ampia parte del messaggio ricevuto il 27 marzo del 1959, Venerdì Santo, perché mi sembra riassumere gli elementi di fondo di queste rivelazioni: l’empietà e la corruzione del mondo; l’annunzio di un terribile castigo che si abbatte sull’umanità; la necessità della preghiera e della penitenza per evitare o mitigare il castigo divino e affrettare l’ora del trionfo del Cuore Immacolato di Maria.

Dice dunque la Madonna a suor Elena. «Le anime si perdono senza numero, guidate da satana vogliono il dominio totale e materiale di tutto il mondo. La Giustizia di Dio passerà sulla terra e la maggior parte dell’umanità sarà giudicata da un Dio sdegnato. Se si prega e si fa penitenza il mio Cuore trionferà e le porte dell’inferno non prevarranno; altrimenti una terribile bufera si scatenerà sul mondo, perché il terrificante flagello è alle porte; le ore delle tenebre si addenseranno sempre di più. Il mondo sarà afflitto da grandi calamità… Il fuoco cadrà dal cielo come fiocchi di neve; verrà una guerra dominata da terrore e morte; il sangue scorrerà a rivi; quanto massacro! I governatori dei popoli hanno raggiunto il limite della loro aberrazione, si credono in possesso della pace, ma la guerra è prossima, il fuoco si accenderà da Est a Ovest; con le loro armi micidiali distruggeranno popoli e nazioni; una buona parte della generazione sarà distrutta; le case, gli alberi saranno bruciati; distruggeranno le cose più care; le Chiese saranno abbattute (…).

“Quando avverrà tutto questo?” “Sono Io (la Madonna) che sto curva sul mondo e trattengo il braccio del mio figlio sdegnato; altrimenti il mondo in parte sarebbe già distrutto. I peccatori rifiutano la mia misericordia, eppure ho dato prove infinite del mio amore. I sacerdoti non predicano più l’Evangelo, sono folli, han perduto lo Spirito divino. Unico mezzo e per placare la giustizia del Padre è la preghiera e la penitenza con il ritorno alla Chiesa… Il mondo intero si consacri al Cuore Immacolato di Maria mediatrice tra gli uomini e Dio”. (…) Il materialismo avanza su tutte le nazioni e continua la sua marcia segnata di rovina e di morte. (…) Più non esiste la famiglia cristiana; non fanno più nessun mistero, vogliono cacciare Cristo dalle famiglie, dalle scuole, dalle officine, dalla società, dalle coscienze degli uomini (…)».

La Madonna ai piedi della Croce prega per la salvezza del mondo. Gesù risponde: «No mamma, perché i peccatori sono ostinati, nessuno ritorna a Dio; nel mondo vi sarà rovina e morte. Roma sarà punita, l’Italia sarà travagliata e umiliata. La Chiesa sarà perseguitata. Il Cristo in terra dovrà tanto soffrire; a quante rovine andrà incontro! Il gregge sta per disperdersi. Quante anime sacerdotali sono uscite fuori dall’ovile! Pregate incessantemente, perché l’ora è vicina, affinché l’umanità conosca i suoi errori. La Russia sorgerà su tutte le nazioni, specie sull’Italia, e pianterà la bandiera [rossa] sulla cupola di san Pietro: [e la basilica] sarà circondata da leoni tanto feroci! La mia parola è chiara. Il mondo si perde prima di quanto si pensa».

Le parole della Madonna sembrano fotografare la realtà odierna, ma potevano apparire incomprensibili nel clima di euforia progressista degli anni Sessanta del Novecento. Profetico appare anche il riferimento alla Russia, che ricorre con insistenza nelle rivelazioni ricevute dalla beata Elena Aiello.

13 settembre 1959: «La Russia spanderà i suoi errori su tutte le nazioni, specie sull’Italia. L’Italia non sarà salva. Il flagello della guerra è vicino, e l’Italia sarà la prima a essere sommersa dalle forze del male. Quanti peccati pubblici e privati infangano la città santa!».

8 maggio 1960: «La Russia è pronta a scatenare tutte le forze del male e sfogherà tutto il suo furore. Sarà una bufera infernale. La guerra sarà prossima. La Russia si abbatterà su diverse nazioni. Il fuoco comincerà da est a ovest. Anche nel Nord-Africa e poi nel Medio Oriente vi saranno molte rivoluzioni. Il sangue scorrerà a rivi. Il tempo non è lontano. I sacerdoti saranno perseguitati; le chiese saranno profanate, specie nella città santa. Pregate perché il Papa non cada in mano ai russi».

16 luglio 1960: «Se non si prega, l’Italia sarà peggiore della Russia. Verrà la persecuzione per la Chiesa. Quanti sacerdoti moriranno martiri. La Russia tenta di invadere la Città Santa, sede del vicario di Cristo, profanata da questi mostri infernali».

22 agosto 1960: «L’ora terribile avanza sul mondo. Diverse nazioni saranno colpite, specie l’Italia, con rivoluzioni sanguinose. La Russia ha preparato le armi segrete contro l’America, contro la Francia e contro la Germania. La guerra è prossima. Il Reno della Svizzera sarà pieno di cadaveri e di sangue. Il Papa dovrà tanto soffrire. Il leone ruggente avanzerà sulla cattedra di Pietro, per diffondere i suoi errori. Il fiele della Russia avvelenerà tutte le nazioni, specie l’Italia. Pregate molto e fate pregare specialmente nei mesi di ottobre e novembre e non pensate che siano vane parole-sono gravi rivelazioni”. Quando avverrà tutto questo?” “Il tempo non è lontano e tutto si avvererà”».

Così si conclude il dattiloscritto, contenente le rivelazioni di Gesù e della Madonna alla Beata Elena Aiello. Questi messaggi vanno naturalmente letti ricordando che i tempi della Divina Provvidenza sono diversi da quelli degli uomini e che le preghiere possono ritardare o attenuare i castighi. Dio non ha fretta (Sap. 12, 1-10): aspetta che si compiano i tempi e conduce infallibilmente a termine i suoi disegni (Is. 46, 11).

