mercoledì 30 novembre 2016

Cardinale Bagnasco: “Il sacerdote non è un operatore sociale ma è l’uomo di Dio”





Cardinale Bagnasco: “L’Occidente sta perdendo la dimensione mistica del Vangelo
28 novembre 2016


Omelia del Cardinale A. Bagnasco - Duomo di Genova, domenica 27.11.2016
in occasione delle
ordinazioni sacerdotali.


“Se non si conosce Dio, non si può neppure conoscere Gesù. Lo si riduce a un saggio, a un politico, a un martire, un visionario, ma non si riconosce il redentore del mondo. Allora la Chiesa non è più mistero e sacramento ma diventa una realtà sociologica opera di uomini soggetta alle categorie del mondo: il numero, il potere il consenso, le organizzazioni”.

Ad affermarlo il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, nell’omelia pronunciata ieri pomeriggio, nella cattedrale di San Lorenzo, in occasione della Messa per le ordinazioni presbiterali (due i sacerdoti ordinati).

“Ma – ha aggiunto il card. Bagnasco – la Chiesa non è umanamente attraente perché Dio vuole convertire, non sedurre. Divenire cristiani non è una adesione ma una conversione perché Dio, prima di essere il nostro bene è la nostra origine, la possibilità e la consistenza del nostro essere. Solo dopo è anche il destino della nostra anima”. E questa, ha aggiunto “è la questione delle questioni” perché riguarda “la salvezza eterna dell’anima”. Ma “quando si perde il senso dell’eterno, allora l’anima si identifica con le cose che incontra e consuma”.

“Il sole di Satana che vuole sedurre le anime vuole far credere che il proprio del cristiano è l’attività ma questo svuota la memoria di Dio e della sua grazia. L’uomo si trova da solo con sé stesso solo anche se dentro ad una collettività che però è altro della comunità dei discepoli”. Di qui l’invito all’adorazione perché “adorare non è un fare, è un non fare, per lasciarsi fare da Cristo e questa è la dimensione mistica del Vangelo che l’Occidente sta perdendo e per questo, più si danna nel fare, più sprofonda nell’angoscia della sua impotenza di senso”.

Il sacerdote non è un operatore sociale ma è l’uomo di Dio”.

“Oggi – ha detto ai due ordinandi – siete costituiti maestri di fede ma per essere tali dovrete essere uomini di fede, dovrete ragionare non secondo le categorie del mondo ma secondo quelle di Cristo, quelle della Pasqua di morte e resurrezione, della croce gloriosa. Separare queste categorie significa non capire più nulla dell’esistenza umana della storia dell’universo.

La vita pastorale non potrà mai essere preghiera se non vi sono nella vita del prete spazi personali di preghiera dove il vostro cuore umano parla al cuore divino.

Il mondo sta male perché perde il contatto con la realtà sempre di più. Crede che tutto si riduca a ciò che vede e tocca a ciò che può misurare mentre la realtà è molto più grande. Ciò che è invisibile è più concreto e importante di tutto ciò che vediamo. 

Questa miopia spirituale può colpire anche noi sacerdoti e pastori. Nessuno può considerarsi esente da questa miopia che può progredire con l’età. Per questo è necessaria l’adorazione che marca la differenza tra Dio e l’uomo, riconosce che solo Dio è Dio e non noi e così tornano al loro posto i giudizi e le scelte”.














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martedì 29 novembre 2016

Quando Ratzinger predisse il futuro della Chiesa. In una trasmissione del 1969 alla radio tedesca





  
Non fingeva di predire il futuro. Era fin troppo saggio per farlo. Di fatto, temperò le sue considerazioni iniziali dicendo:

“Dobbiamo quindi essere cauti nei nostri pronostici. Quello che ha detto Sant’Agostino è ancora vero: l’uomo è un abisso; nessuno può prevedere quello che uscirà da queste profondità. E chiunque creda che la Chiesa sia non solo determinata dall’abisso che è l’uomo, ma raggiunga l’abisso più grande, infinito, che è Dio, sarà il primo a esitare con le sue predizioni, perché questo ingenuo desiderio di sapere con certezza potrebbe essere solo l’annuncio della sua inettitudine storica”.

Ma quest’era, traboccante di pericolo esistenziale, cinismo politico e caparbietà morale, anelava a una risposta. La Chiesa cattolica, faro morale nelle acque turbolente del suo tempo, aveva sperimentato di recente alcuni cambiamenti sia tra i propri aderenti e che tra i dissenzienti, che si chiedevano cosa sarebbe diventata la Chiesa in futuro.

