Dal presidente della Pontificia Accademia per la vita Vincenzo Paglia arriva dalle colonne del Riformista di Renzi un sì alla legge sul suicidio assistito. In un tripudio di eresie e appoggiandosi alle derive liberiste delle condizioni sociali attuali e del pluralismo assai diffuso, il vescovo contraddice apertamente il Magistero e i pronunciamenti della Cei arrivando persino a dire che la Chiesa non possiede la verità su questi temi.
Tommaso Scandroglio, 22-04-2023
“Mons. Paglia apre alla legge sul suicidio assistito”. Così potevamo leggere ieri in prima pagina su Il Riformista. Il quotidiano di cui Matteo Renzi è da poco direttore editoriale riporta il testo integrale dell’intervento di Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che ha tenuto in occasione del dibattito “L’ultimo viaggio (verso il fine vita)”, svoltosi all’interno del Festival del Giornalismo di Perugia.
Dopo aver dipinto uno scenario abbastanza realistico riguardo al tema del fine vita – la sofferenza del paziente e dei familiari, l’abbandono terapeutico, le derive del principio di autonomia, etc. – Mons. Paglia si astiene però dall’indicare soluzioni morali convincenti, a parte il solito invito generico ad accompagnare chi muore (ma anche i Radicali sono per l’accompagnamento del morente).
Sul piano giuridico invece Paglia ha le idee chiare: “In questo contesto non è da escludersi che nella nostra società sia praticabile una mediazione giuridica che consenta l’assistenza al suicidio nelle condizioni precisate dalla Sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale: la persona deve essere ‘tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli’. […] Personalmente non praticherei l’assistenza al suicidio, ma comprendo che una mediazione giuridica possa costituire il maggior bene comune concretamente possibile nelle condizioni in cui viviamo”.
Dunque Il Riformista ha davvero ragione: il Presidente della PAV sostiene il varo di una norma che legittimi il suicidio assistito, nel rispetto delle condizioni indicate dalla Consulta (qui e qui i nostri commenti critici a tale sentenza). Paglia, nel rispetto del principio “un colpo al cerchio e un colpo alla botte” e per tentare di salvare la faccia da cattolico, poi precisa: personalmente sono contrario all’aiuto al suicidio, ma una legge mi pare un punto di equilibrio in questa nostra società pluralista e democratica.
Peccato però che il suicidio è un assoluto morale, ossia un’azione intrinsecamente malvagia che mai può essere scelta, né per un fine buono né a motivo di circostanze particolari (ad esempio nel caso di una persona che soffre molto). Ne consegue logicamente che aiutare qualcuno a togliersi la vita è altrettanto un male. Terzo passaggio: da ciò discende che una norma che legittimi l’aiuto al suicidio è essa stessa una norma intrinsecamente malvagia e mai si può dare il proprio appoggio ad una simile norma.
Paglia afferma che questa norma sarebbe eticamente legittimata dal fatto che nelle condizioni sociali in cui viviamo rappresenterebbe il maggior bene possibile. Due note a tal proposito. La prima: appoggiare una simile norma è azione malvagia. E dove c’è il male non si può parlare di maggior bene possibile. Se consiglio a Tizio di rubare piuttosto che uccidere, non sto consigliando il maggior bene possibile a Tizio, ma un male minore.
Seconda nota: il suicidio, anche nella sua forma collaborativa, mai può essere legittimato, dunque mai può essere oggetto di una norma che lo permetta. Quel “mai”, come ricordato prima, si riferisce anche alle condizioni ed è stato giustamente ribadito anche recentemente dalla Cei nel Messaggio per la 45esima Giornata nazionale per la Vita dello scorso febbraio che affermava, giustamente, che “la morte non è mai una soluzione”. Un’azione intrinsecamente illecita rimane tale anche nelle condizioni più estreme. Dunque, non serve a nulla che Mons. Paglia si appelli alle condizioni sociali attuali e al pluralismo assai diffuso. Anche in questo contesto non si può essere a favore di una legge ingiusta.
Queste riflessioni, ovviamente, non sono farina del nostro sacco, ma del sacco della Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II, nell’Evangelium vitae scrisse che la pubblica autorità “non può mai accettare […] di legittimare, come diritto dei singoli […] l'offesa inferta ad altre persone attraverso il misconoscimento di un loro diritto così fondamentale come quello alla vita. […] Così le leggi che, con l'aborto e l'eutanasia, legittimano la soppressione diretta di esseri umani innocenti sono in totale e insanabile contraddizione con il diritto inviolabile alla vita proprio di tutti gli uomini. […] Le leggi che autorizzano e favoriscono l'aborto e l'eutanasia si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica. […] L'aborto e l'eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza. […] Nel caso quindi di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, ‘né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto’” (nn. 71-73).
Le parole di Paglia sono antitetiche a quelle del Magistero.
L’arcivescovo lo sa bene e infatti nell’introduzione del suo intervento cerca di pararsi le spalle inscenando un tripudio di eresie. “Anzitutto - scrive Paglia - vorrei precisare che la Chiesa cattolica non è che abbia un pacchetto di verità prêt-à-porter, preconfezionate”. E il Credo? E i Dieci Comandamenti? E i pronunciamenti dogmatici? E quindi, in sintesi, che fine ha fatto il depositum fidei? Il Presidente della Pav poi spara sempre più in alto e con calibri sempre maggiori. Infatti, esclude che i cattolici possiedano “una verità data a priori”. Certo che invece la Chiesa custodisce una verità data a priori, ossia che viene prima della Chiesa stessa e dei credenti, perché la verità è Dio che si è comunicato a noi. La verità ci precede, non siamo noi a precederla.
Tutto questo per dire che “il pensiero teologico si evolve nella storia” e quindi se l’eutanasia ieri era vietata, domani, chissà, magari non lo sarà più. A margine: l’unica evoluzione permessa nel pensiero teologico è l’approfondimento delle verità già rivelate, non la negazione di verità già riconosciute dalla Chiesa.
Invece Paglia pensa esattamente l’opposto e infatti tira fuori dal cilindro il tema della pena di morte in merito alla quale il Papa ha modificato il Catechismo e “oggi non la consideriamo più ammissibile, in nessun caso”. A suo tempo avevamo già commentato l’intervento del Pontefice, evidenziando che i principi che rendono lecita la pena di morte si riferiscono al fine difensivo della collettività, alla perdita della dignità morale del reo, alla triplice funzione della pena. Qui vogliamo aggiungere che Papa Francesco ha dichiarato - se non de iure, ma sicuramente de facto - che la pena di morte è atto intrinsecamente malvagio, ossia, come dice Paglia, “non più ammissibile, in nessun caso”. Ciò non è predicabile perché la liceità della pena di morte è sempre stata confermata in modo ininterrotto dalla Chiesa sin dalle origini. Come potrebbe essere possibile che fior di pontefici e santi abbiamo insegnato tutti e con costanza un errore, scambiando un bene per un male?
Infine, aggiungiamo una nota a piè di pagina: contraddittorio che ci si appelli al divieto assoluto di uccidere qualcuno per mano dello Stato per appoggiare una norma che permette di uccidere qualcuno con l’avallo dello Stato. La differenza saliente per Paglia sta nel fatto che nel primo caso la persona non è consenziente, nel secondo caso sì. Tipico ragionamento liberista.
Ma a Mons. Paglia molto probabilmente tutte queste riflessioni appaiono sottigliezze moraliste astratte. Il messaggio che ha voluto far passare è invece un altro. Nessun principio morale è irriformabile. Nessuna verità si senta più al sicuro.
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