Il continuo riferimento alla Russia conferma la profezia di Fatima, secondo cui «la Russia diffonderà i suoi errori nel mondo, provocando guerre e persecuzioni alla Chiesa». Se qualcuno obietterà che la Russia comunista oggi non esiste più, rispondiamo che né la Russia né l’Occidente si sono convertiti alla vera fede e che i peccati pubblici del mondo, da Est ad Ovest del pianeta, sono aumentati in misura esponenziale. Come immaginare che il castigo annunziato da Dio sia stato rimosso? E se il castigo ancora incombe sul mondo, a causa dei suoi peccati, perché Dio, che è immutabile nei suoi disegni, dovrebbe modificare ciò che, attraverso la Madonna, aveva annunciato a Fatima, e cioè che la Russia sarebbe stata lo strumento del suo castigo? I fatti sono sotto i nostri occhi. La Russia, il 22 febbraio 2022 ha invaso l’Ucraina e minaccia l’uso di armi nucleari e di missili ipersonici, capaci di volare a una velocità cinque volte superiore a quella del suono. Il rischio di un’ecatombe incombe sull’umanità in maniera ben più grave di sessant’anni fa.

Due spaventose guerre hanno devastato il secolo XX. Siamo alla vigilia di una nuova conflagrazione mondiale? E come e quando la Russia si convertirà alla vera fede, realizzando la profezia di Fatima che annuncia, al termine della catastrofe, il trionfo del suo Cuore Immacolato? Solo Dio conosce il futuro, ma i messaggi della beata Elena Aiello possono essere per noi una fonte di riflessione e di preghiera.








Nuova Messa e nuova teologia. Ma allora il prete a cosa serve?




27 APR 2023

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by Aldo Maria Valli



di Rita Bettaglio

Qualche settimana fa il cardinale Roche, prefetto della Congregazione del culto divino, si è profuso in un’affermazione che conferma ciò che ogni cattolico minimamente attento a cosa accada nelle chiese ha capito da tempo.

Parlando alla BBC, il principe della Chiesa ha detto: “Voi sapete che la teologia della Chiesa è cambiata. Prima il prete rappresentava, a distanza, tutte le persone. Esse erano canalizzate, per così dire, attraverso questa persona che da sola celebrava la Messa. Non è solo il sacerdote che celebra la liturgia, ma anche coloro che sono battezzati con lui. E questa è un’affermazione enorme”.



Ci sia concesso svolgere alcune elementari riflessioni su queste parole.

Capo primo: Roche dice il vero? Questo cambio di teologia è ufficiale o hanno avvelenato i pozzi e continuano a dire che è acqua buona?

Se dice il vero, trema tutta la teologia cattolica e hanno ragione monsignor Lefevbre e i cardinali Ottaviani e Bacci a dire che il Novus Ordo non è più la Santa Messa cattolica. “Un rito bastardo”, lo definì Lefebvre nella celebre omelia di Lille, 29 agosto 1976. Non in senso meramente dispregiativo, ma per significare la commistione di elementi cattolici e non cattolici, una sorta di meticciato liturgico e teologico.



“Questa unione voluta dai cattolici liberali fra la Chiesa e la Rivoluzione è un’unione adultera! E da questa unione adultera non possono venire che dei bastardi. E chi sono questi bastardi? Sono i riti. Il rito della nuova messa è un rito bastardo”. Così monsignor Lefevbre nel 1976.

Ma Roche è andato ben oltre. Se ciò che ha detto rappresenta il pensiero della Chiesa e del Papa, la Messa di Paolo VI non è un rito meticcio, ma è il frutto di un cambiamento sostanziale della teologia riguardo al mistero centrale della nostra fede, la Santa Messa.



Chiedo venia: mi accorgo che quanto ho appena scritto potrebbe non essere più vero nella nuova teologia. Mi si perdoni: evidentemente sono rimasta al Catechismo. Ma non credo di essere la sola.

Il prefetto del Dicastero per il culto divino (ma meglio sarebbe dire “umano”) sostiene che “non è solo il sacerdote che celebra la liturgia, ma anche coloro che sono battezzati con lui”. Allora che valore ha e che senso ha il sacerdozio cattolico? Se la transustanziazione (ma esisterà ancora?) avviene col concorso dei fedeli, a che servono i preti? Perché Gesù li ha istituiti nel giovedì santo? Perché ha detto tutto ciò che ha detto circa il legare e sciogliere, rimettere e non rimettere i peccati, fare questo in memoria di me eccetera? Duemila anni di fede, di teologia cattolica, non solo crollano ma si rivelano inutili, aria fritta.



La storia della Chiesa, però, dimostra l’esatto contrario di quanto vanno dicendo Roche e i suoi. E, come si dice, contra factum non valet argumentum.

La storia della Chiesa dimostra, attraverso il Magistero infallibile, i Concili dogmatici, la schiera dei santi, l’evidente bene delle anime, che il sacerdozio cattolico è la colonna portante della Chiesa e che solo il sacerdote ordinato può, in persona Christi, rinnovare sull’altare il Sacrificio del Calvario. Non ci sono storie, se siamo nella Chiesa cattolica.

Se, invece, vogliamo inventare una nuova religione, basata su di una nuova teologia, liberissimi di farlo, ma fuori dalla Chiesa cattolica. Lascino, questi fulgidi novatori (a dire il vero piuttosto flaccidi e opachi), incarichi prestigiosi, cardinalato, privilegi e prebende e si mettano sul mercato delle religioni (o, meglio, delle sette). Vedremo cosa sortiranno e se riusciranno a piazzare il loro prodotto, il loro personale Ceratom.



Per intanto noi continuiamo a credere nella fede dei nostri padri, nella Presenza Reale, nel Santo Sacrificio della Messa, nei Sacramenti d’istituzione divina, nella Vergine Santissima, immacolata Madre di Dio, in tutto ciò che professiamo nel Credo.

Lex orandi, lex credendi: Roche lo conferma, finalmente. Però egli non crede ciò che la Santa Chiesa ci propone a credere. Come la mettiamo?

Noi dalla Chiesa non ce ne andiamo, perché extra Ecclesia nulla salus. Però la pensiamo come il vecchio Antonio, di guareschiana memoria.

“Che mondo! ha ridacchiato Antonio. I preti non ce la fanno più a dire la Messa da soli e vogliono farsi aiutare da noi! Ma noi dobbiamo pregare, durante la Messa!”.



“Appunto, così pregate tutti assieme, col prete”, ha tentato di spiegare lei. Ma il vecchio Antonio ha scosso il capo: Reverendo, ognuno prega per conto suo. Non si può pregare Dio in comuniorum. Ognuno ha i suoi fatti personali da confidare a Dio. E si viene in chiesa apposta perché Cristo è presente nell’Ostia consacrata e, quindi, lo si sente più vicino. Lei faccia il suo mestiere, Reverendo, che noi facciamo il nostro. Altrimenti, se lei è uguale a noi, a che cosa serve più il prete? Per presiedere un’assemblea sono capaci tutti. Io non sono forse il presidente della cooperativa dei boscaioli?”.