E così, in una trasmissione della radio tedesca del 1969, padre Joseph Ratzinger offrì la sua risposta accuratamente pensata. Ecco le sue considerazioni conclusive:

Il futuro della Chiesa può risiedere e risiederà in coloro le cui radici sono profonde e che vivono nella pienezza pura della loro fede. Non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente o in quelli che si limitano a criticare gli altri e assumono di essere metri di giudizio infallibili, né in coloro che prendono la strada più semplice, che eludono la passione della fede, dichiarandola falsa e obsoleta, tirannica e legalistica, tutto ciò che esige qualcosa dagli uomini, li ferisce e li obbliga a sacrificarsi. Per dirla in modo più positivo: il futuro della Chiesa, ancora una volta come sempre, verrà rimodellato dai santi, ovvero dagli uomini le cui menti sono più profonde degli slogan del giorno, che vedono più di quello che vedono gli altri, perché la loro vita abbraccia una realtà più ampia. La generosità, che rende gli uomini liberi, si raggiunge solo attraverso la pazienza di piccoli atti quotidiani di negazione di sé. Con questa passione quotidiana, che rivela all’uomo in quanti modi è schiavizzato dal suo ego, da questa passione quotidiana e solo da questa, gli occhi umani vengono aperti lentamente. L’uomo vede solo nella misura di quello che ha vissuto e sofferto. Se oggi non siamo più molto capaci di diventare consapevoli di Dio, è perché troviamo molto semplice evadere, sfuggire alle profondità del nostro essere attraverso il senso narcotico di questo o quel piacere. In questo modo, le nostre profondità interiori ci rimangono precluse. Se è vero che un uomo può vedere solo col cuore, allora quanto siamo ciechi!

In che modo tutto questo influisce sul problema che stiamo esaminando? Significa che tutto il parlare di coloro che profetizzano una Chiesa senza Dio e senza fede sono solo chiacchiere vane. Non abbiamo bisogno di una Chiesa che celebra il culto dell’azione nelle preghiere politiche. È del tutto superfluo. E quindi si distruggerà. Ciò che rimarrà sarà la Chiesa di Gesù Cristo, la Chiesa che crede nel Dio che è diventato uomo e ci promette la vita dopo la morte. Il tipo di sacerdote che non è altro che un operatore sociale può essere sostituito dallo psicoterapeuta e da altri specialisti, ma il sacerdote che non è uno specialista, che non sta sugli spalti a guardare il gioco, a dare consigli ufficiali, ma si mette in nome di Dio a disposizione dell’uomo, che lo accompagna nei suoi dolori, nelle sue gioie, nelle sue speranze e nelle sue paure, un sacerdote di questo tipo sarà sicuramente necessario in futuro.

Facciamo un altro passo. Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. In contrasto con un periodo precedente, verrà vista molto di più come una società volontaria, in cui si entra solo per libera decisione. In quanto piccola società, avanzerà richieste molto superiori su iniziativa dei suoi membri individuali. Scoprirà senza dubbio nuove forme di ministero e ordinerà al sacerdozio cristiani che svolgono qualche professione. In molte congregazioni più piccole o in gruppi sociali autosufficienti, l’assistenza pastorale verrà normalmente fornita in questo modo. Accanto a questo, il ministero sacerdotale a tempo pieno sarà indispensabile come in precedenza. Ma nonostante tutti questi cambiamenti che si possono presumere, la Chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale, ciò che è sempre stato il suo centro: la fede nel Dio Uno e Trino, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, nell’assistenza dello Spirito, che durerà fino alla fine. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la sinistra e ora con la destra. Essa farà questo con fatica. Il processo infatti della cristallizzazione e della chiarificazione la renderà povera, la farà diventare una Chiesa dei piccoli, il processo sarà lungo e faticoso, perché dovranno essere eliminate la ristrettezza di vedute settaria e la caparbietà pomposa. Si potrebbe predire che tutto questo richiederà tempo.
Il processo sarà lungo e faticoso, come lo è stata la strada dal falso progressismo alla vigilia della Rivoluzione Francese – quando un vescovo poteva essere ritenuto furbo se si prendeva gioco dei dogmi e insinuava addirittura che l’esistenza di Dio non fosse affatto certa – al rinnovamento del XIX secolo. Ma dopo la prova di queste divisioni uscirà da una Chiesa interiorizzata e semplificata una grande forza. Gli uomini che vivranno in un mondo totalmente programmato vivranno una solitudine indicibile. Se avranno perduto completamente il senso di Dio, sentiranno tutto l’orrore della loro povertà. Ed essi scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto.

A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, che è già morto, ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte”.

La Chiesa cattolica sopravvivrà nonostante uomini e donne, non necessariamente a causa loro, e comunque abbiamo ancora la nostra parte da fare. Dobbiamo pregare e coltivare la generosità, la negazione di sé, la fedeltà, la devozione sacramentale e una vita centrata in Cristo.

Nel 2009 Ignatius Press ha diffuso il discorso di padre Joseph Ratzinger in un libro intitolato Faith and the Future.



*Tod Worner è marito, padre, convertito al cattolicesimo e praticante di Medicina interna. Ha un blog su A Catholic Thinker.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]



http://it.aleteia.org





 

La clausura secondo San Benedetto








“Il monastero, poi, dev’essere possibilmente organizzato in modo che al suo interno si trovi tutto l’occorrente, ossia l’acqua, il mulino, l’orto e i vari laboratori, per togliere ai monaci ogni necessità di girellare fuori, il che non giova affatto alle loro anime” (RB LXVI,6-7).

Detto in altri termini, un monaco fuori della sua clausura è come un pesce fuor d’acqua!
Per via negativa, il grande beneficio della clausura è certamente di proteggere il monaco dal mondo e dal suo spirito. San Benedetto è assai vigilante ed esigente su questo punto. Perciò chiede ai suoi monaci di “rendersi estraneo alla mentalità del mondo” (RB IV,20) e che “nessuno si permetta di riferire ad altri quello che ha visto o udito fuori del monastero, perché questo sarebbe veramente rovinoso” (RB LXVII,5).

Per via positiva, la vita in clausura apporta soprattutto un quadro in cui tutto è organizzato in vista di facilitare l’ascolto e il servizio di Dio, l’intimità con lui.

Comprendete quindi che per noi la clausura è ben più di un muro. Essa è il segno di una ferma volontà di mettere qualcosa fra il mondo e noi, al fine di favorire la nostra unione con Dio.

Ma allora, cari amici, se questo è il significato profondo della nostra clausura, non ritenete che un certo spirito di clausura è indispensabile per la vostra propria vita di unione al Signore? Da qui la seguente domanda, per aiutarvi: di fronte al mondo, alle sue sollecitazioni permanenti, al suo ritmo, alla dittatura del brusio… come s’incarna concretamente nella vostra vita quotidiana questa volontà di mettere qualcosa fra il mondo e voi, a beneficio della vostra unione con Dio?

La risposta franca a questa domanda vi permetterà di vedere alquanto chiaramente quale posto gli lasciate effettivamente!
La prossima volta, Q come quaresima…


[Fr. Ambroise O.S.B., “Saint-Benoît pour tous...”, La lettre aux amis, del Monastero Sainte-Marie de la Garde, n. 24, novembre 2016, p. 4, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]



http://romualdica.blogspot.it/

domenica 27 novembre 2016

Lettera di Enrico Medi ai sacerdoti

 




di Enrico Medi (1911-1974), scienziato, Servo di Dio.

                

Sacerdoti,

 io non sono un Prete e non sono mai stato degno neppure di fare il chierichetto. Sappiate che mi sono sempre chiesto come fate voi a vivere dopo aver detto Messa. Ogni giorno avete DIO tra le vostre mani. Come diceva il gran re San Luigi di Francia, avete «nelle vostre mani il re dei Cieli, ai vostri piedi il re della terra». Ogni giorno avete una potenza che Michele Arcangelo non ha. Con le vostre parole trasformate la sostanza di un pezzo di pane in quella del Corpo di Gesù Cristo in persona. VOI OBBLIGATE DIO A SCENDERE IN TERRA! SIETE GRANDI! SIETE CREATURE IMMENSE! LE PIU' POTENTI CHE POSSANO ESISTERE. Chi dice che avete energie angeliche, in un certo senso, si può dire che sbaglia per difetto.

Sacerdoti, vi scongiuriamo: SIATE SANTI! Se siete santi voi, noi siamo salvi. Se non siete santi voi, noi siamo perduti!
Sacerdoti, noi vi vogliamo ai piedi dell'Altare. A costruire opere, fabbriche, giornali, lavoro, a correre qua e là in Lambretta o in Millecento, siamo capaci noi. Ma a rendere Cristo presente ed a rimettere i peccati, siete capaci SOLO VOI!