Prosit.





mercoledì 26 aprile 2023

La rivoluzione in corso della teologia morale cattolica – 1






di Stefano Fontana, 26 APR 2023

Nella teologia morale cattolica è in atto un totale cambiamento di prospettiva e di struttura. La Dottrina sociale della Chiesa fa parte della teologia morale, come ha insegnato Giovanni Paolo II[1], e quindi diventa fondamentale chiarire in quale quadro essa si inserisce. Per questo motivo ho pensato di pubblicare una serie di interventi su questo tema: la riforma (o rivoluzione) in atto della teologia morale. Potrebbe anche darsi che il nuovo quadro della teologia morale fosse tale da impedire l’esistenza della Dottrina sociale della Chiesa o richiedesse di superarla. In questo caso il quadro che dovrebbe dare senso alla Dottrina sociale invece la soffocherebbe e ne impedirebbe la vita.

Giuseppe Angelini lo ha già detto in un capitoletto di un suo articolo dedicato a Paolo VI dal significativo titolo: “Oltre la Dottrina sociale della Chiesa”[2]. Egli fa notare come Paolo VI recepisca “il sostanziale rifiuto della nozione forte di dottrina sociale della Chiesa, decretato dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes. Nel 1971, nell’80mo anniversario della Rerum novarum, Paolo VI onora l’appuntamento con l’obbligata celebrazione con una lettera apostolica, la Octogesima adveniens, che corregge la concezione dottrinale e forte della dottrina sociale della Chiesa, sostituendola con una descrizione per così dire debole”[3]. Invito a collegare tra loro i tre elementi di questa posizione di Angelini: a) il primato moderno della coscienza; b) il rifiuto della nozione forte di Dottrina sociale della Chiesa espressa dal Vaticano II; c) l’assunzione da parte di Paolo VI della accezione debole di Dottrina sociale della Chiesa. Il punto da segnalare è il seguente: l’assunzione del primato moderno della coscienza comporta una revisione dello statuto della Dottrina sociale della Chiesa perché esprime una nuova teologia morale. C’è quindi un cambiamento della teologia morale a seguito delle novità espresse dal pensiero moderno che comporta un indebolimento del significato della Dottrina sociale.

Si tratta di una visione piuttosto diffusa della (scarsa) considerazione che Paolo VI ebbe della Dottrina sociale della Chiesa, piuttosto semplicistica se così formulata, senza per esempio tenere conto di altre encicliche di Paolo VI, come la Populorum progressio, o della interpretazione che di questa problematica ha fornito la Caritas in veritate di Benedetto XVI[4]. Sta di fatto, in ogni caso, che Angelini esprime bene una versione oggi dominante in teologica morale: l’incontro con la concezione moderna della coscienza rende obsoleta e quindi da superare la Dottrina sociale della Chiesa così come l’abbiamo conosciuta fino a Benedetto XVI. Paolo VI rimarrebbe a metà strada: da un lato accoglie la concezione moderna della coscienza, dall’altra la accoglie solo con riserva. Egli opterebbe quindi per una Dottrina sociale della chiesa “debole” anziché “forte”, ma non si lancerebbe verso il suo superamento (non andrebbe “oltre”) che, secondo Angelini, è oggi la cosa da fare.

Ho citato questo intervento del noto moralista della Facoltà teologica di Milano come esempio di un cambiamento: se cambia la teologia morale deve cambiare anche la dottrina sociale della chiesa, fino al punto di estinguersi o di essere (hegelianamente) superata. Il discorso può essere anche rovesciato. Se si vuole tenere ferma la Dottrina sociale della Chiesa così come essa è stata impiantata, occorre contrapporsi ai cambiamenti in atto in teologia morale o comunque valutarli criticamente e non come positivi segni dei tempi. Naturalmente, la volontà di mantenere la Dottrina sociale della Chiesa così come è, nasce dalla convinzione che il quadro della teologia morale in cui finora essa si è inserita fosse valido dal punto di vista della retta ragione e corretto dal punto di vista della fede nella rivelazione.

È evidente che, in questo modo, riemerge la solita grande questione del rapporto della Chiesa con la modernità. Non a caso Giuseppe Angelini parla del Vaticano II come momento di inversione nella comprensione della Dottrina sociale della Chiesa. Egli sostiene infatti che “l’evidente indebolimento della nozione di dottrina sociale riflette due circostanze insieme: l’accelerazione impressa al ministero pastorale dal Vaticano II e la singolare sensibilità di Paolo VI”[5]. Ambedue gli elementi hanno a che fare con la modernità, dato che l’anticipazione della pastorale rispetto alla dottrina da parte del Vaticano II è stata attuata in vista del dialogo con l’uomo contemporaneo inteso però come dialogo con il pensiero moderno, e la sensibilità di Paolo VI viene qui celebrata perché in sintonia con tali esigenze soprattutto riguardo al tema della coscienza.

Il cambiamento della configurazione della teologia morale cattolica ha trovato nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia insieme il suo manifesto e la sua convalida. Gran parte dell’apparato accademico istituzionale della Chiesa ha detto che dopo Amoris laetitia bisogna porre mano all’intero impianto non solo della morale matrimoniale o sessuale, ma dell’intera teologia morale. Del resto, i cinque dubia dei Cardinali, riguardavano proprio questo e non aspetti particolari della morale cattolica. I quattro cardinali in pratica chiedevano a papa Francesco di dire se la teologia morale finora fissata e insegnata fosse ancora valida o no.

Con questo intervento intendo quindi iniziare una serie di riflessioni e di analisi sui cambiamenti in atto della teologia morale, per verificare se essi siano compatibili o meno con la Dottrina sociale della Chiesa, se chiedano veramente di “superarla” o se debbano essere essi essere superati.

Stefano Fontana





[1] Laborem exercens, n. 41.

[2] G. Angelini, Paolo VI e il primato moderno della coscienza, “Teologia”, 44 (2019) 3, pp. 337-360.

[3] Ivi, p. 348.

[4] Caritas in veritate, capitolo I.

[5] G. Angelini, Paolo VI e il primato moderno della coscienza cit.,p. 349.








Suicidio assistito, la replica di Paglia è da sabbie mobili



In una dichiarazione ufficiale, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita torna sulle parole dette a Perugia a proposito del suicidio assistito. Si dice contrario alla pratica ma allo stesso tempo è favorevole a una norma che la depenalizzi. Ma questo significherebbe legittimare un male morale.



L’ERRORE RIPETUTO

VITA E BIOETICA

Tommaso Scandroglio, 26-04-2023

Riavvolgiamo il nastro. Mercoledì 19 aprile monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, intervenendo al Festival del giornalismo a Perugia, dichiarava che “non è da escludersi che nella nostra società sia praticabile una mediazione giuridica che consenta l’assistenza al suicidio nelle condizioni precisate dalla Sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale”, aggiungendo però che “personalmente non praticherei l’assistenza al suicidio”.

Qualche giorno fa abbiamo commentato questa ennesima uscita disastrosa di mons. Paglia sui principi non negoziabili. Come noi della Bussola, altre testate hanno mosso alcuni rilievi critici alle parole del presidente della Pav. E così la suddetta Accademia, per tutta risposta, si è sentita in dovere di emanare un comunicato stampa in cui si può leggere quanto segue: «Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ribadisce il suo “no” nei confronti dell’eutanasia e del suicidio assistito. […] Mons. Paglia ha spiegato che a suo avviso è possibile una “mediazione giuridica” (non certo morale) nella direzione indicata dalla Sentenza, mantenendo il reato e le condizioni in cui si depenalizza, in quanto la medesima Corte Costituzionale ha chiesto al Parlamento di legiferare. Per Mons. Paglia è importante che la Sentenza affermi che il reato resta tale e non viene abolito».

Evidentemente a mons. Paglia piacciono le sabbie mobili: più si agita, più affonda. Un paio di commenti alla nota della Pav. Innanzitutto evidenziamo che mons. Paglia è contrario al suicidio assistito e nello stesso tempo è a favore di una norma che lo depenalizzi. Ora, in linea generale, si può benissimo essere contrari ad una condotta immorale e favorevoli ad una sua depenalizzazione quando il divieto giuridico e quindi la relativa sanzione apporterebbero maggiori danni al bene comune della condotta immorale stessa. Ad esempio, bene non sanzionare il tentato suicidio, non perché la vita non sia un bene collettivo da tutelare, ma perché a chi attenta alla propria vita nulla gioverebbe il carcere o una sanzione pecuniaria.

Può essere questo il caso dell’aiuto al suicidio? No. Il nostro ordinamento giuridico giustamente non sanziona il tentato suicidio, ma, almeno fino all’intervento della Consulta, sanzionava l’aiuto al suicidio perché tutte quelle condizioni di carattere psicologico, che spingono l’aspirante suicida a togliersi la vita e che fanno sì che non venga punito, non valgono per chi lo aiuta. Ecco perché, fino alla sentenza 242/2019, si puniva chi collaborava al suicidio. Dunque mons. Paglia non dovrebbe essere a favore della depenalizzazione, seppur solo in certi casi, dell’aiuto al suicidio perché è moralmente doveroso punire chi aiuta altri a togliersi la vita.

Aggiungiamo poi che l’area di depenalizzazione indicata dalla Consulta è di così ampio respiro che rimarrà esclusa da essa solo il caso di chi, fuori da un qualsiasi percorso clinico, fornirà assistenza all’aspirante suicida. Dunque, per rispondere alle ansie di mons. Paglia in merito al fatto che sarebbe necessario che il suicidio assistito rimanga qualificato come reato, solo in principio rimarrà tale. Non certo nella prassi.

Ciò detto, poniamoci una domanda: si tratta di sola depenalizzazione? No, bensì di depenalizzazione e legittimazione del suicidio assistito. La Consulta ha sì depenalizzato il reato in certe circostanze, ma la condotta depenalizzata è diventata contestualmente un diritto. Ricordiamo, citando le parole di Paglia, le condizioni indicate dalla Consulta perché l’aiuto al suicidio non debba essere più considerato reato: “La persona deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Inoltre, esistono altre circostanze indicate dalla Corte che fanno riferimento esplicitamente alla disciplina del consenso informato presente nella legge 219/2017, norma che ha legittimato l’eutanasia in alcune ipotesi. Si tratta di condizioni prettamente cliniche e perciò la Consulta descrive uno scenario interessato dalla legge 219/17. Ne consegue che la condotta di aiutare qualcuno a morire, così come descritta dalla Consulta, non solo cessa di essere considerata un reato, ma, dato che materialmente si tratta di un intervento medico, rientra a pieno titolo nella legge 219 e quindi, a motivo di ciò, la richiesta della persona al medico di essere aiutata a morire assurge a vero e proprio diritto, così come indicato dalla medesima legge 219.

Ergo, dirsi a favore della depenalizzazione dell’aiuto al suicidio significa, in Italia, dirsi a favore della sua legittimazione. Ma non si può mai legittimare un male morale. Dunque, l’aiuto al suicidio non solo non dovrebbe essere legalizzato, ma non dovrebbe nemmeno essere depenalizzato, perché è necessario il presidio della sanzione penale per tutelare la vita delle persone da gesti fintamente misericordiosi. La depenalizzazione attenta al bene comune e la legittimazione ancor di più.

Un ultimo appunto. Rileggiamo questa frase: «Mons. Paglia ha spiegato che a suo avviso è possibile una “mediazione giuridica” (non certo morale)». Qualsiasi intervento giuridico - pure le paglierine mediazioni giuridiche - ha carattere morale. Come nella ragione teoretica non si può uscire dal pensiero (è impossibile non pensare, se si è desti), così nella ragione pratica è impossibile uscire dalla morale, perché qualsiasi azione volontaria ha una sua moralità. Ora, le sentenze, come le leggi, sono atti umani che esprimono un fine e laddove c’è un fine c’è un bene, vero o presunto che sia, e dunque laddove c’è un bene c’è un giudizio morale. Ecco perché tutte le sentenze e le leggi di questo mondo possono essere criticate o apprezzate. Ed ecco perché la Chiesa cattolica ha sempre usato, ad esempio, la categoria concettuale delle “leggi ingiuste”.