Siate accanto all'Altare. Andate a tenere compagnia al SIGNORE. La vostra giornata sia: preghiera e Tabernacolo, Tabernacolo e preghiera. Di questo abbiamo bisogno. Nostro Signore è solo, è abbandonato. Le chiese si riempiono [si fa per dire] soltanto per la Messa. Ma Gesù sta là 24 su 24 e chiama le anime. A tutti, anche a noi, ma in particolare a te, sacerdote, dice di continuo: «Tienimi compagnia. Dimmi una parola. Dammi un sorriso. Ricordati che t'amo. Dimmi soltanto "Amore mio, ti voglio bene": ti coprirò di ogni consolazione e di ogni conforto».

Sacerdoti, parlateci di DIO! Come ne parlavano Gesù, Paolo Apostolo, Benedetto da Norcia, Francesco Saverio, Santa Teresina. IL MONDO HA BISOGNO DI DIO! DIO, DIO, DIO Vogliamo. E non se ne parla. Si ha paura a parlare di DIO. Si parla di problemi sociali, del pane. Ve lo dice uno scienziato: nel mondo C'E' PANE! CI SONO RISORSE CHE, se ben distribuite, possono garantire una vita, forse modesta, ma CERTAMENTE PIU' CHE DIGNITOSA A 100 MILIARDI DI UOMINI! L'UOMO HA FAME DI DIO! E si uccide per disperazione. Dobbiamo credere, ecco il compito delle Missioni: donare DIO al mondo!

Suore, scusate se vi parlo così: tornate ad abituarvi al silenzio!
Bello tutto, la preghiera collettiva è potentissima davanti al Signore. Ricordatevi, però, che si può fare una preghiera insieme anche lontani 100.000 km. La vicinanza è nel cuore di DIO, non nel contatto dei gomiti. Anzi, anche a contatto di gomiti, perché noi non disprezziamo le realtà concrete, visibili e materiali. Ma attenti a non esagerare. Chi volesse dire solitudine soltanto sbaglia, ma chi dice solo appiccicamento di cuore sbaglia. Sbagliano l'uno e l'altro.

Enrico Medi







 http://muniatintrantes.blogspot.it



sabato 26 novembre 2016

Di cosa aveva paura Santa Bernardette?

 




Una volta chiesero a Santa Bernardette, la veggente di Lourdes:

"Di che cosa hai paura? Del futuro, della guerra, della Russia?".

La santa rispose, con la sua consueta, disarmante semplicità che si rifletteva dai suoi occhi innocenti che avevano visto la santa Vergine 18 volte:

"Io non temo nulla di tutto questo; io ho paura solo dei cattivi cattolici!".



giovedì 24 novembre 2016

All'anagrafe austriaca si può dare il nome ai bambini abortiti, con un certificato di nascita/morte

 
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24 novembre 2016

Il governo austriaco ha preso una decisione che riconosce dignità ai bambini non nati, anche molto piccoli, vittime dell’aborto (procurato o spontaneo, non importa).
 
Con l’appoggio del partito cristiano–democratico e del partito socialista da oggi è possibile registrare ufficialmente e legalmente i bambini morti prima della nascita. Anche quelli di peso inferiore ai 500 grammi.
 
Quindi, i genitori che lo desiderano potranno dargli un nome all’anagrafe e ottenere un certificato di nascita e morte contestuale.
 
Chi si intende di sindrome post-abortiva, che coinvolge sempre le madri e i padri che perdono un bambino per l’aborto, sa che in caso di aborto spontaneo elaborare il lutto è molto più facile che nel caso di aborto volontario. Ma comunque è uno dei primi atti necessari per superare il trauma quello di dare un nome al bambino vittima dell’aborto.
 
Questo fanno i genitori interessati, a prescindere dai documenti legali. Ora in Austria la cosa potrà avvenire ufficialmente. E questa ufficialità ha una rilevanza che trascende l’interesse delle singole madri e dei singoli padri coinvolti – che appunto, se vogliono, tra di loro, possono farlo comunque.
 