Invece, Paglia vuole separare il diritto dalla morale, considerando il diritto avulso dal giudizio etico, una zona franca da valutazioni di valore, posizione questa ascrivibile al più puro giuspositivismo kelseniano. E così sul suicidio assistito si potrebbe mediare dal punto di vista giuridico, ma non morale. Peccato, invece, che la morale governi anche le scelte giuridiche e quando queste riguardano assoluti morali come il suicidio e l’aiuto al suicidio non esiste mediazione che tenga, proprio perché la mediazione giuridica sarebbe anche una mediazione morale.







martedì 25 aprile 2023

Padre Bamonte: Il satanismo viene apertamente allo scoperto e ciò denota la gravità dell'ora presente





martedì 25 aprile 2023

Comunicato Importante di Padre Francesco Bamonte, presidente dell’associazione degli esorcisti italiani

E mentre l'attuale gerarchia che guida la Chiesa cattolica rinnega sé stessa, donando le sue perle a cani e porci per piacere al mondo e sottomettersi all'ideologia globalista, il potere oligarchico che impone quest'ultima in modo sempre più autoritario, ne approfitta per lasciare campo libero al satanismo, parificandolo ad una religione meritevole di riconoscimento e manifestazioni pubbliche, nonostante i crimini orrendi a cui incitano e che i suoi adepti commettono.
Uniti per tentare di annientare il cristianesimo, il loro nemico comune, e illudendosi di poter distruggere l'unica Chiesa di Cristo, quella cattolica.(vedi)
Mai così indebolita, visto molti vescovi non credono nemmeno all'esistenza del diavolo e quindi non nominano esorcisti.
Ma dimenticano che «portae inferi non praevalebunt», anche se ci causano e causeranno molte sofferenze. Tempo di prova e di martirio, bianco e rosso, dall'interno e dall'esterno. Oremus! (Aloisius)


* * *


Comunicato Importante di Padre Francesco Bamonte dei Servi del Cuore Immacolato di Maria, esorcista nella diocesi di Roma e presidente dell’associazione degli esorcisti italiani.




Carissimi Confratelli Esorcisti e voi tutti Ausiliari,

in allegato un messaggio importantissimo del nostro coordinatore per i paesi di lingua inglese, padre Robert-Joel Cruz riguardo l'imminente primo raduno satanico pubblico della storia che si terrà a Boston dal 28 al 30 aprile 2023. Vi riportiamo, in allegato, anche il testo originale in inglese della lettera di Mons. Mark O’Connel, Vescovo ausiliare dell'Arcidiocesi di Boston, incaricato dal Cardinale Sean O'Malley di dare una risposta ai fedeli preoccupati per questo drammatico evento.

Come possiamo evincere da questo fatto, siamo giunti al punto che il satanismo viene apertamente allo scoperto e ciò denota la gravità dell'ora presente. Rafforziamo la nostra risposta nella comunione reciproca mediante la celebrazione della Santa Messa quotidiana, nella preghiera alla Madre di Dio mediante il santo Rosario, nella preghiera a San Michele Arcangelo capo e condottiero delle milizie celesti e nell'esorcismo quotidiano riportato in Appendice al rituale degli esorcismi (Preghiere ed esorcismo per circostanze particolari). [In attesa che io riesca a pubblicarle, si possono trovare qui]

Preghiamo anche perché questi nostri fratelli e sorelle caduti nella trappola del nemico del genere umano, conoscendo la vera identità di colui che stanno seguendo in questo momento, aprano il loro cuore all'amore infinito che sgorga dal Cuore di Cristo e rinuncino a Satana, a tutte le sue opere e a tutte le sue seduzioni.

Dio benedica ciascuno di voi e la Vergine Immacolata e San Michele vi custodiscano sotto la loro protezione.

Il presidente dell'Associazione Internazionale Esorcisti
Padre Francesco Bamonte, icms







lunedì 24 aprile 2023

Funzione anglicana in Laterano. Un grave episodio





Roberto de Mattei, 22 Aprile 2023

Vorrei commentare un episodio che mi è sembrato grave e significativo. Lo abbiamo appreso da un comunicato ufficiale del venerando Capitolo di S. Giovanni in Laterano, rilasciato lo scorso 20 aprile 2023.

Il comunicato dice questo: “Il Capitolo Lateranense, nella persona di Sua Ecc.za Mons. Guerino Di Tora, Vicario Capitolare, esprime profondo rammarico per quanto avvenuto martedì scorso, 18 aprile, all’interno della Basilica di S. Giovanni a Roma. Infatti, un gruppo di circa 50 sacerdoti, accompagnati dal loro vescovo, tutti appartenenti alla comunione anglicana, hanno celebrato sull’altare maggiore della cattedrale di Roma, contravvenendo alle norme canoniche. Mons. Di Tora ha anche spiegato che l’increscioso episodio è stato causato da un difetto di comunicazione.”

Mons. Di Tora è il Vicario dell’Arciprete della Basilica Lateranense, che è il cardinale Angelo De Donatis, a sua volta Vicario Generale di papa Francesco per la Diocesi di Roma. Mons. Di Tora ha attribuito l’accaduto a un “difetto di comunicazione” Secondo quanto ricostruito dal quotidiano “Messaggero”, il gruppo di anglicani era di passaggio a Roma e uno di questi avrebbe chiesto a un religioso romano di trasmettere al Laterano la richiesta di celebrare la Messa. Ambasciata che sarebbe stata fatta senza specificare che si trattava di un gruppo di protestanti.

Sembra strano però che un gruppo di cinquanta sacerdoti ottenga di concelebrare all’altar maggiore della Basilica Laterana, senza esibire il celebret, cioè il documento che le autorità ecclesiastiche rilasciano per consentire ai sacerdoti di amministrare lecitamente la Messa e i sacramenti. Se si fosse trattato solo di un malinteso, bisognerebbe dire che la superficialità delle autorità lateranensi è stata somma, tanto da coprire di ridicolo i responsabili. Ammesso pure che così sia stato, non si può ammettere però la buona fede degli anglicani, che non potevano ignorare come la funzione religiosa da essi svolta fosse in aperto contrasto con le leggi canoniche della Chiesa di Roma. Il loro gesto ha comunque un sapore provocatorio, che vi sia stata complicità o meno delle autorità del Laterano. Ma al di là dell’attribuzione delle responsabilità, ciò che rimane è la gravissima portata dell’evento.

La cattedrale di Roma non è San Pietro, come molti credono, ma la Basilica di San Giovanni in Laterano, che è detta “Arcibasilica” perché è la più importante delle quattro basiliche papali maggiori. L’iscrizione latina scolpita sul marmo della facciata della Arcibasilica Lateranense recita «Omnium Urbis et Orbis Ecclesiarum Mater et Caput»: Madre e Capo della Chiesa universale.

Il Laterano è il luogo in cui si trova la cattedra papale, simbolo dell’autorità e del magistero del Vescovo di Roma. Ed è proprio l’altare del Vescovo di Roma, cioè l’altare papale, quello dove si sarebbe svolta la cerimonia anglicana. Sullo scranno riservato al Papa si sarebbe seduto il vescovo che ha presieduto la funzione, Jonathan Baker, che ha avuto una lunga militanza massonica, ed è divorziato e risposato, secondo quanto permette la Church of England, ma soprattutto, per la Chiesa cattolica, non è nemmeno un vescovo.

Lo scisma anglicano risale al Re d’Inghilterra Enrico VIII (1534-1547). Durante il suo regno tutte le ordinazioni dei sacerdoti si fecero secondo il Rituale romano e furono considerate valide. Ma nel 1550 entrò in vigore il Book of Common Prayer di Edoardo VI, nel quale il Pontificale romano fu sostituito da un nuovo Ordinale, che manifestava, secondo la teologia cattolica, difetti di forma e di intenzione. In questo Ordinale, non solo si negava il Sacramento dell’Ordine, ma si eliminava dalla celebrazione della Cena, sostituita alla Messa, ogni idea di sacrificio e di consacrazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Gesù Cristo.

La regina Elisabetta (1558-1603) scelse come arcivescovo di Canterbury Matteo Parker, ordinato sacerdote secondo l’ordinale edoardiano, e quindi invalidamente. Da Parker vennero poi consacrati altri vescovi anglicani, tutti secondo l’ordinale di Edoardo VI, e dunque invalidi. Da essi, per successive consacrazioni, derivò l’episcopato anglicano di cui la Chiesa non ha mai riconosciuto la validità.

Leone XIII, con la Lettera Apostolicae curae del 13 settembre 1896, confermò e rinnovò i decreti dei suoi predecessori, proclamando solennemente che, per difetto di forma e per difetto di intenzione, “le ordinazioni compiute con il rito anglicano sono state del tutto invalide e sono assolutamente nulle”. La presente lettera, aggiungeva Leone XIII, “sarà ed è sempre valida e in vigore e deve essere osservata infallibilmente da tutti, di qualsiasi grado e onore nel giudizio e fuori”. Benedetto XVI ha confermato questo decreto nella costituzione apostolica Anglicanorum coetibus del 4 novembre 2009.

Ciò significa che i vescovi anglicani non sono vescovi, i preti non sono preti e le messe da loro celebrate non sono vere Messe. Sull’altare papale dell’Arcibasilica di San Giovanni in Laterano è stata messa in scena una pantomima, offensiva per l’autorità della Santa Sede e per la fede cattolica. Un comunicato come quello che è stato rilasciato dal Capitolo dell’Arcibasilica, al di là delle buone intenzioni, è del tutto inadeguato, perché ciò che è avvenuto è un oltraggio, che meriterebbe una solenne riparazione. E se non c’è stato dolo da parte di nessuno, la cosa appare ancora più grave, perché vuol dire che è stata permessa dalla Divina Provvidenza per mostrare l’abisso di confusione in cui oggi è immersa la Chiesa. 







Messico / Il nuovo rito “maya” della Messa. 1




24 APR 2023

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by Aldo Maria Valli


Come riportato di recente, in Messico si sta preparando un rito “maya” della messa. Lo studio è già avanzato ed è emerso un progetto. Un gruppo di vescovi messicani si è infatti riunito per lavorarvi nella diocesi di San Cristóbal de las Casas con monsignor Aurelio Garcia Macias, sottosegretario del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.

Preparato a febbraio, il progetto sarà sottoposto ai vescovi messicani prima di essere inviato a Roma a maggio. Prima di leggere il testo, è utile conoscere il contesto.

Diocesi di San Cristóbal de las Casas


La diocesi è stata per decenni sotto l’occhio vigile di Roma. In gioco c’è il sincretismo, il processo decisionale comunitario, l’attivismo politico di sinistra e l’ordinazione di centinaia di diaconi permanenti, con le loro mogli, per realizzare una “chiesa indigena”.

Monsignor Samuel Ruiz Garcia, vescovo della diocesi dal 1960 al 2000, è stato all’origine del movimento. Monsignor Felipe Arizmendi Esquivel, creato cardinale nel 2020, vescovo della diocesi dal 2000 al 2017, ha proseguito nella linea del suo predecessore, che ha sollevato non poche preoccupazioni a Roma.


Il caso dei diaconi permanenti associati alle loro mogli


Nel 2000 il Vaticano ha chiesto che, al momento dell’ordinazione dei diaconi permanenti, il vescovo non imponesse le mani sul capo della moglie, come era prassi. Nel 2005 la Congregazione per il culto divino ha sospeso “le ordinazioni diaconali permanenti fino a quando non sarà risolto il problema ideologico di fondo” e che il concetto di celibato sacerdotale fosse rafforzato.



Inoltre “la formazione dei candidati al diaconato permanente doveva essere interrotta”. La diocesi contava allora 340 diaconi permanenti sposati e un quarto di questo numero di sacerdoti: le parrocchie erano gestite principalmente da diaconi permanenti e dalle loro mogli. Nel 2007 Roma ha chiesto di togliere dal direttorio diocesano l’indicazione che questi diaconi potessero diventare preti sposati.

L’incoraggiamento di papa Francesco


Il cardinale Arizmendi racconta come, già nel 2013, fosse incoraggiato dal nuovo Papa. Francesco gli disse che il diaconato permanente sarebbe potuto essere una soluzione molto opportuna nelle comunità indigene e che sarebbe dovuto essere incoraggiato. Lo raccomanda Querida Amazonia, n. 92.

Pochi mesi dopo il presule ha spiegato che “siamo stati autorizzati a continuare queste ordinazioni”. Francesco ha così incoraggiato un diaconato indigeno permanente con mogli considerate co-diaconesse, ma sostenne anche lo sviluppo di un rito indigeno.

Gli elementi generali alla base del nuovo progetto

Diversi elementi compaiono nel Sinodo amazzonico del 2019: rafforzamento del ruolo liturgico delle donne (verso un diaconato femminile), ruolo preponderante dei diaconi indigeni sposati (verso i sacerdoti sposati) e un’inculturazione liturgica mista a elementi idolatrici (cfr. culto della pachamama). Per quanto riguarda l’antica religione maya, essa è intrisa di politeismo, animismo, credenza nella comunicazione con gli antenati, persino sacrifici umani.