Proprio perché ufficiale è un importante riconoscimento della dignità dei bambini non nati. Nel grembo materno si forma una persona: dall’istante in cui l’ovulo è fecondato c’è un individuo unico e irripetibile, appartenete alla specie homo sapiens. Una persona, per quanto piccola, che ha la stessa dignità dell’adulto e dell’anziano, in quanto persona.
 
Il fatto che l’anagrafe di uno Stato gli riconosca il diritto a un nome, legalmente, ci induce quindi a riflettere che anche in pochi grammi di cellule – che l’aborto elimina come si trattasse di immondizia – c’è tutto il mistero di una persona umana.
 
 
 
 
 
 
 

mercoledì 23 novembre 2016

Aborto, quell'equivoco su scomunica e perdono

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di Riccardo Cascioli (23-11-2016)
 
È un’esperienza straniante leggere Misericordia et Misera e poi leggere gli articoli o ascoltare i servizi radio tv che ne parlano e la spiegano all’opinione pubblica. Si fa davvero fatica a capire come si possa travisare così il contenuto della Lettera del Papa, al punto che il messaggio che arriva alla gente è così radicalmente diverso dal testo che chiunque può leggere (cosa però che faranno in pochissimi).
 
Bisogna però riconoscere che ormai giornali e opinione pubblica si aspettano sempre dal Papa la prossima spallata all’edificio dottrinale della Chiesa; è un pregiudizio che inficia all’origine qualsiasi cronaca o analisi. Chi in Vaticano si occupa di comunicazione sarebbe il caso che si facesse qualche domanda al proposito: se questo effetto non è voluto, come mai accade? Prendersela con l’ignoranza o la malafede dei giornalisti non è più una scusa, è evidente che c’è dell’altro. Non a caso ieri un giornale chiedeva al cardinale Walter Kasper, dopo aver sistemato l’aborto quale sarebbe stata la prossima spallata del Papa e lui ovviamente ha risposto con l’agenda dei prossimi mesi.
 
Resta il fatto che sulla Misericordia et misera si è andati oltre ogni misura, e non solo sull’aborto. Bisogna ad esempio riconoscere a papa Francesco di avere spiegato che non è lui ad avere scoperto che Dio è misericordia. Ha infatti citato diversi passi della Liturgia che dimostrano come la Chiesa da sempre e continuamente riconosce e chiede la Misericordia di Dio. Ha anche ricordato come a questo argomento Giovanni Paolo II abbia dedicato la sua seconda enciclica (Dives in Misericordia, in verità piuttosto dimenticata in questo anno giubilare), e come lo stesso Giovanni Paolo II abbia istituito la Festa della Divina Misericordia e abbia canonizzato suor Faustina Kowalska.
 
Sicuramente papa Francesco ha fatto di questo il centro della sua missione pastorale, ma tanto fracasso come se tre anni fa fosse iniziata una nuova Chiesa dopo secoli di bastonate e porte chiuse è piuttosto ridicolo oltre che lontano dal vero. C’è chi gioca su questo equivoco perché ne approfitta per liquidare la Chiesa e chi cade nelle esagerazioni tipiche dei “leccacalze” (così il Papa nell’ultima intervista a Tv 2000 ha definito i suoi adulatori). E quest’ultima categoria, tutta interna alla Chiesa, è anche quella che sta contribuendo al travisamento della Lettera apostolica.
 
Prendiamo ad esempio il titolo di apertura di ieri di Avvenire: “Misericordia sempre”. Come a dire che fino a Francesco la misericordia era qualche volta. Oppure che misericordia vuol dire assolvere sempre e senza condizioni. Ma tutte e due sono menzogne e sicuramente non corrispondono a quanto leggiamo nella Lettera del Papa: la necessità del pentimento e il proposito di non commettere ancora l’«orrendo peccato» sono ben presenti. C’è poi una fantasiosa Lucetta Scaraffia, che è coordinatrice del mensile Chiesa donne mondo allegato a L’Osservatore Romano, che in una intervista rilasciata al Corriere della Sera, afferma addirittura che con questa Lettera «la donna smette di essere considerata la “grande peccatrice” secondo una certa tradizione». Chissà se la Scaraffia, a proposito di donne e aborto ha mai letto l’Evangelium Vitae (senza considerare che comunque se l’aborto resta «un grave peccato» qualcuno che pecca ci dovrà pur essere).
 