Il rito “maya” così com’è già praticato nella diocesi di San Cristóbal de las Casas

C’è già una avanzata inculturazione dei riti maya, approvata dal vescovo locale. Alcuni di questi elementi devono essere integrati nel progetto attuale.

Incensazione dell’altare da parte delle donne


È un’antica funzione delle donne maya incensare oggetti come l’altare maya; questa funzione si ripete durante la messa, con lo stesso tipo di incensiere: le donne incensano l’altare in momenti diversi durante la messa con un incensiere maya.

Le danze rituali

La cultura maya utilizza danze rituali: queste sono previste alla fine della messa. Si ritiene che queste danze siano mezzi per comunicare con divinità e spiriti. Il sito web di World History spiega: “I rituali di danza venivano praticati per comunicare con gli dei. Le danze prevedevano sontuosi costumi raffiguranti i volti delle divinità. (…) I Maya pensavano che vestendosi e comportandosi come un dio, potessero comunicare con lui”.

La Terra, “dea madre”


Spiega il cardinale Arizmendi: “Nella ‘teologia indiana’ la terra è essenziale, la conoscono come la Dea Madre. Ha la sua personalità. Lei è sacra. Lei è il soggetto con cui parliamo e che veneriamo. La terra è fertilità divina. Le piante, in particolare il mais, sono la carne degli dei data all’uomo per il sostentamento”.

Sincretismo e indifferentismo religioso


La rinascita delle pratiche e dei simboli maya è visto come un ritorno alle tradizioni “precolombiane”, cioè pagane. Ma per la teologia indiana non c’è contraddizione con il cattolicesimo. Un autore scrive che “monsignor Ruiz ha sottolineato che il Dio venerato nella teologia indiana non era diverso dal Gesù venerato nel cattolicesimo”.

Lo stesso autore descrive l’incorporazione di antichi riti religiosi nei riti cattolici: “Alcuni hanno incorporato elementi come l’acqua, il fuoco, i colori ancestrali, che non hanno nulla a che fare con le preghiere della Chiesa cattolica: rimandiamo non solo a un Dio cristiano, ma anche alla terra, le montagne, l’acqua, la luna, il sole, tra gli altri…”

Il ruolo liturgico delle donne


Si manifesta nell’inclusione delle mogli nell’ordinazione dei diaconi permanenti. La sposa, scrive monsignor Arizmendi, “rimane accanto al diacono durante tutta la cerimonia, e unisce la sua mano a quella del marito nel momento della promessa di obbedienza”. Inoltre “riceve, insieme al marito, il libro dei Vangeli. Assiste come ministro straordinario della comunione. E nelle celebrazioni ordinarie incensa l’altare, i Vangeli, le immagini, i ministri e i fedeli”.

Inoltre, “abbiamo autorizzato due donne ad amministrare il battesimo e a presiedere la celebrazione del matrimonio quando non ci sono altri ministri”: una delle esigenze del Cammino sinodale…

L’altare maya

È un altare dedicato agli dei e alle credenze della religione maya. Questi altari si trovano già nelle chiese della regione e durante molte cerimonie religiose. Scrive monsignor Arizmendi: “In alcuni luoghi è consuetudine fare, davanti all’altare, l’“altare maya”, con fiori e candele colorate, secondo le quattro direzioni dell’universo, con i frutti della terra”.

Ogni colore ha un significato specifico, quattro dei quali rappresentano i punti cardinali. Ad un certo punto, la congregazione si inchina verso il centro dell’altare che presenta due candele che si ritiene rappresentino Cristo, sebbene queste candele abbiano anche altri significati.



Monsignor Arizmendi argomenta: “Abbiamo favorito l’inculturazione dell’adorazione del Santissimo Sacramento presso l’“altare maya””. Ci sono “simboli su questo altare della presenza eucaristica di Gesù”. Nella cultura maya, “Dio è invocato come Cuore del Cielo e Cuore della Terra”; tuttavia, spiega il porporato: “Gesù unisce il cielo e la terra, perché è Dio e uomo”.

Accensione di candele


“Il sacerdote che presiede la celebrazione annuncia alla comunità che la preghiera universale sarà fatta seguendo il metodo di accensione delle candele secondo la tradizione degli antenati” scrive monsignor Arizmendi. Secondo la tradizione Maya, è possibile comunicare in questo modo con i propri antenati. Prima dell’inizio della messa viene preparato un posto davanti all’altare dove verranno accese le candele.

Il numero di candele varia a seconda dello scopo della preghiera. Il direttore – sempre laico – invita alla preghiera, mentre la musica tradizionale viene suonata con arpa, violino e chitarra. Tutti i partecipanti si inginocchiano. Una donna incensa le candele, poi l’officiante le accende. Il sacerdote sta davanti al luogo dove sono le candele, si inginocchia e prega con il capo.

Danza rituale


“Al termine dell’omelia, scrive il porporato, si può eseguire una danza rituale. È un leggero movimento del corpo e dei piedi che può essere eseguito in una o tre danze.”

Alcuni di questi elementi erano presenti nella messa papale del 15 febbraio 2016, celebrata da Francesco durante la sua visita alla diocesi di San Cristóbal de las Casas: Papa Francesco ha incensato l’altare con due mogli diaconali, entrambe con incensieri maya in mano, sotto lo sguardo dei loro mariti, due diaconi permanenti autoctoni. C’è stata anche una danza rituale.



Il lettore rimarrà forse sbalordito di fronte a questa disordinata inculturazione che introduce gli elementi di una cultura profondamente pagana e che non può che – quanto meno – mantenere una deleteria confusione, ma piuttosto tende, quale che sia l’intenzione degli autori, a un rito che non ha più nulla di cattolico e che è solo puro sincretismo.

1.continua

Fonte: fsspx.news




Procreatica e controllo delle nascite: paga Pantalone


Procreazione assistita e pillola anticoncezionale saranno gratis per il cittadino, ma pagate dallo Stato. Decisioni senza un razionale, puramente demagogiche, ma con un intento ideologico ben preciso: implementare la “cultura” del controllo delle nascite e affermare un modello di Sanità sempre più lontano da un’idea di Medicina della cura, e sempre più identificato con il soddisfacimento dei customers, dei clienti.



PMA E PILLOLA GRATIS

ATTUALITÀ

Paolo Gulisano, 24-04-2023

Negli ultimi giorni la biopolitica ha intrapreso con decisione una strada di decisioni importanti in materia di procreazione artificiale e di controllo delle nascite. Lo ha fatto con due interventi rispettivamente del Governo e dell’Aifa.

Nel primo caso, tutte quelle attività che concernono le pratiche mediche relative alla fecondazione assistita sono state inserite in un DPCM in materia sanitaria in attesa di approvazione da ben sei anni: si tratta del cosiddetto "Decreto Tariffe", contenente il nomenclatore tariffario legato ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), per il quale si è ora trovata l’intesa in Conferenza Stato-Regioni; un traguardo atteso dal 2017 e il cui mancato raggiungimento era stato più volte giustificato come una limitazione dovuta ad “altri importanti provvedimenti”.

Cosa sono i LEA? I Livelli Essenziali di Assistenza sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale (tasse). I LEA erano stati definiti per la prima volta nel 2001. Il Decreto ora approvato li aveva radicalmente rivisti, ed ora potranno entrare in vigore dopo l’approvazione dei giorni scorsi che rappresenta il risultato di un lavoro condiviso tra Stato, Regioni e Società scientifiche.

Il DPCM 12 gennaio definisce le attività, i servizi e le prestazioni garantite ai cittadini con le risorse pubbliche messe a disposizione del Servizio sanitario nazionale; descrive con maggiore dettaglio e precisione prestazioni e attività oggi già incluse nei livelli essenziali di assistenza; ridefinisce e aggiorna gli elenchi delle malattie rare e delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione dal ticket. Nel Decreto, tra le varie misure, troviamo tutte le prestazioni di procreazione medicalmente assistita (PMA) che saranno erogate a carico del Servizio sanitario nazionale (fino ad oggi erogate solo in regime di ricovero). Inoltre rivede profondamente l’elenco delle prestazioni di genetica e, per ogni singola prestazione, fa riferimento ad un elenco puntuale di patologie per le quali è necessaria l’indagine su un determinato numero di geni. Introduce poi la consulenza genetica, il cui scopo è quello di fornire informazioni riguardanti le malattie genetiche ed i test ad esse correlate ai pazienti che desiderano un supporto nella gestione delle proprie caratteristiche ereditarie.

Antonino Guglielmino, Past President della Siru, Società italiana della riproduzione umana, società scientifica che riunisce tutti gli operatori del settore della procreativa, ginecologi, andrologi, biologi, biotecnologi, medici dei consultori, ostetriche, infermieri, psicologi, genetisti, giuristi e bioeticisti, ha accolto con grande entusiasmo l’approvazione del decreto dei LEA che va ad inserire i trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita: “Un plauso al Ministro Orazio Schillaci che ha portato a termine un provvedimento atteso da oltre vent’anni da migliaia di coppie e che contribuirà a offrire prestazioni sanitarie più eque e omogenee in tutto il territorio italiano per la procreazione medicalmente assistita e anche in altri ambiti sanitari”.

La procreazione artificiale sarà soggetta a ticket, che rappresenta una compartecipazione del cittadino alla spesa, ma naturalmente la maggior parte dei costi sarà a carico del Servizio Sanitario. Ciò - secondo gli auspici della Società scientifica - dovrebbe portare ad una implementazione di tale pratica, che rappresenta un passo avanti verso un radicale ripensamento della procreazione. Non certo un modo per affrontare il calo demografico, o l’aumento della sterilità, che è un tema purtroppo poco affrontato in Sanità, e che può essere tranquillamente bypassato dalle tecniche di procreazione artificiale. Ora pure sovvenzionate dal denaro pubblico e a tariffa di ticket.

Ma i soldi dei contribuenti andranno anche a pagare un altro elevatissimo costo: quello della pillola anticoncenzionale gratis per tutti. Gratis per l’acquirente ma con un aggravio della spesa sanitaria calcolata su 140 milioni di euro. La decisione in questo caso è stata presa dall’Aifa, l’ente deputato all’approvazione dei farmaci che abbiamo imparato a conoscere per la questione vaccini. L’Aifa ha facoltà di intervenire anche sui prezzi dei farmaci, e così come ha stabilito la gratuità dei vaccini, una gratuità ovviamente sempre per l’utente ma con il costo reale coperto dalle casse pubbliche, allo stesso modo ora ha stabilito che la contraccezione orale, la pillola estroprogestinica, deve essere regalata a chi ne vuole fare uso.

Una decisione senza un razionale, puramente demagogica, ma con un intento ideologico ben preciso: implementare la “cultura” del controllo delle nascite. La presidente del Comitato prezzi e rimborsi dell'Agenzia italiana del farmaco, Scroccaro, in un’intervista ha dichiarato che in Italia c'è uno scarso ricorso alla contraccezione (sic!) e questo ora potrà cambiare. Un’affermazione in assoluto contrasto con la realtà, che vede l’Italia tra i Paesi europei con il più basso tasso di natalità. Si tratta quindi di implementare ulteriormente e con evidenti vantaggi commerciali determinati prodotti farmaceutici, a spese del contribuente, e a vantaggio di certe ditte selezionate da Aifa.

Scroccaro infatti ha dichiarato che l’ente ha scelto tra gli anticoncezionali sul mercato quelli che presentavano i prezzi più bassi. La stima di costo per lo Stato come detto è comunque attorno ai 140 milioni di euro annui, ma secondo la dirigente dell’Aifa si tratta di una decisione importante, perché – a suo dire - “consentirà di ampliare la platea di donne che oggi, magari, consideravano il costo di questi contraccettivi come troppo alto e per questo non ne facevano uso". Pertanto, alcune pillole saranno gratuite, in base al loro prezzo, e non alla loro sicurezza, e questo per un tipo di prodotto di cui sono ben noti da tempo gli effetti collaterali in particolare a livello vascolare. Ovviamente ciò non ne aveva messo in discussione né l’approvazione né il mantenimento in commercio.

Ora si aggiunge questa gratuità che costituisce anche un affronto per chi altri tipi di farmaci, magari anche salvavita, se li deve pagare. Se hai una polmonite gli antibiotici te li deve pagare, se vuoi evitare una gravidanza è tutto gratis. Se hai un anziano che non puoi assistere a casa devi metterlo in una RSA devi pagare a caro prezzo, se non vuoi un bambino la contraccezione te la paga lo Stato. E’ un modello di Sanità sempre più lontano da un’idea di Medicina della cura, e sempre più identificato con il soddisfacimento dei customers, dei clienti.