C’è però in effetti una questione che rimane sullo sfondo ma che è il punto centrale, un equivoco che ritorna e che spinge a certe chiavi di lettura: il valore da dare ai limiti che la Chiesa ha sempre posto. In questi tempi di retorica sui muri da abbattere qualsiasi limite, qualsiasi confine – anche quello che separa il bene dal male, il pentimento dall’ostinazione e dalla superbia – è visto come un intollerabile ostacolo all’azione di Dio. È la stessa questione attorno a cui gira il discorso della comunione ai divorziati risposati.
 
Nel caso specifico dell’aborto, la scomunica (che peraltro resta) e il rinvio al vescovo o a un suo delegato, sono percepiti come un muro nei confronti di chi vuole riconciliarsi.
 
È ad esempio la spiegazione che dà il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Nunzio Galantino (nella foto), nel suo commento di ieri su Il Sole 24 Ore. Spiegando che neanche chi si pente di un peccato grave come l’aborto può rimanere «senza l’abbraccio del suo perdono», così prosegue: «Se si comprende che non dev’esserci ostacolo alla possibilità di riconciliazione, allora non si fatica ad accogliere la bontà della concessione ora estesa nel tempo a tutti i sacerdoti, perché assolvano quanti hanno posto fine a una vita innocente».
 
Insomma, scomunica e rinvio a penitenzieri specifici, per monsignor Galantino sono ostacoli alla possibilità di riconciliazione. È un’affermazione grave, perché contraddice ciò che la Chiesa ha sempre insegnato. Leggiamo l’Evangelium Vitae no. 62:
 
«La disciplina canonica della Chiesa, fin dai primi secoli, ha colpito con sanzioni penali coloro che si macchiavano della colpa dell’aborto e tale prassi, con pene più o meno gravi, è stata confermata nei vari periodi storici. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 comminava per l’aborto la pena della scomunica. Anche la rinnovata legislazione canonica si pone in questa linea quando sancisce che “chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae”, cioè automatica. La scomunica colpisce tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena, inclusi anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato: con tale reiterata sanzione, la Chiesa addita questo delitto come uno dei più gravi e pericolosi, spingendo così chi lo commette a ritrovare sollecitamente la strada della conversione. Nella Chiesa, infatti, la pena della scomunica è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un’adeguata conversione e penitenza».
 
La scomunica dunque non solo non è un ostacolo alla riconciliazione ma addirittura è la strada più diretta perché questa avvenga e sia piena. E stessa funzione aveva il rinvio al vescovo o a suoi delegati, non era un iter burocratico come qualche altro esegeta ha voluto dire ieri. Peraltro lo stesso Giovanni Paolo II aveva già provveduto a una maggiore disponibilità di sacerdoti per confessare questo peccato, ma mantenendo quella norma che non è affatto un muro, un ostacolo. Tutt’altro. Ciò che a monsignor Galantino evidentemente sfugge è che un peccatore cosciente del proprio peccato e seriamente pentito non desidera mettersi a posto la coscienza in qualche modo e più in fretta possibile, ma desidera anzitutto la grazia di una vera conversione che si traduce tra l’altro nella disponibilità a un cammino penitenziale adeguato.
 
Si può comprendere quindi il timore di chi ritiene – tra gli altri il presidente del Movimento per la Vita Gian Luigi Gigli – che questa decisione del Papa possa tramutarsi in una banalizzazione del peccato di aborto, soprattutto in un contesto sociale e politico che lo sta tramutando in un diritto umano. In discussione non è tanto l’intenzione del Papa quanto l’ignoranza, la superficialità, la negligenza di tanti preti – e come abbiamo visto, vescovi – che già oggi trattano in modo inadeguato chi si reca in confessionale. E certo, le reazioni di questi giorni non aiuteranno ad accogliere correttamente quanto il Papa indica nella Misericordia et Misera.
 
 
 
(fonte: lanuovabq.it)
 
 
 
 
 

martedì 22 novembre 2016

PADRE MANELLI: ARCHIVIATE LE ACCUSE CONTRO IL FONDATORE DEI FRANCESCANI DELl’IMMACOLATA

 



Marco Tosatti (21-11-2016)
 
Archiviate le accuse contro padre Stefano Manelli, il fondatoredei Frati Francescani dell’Immacolata. Dopo circa un anno di indagini, il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Avellino, Sost. Dott. A.
Del Bene, ha chiesto l’archiviazione del procedimento nei confronti del religioso, il cui ordine é ancora commissariato, senza che sia stata data dopo anni, una motivazione valida da parte della Congregazione per i religiosi.
 
Padre Stefano Manelli, nel recente passato era stato oggetto di una campagna di stampa particolarmente virulenta, e che sembrava in realtà mossa e ispirata da qualcuno all’interno del suo ordine religioso. Accuse a effetto, dichiarazioni scandalistiche di ex suore, perfino il sospetto di un assassinio; la saga dei Francescani dell’Immacolata non si era fatta mancare nulla, e c’era stato nei mass media chi aveva seguito forse con troppo entusiasmo e senza grande spirito critico la marea interessata delle accuse.
 
Adesso che la magistratura, con la richiesta di archiviazione, fa giustizia della campagna che potrebbe essere giudicata diffamatoria, emerge che il fondatore dell’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata, è stato ingiustamente accusato di aver leso l’integrità fisica e morale delle suore del convento di Frigento compiendo atti di  violenza sessuale e di maltrattamenti nei confronti delle stesse.
 
Le persone a lui vicine commentano che “L’esito delle indagini ha fatto chiarezza sulle  “ipotesi di accusa” restituendo  giustizia e dignità a Padre Stefano Mannelli da tempo oggetto di calunniosi e diffamatori attacchi amplificati dagli organi di stampa”.
 
E ora che la magistratura si è espressa, che sembra che padre Manelli non abbia stuprato, maltrattato e ucciso nessuno, torna la domanda, da porre alla Congregazione per i religiosi, al suo prefetto, e al suo segretario: che cosa ha fatto padre Manelli; e che cosa hanno fatto i Francescani dell’mmacolata per essere trattati con tanta durezza?
 
La cronaca, nella sua ironia, ha voluto che la notizia dell’archiviazione giungesse proprio alla fine dell’anno della Misericordia…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
http://www.marcotosatti.com/
 
 
 

lunedì 21 novembre 2016

Tolentino: richiesta di aiuto per la ricostruzione dopo il terremoto



 
Tolentino - Chiesa del Sacro Cuore

 

 
Le violenti scosse di terremoto del 26 e del 30 ottobre scorso hanno reso inagibile la Chiesa del Sacro Cuore e San Benedetto a Tolentino di proprietà dell’omonima Confraternita fondata nel 1805 dal Vescovo San Vincenzo Maria Strambi.

In quella Chiesa, vincolata dal Ministero, viene regolarmente celebrata la Santa Messa nel venerabile rito antico ( Summorum Pontificum) e non usufruisce di alcuna sovvenzione.

Dopo il sisma del 24 agosto scorso, la Confraternita ha ospitato , come dolce dovere, le celebrazioni di due comunità parrocchiali e l’Adorazione quotidiana del Santissimo Sacramento.

Dal 1805  i Confratelli “sacconi”  hanno sempre donato tutto quel che avevano avendo speso ogni nostra  risorsa economica per la totale ristrutturazione della chiesa soprattutto dopo il terremoto del 1997 riaperta al culto nel 2006 dal Cardinale Francie Arinze, allora Prefetto della Congregazione per il Culto Divino.

Ora abbiamo compreso che da soli non ce la possiamo fare.

Questo nuovo, terribile terremoto non ha intaccato però minimamente la nostra volontà di riaprire presto la Chiesa al Culto Divino  ed anzi le scosse hanno fatto penetrare nei nostri cuori quel seme che ci fu consegnato dal Santo Vescovo Fondatore al momento della repressione napoleonica : confidare sempre nella protezione del Sacro Cuore di Gesù , della Madonna Santissima e dei Santi le cui Reliquie sono venerate e gelosamente custodite nella nostra chiesa.

Per questo motivo siamo costretti nostro malgrado a chiedere urgentemente aiuto ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che con noi condividono l’amore e la dedizione per la Santa Liturgia antica.

I confratelli “sacconi”, che sono abituati ad ignorare il linguaggio del mondo e le sue seduzioni, potranno sdebitarsi con chi ci aiuterà facendo applicare le celebrazioni della S.Messa “pro Benefactoribus .

Grazie al Vostro aiuto e la Vostra preghiera è nostra intenzione iniziare subito i lavori di restauro e messa in sicurezza avendo a mente soprattutto le cerimonie della Settimana Santa affidate alla Confraternita e al gruppo liturgico “Summorum Pontificum” .

La Città di Tolentino, particolarmente piagata, e tutte le comunità liturgiche “pro missa antiqua” Ve ne saranno grati.

“Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in Voi” .


Il Priore
Andrea di Maria Santissima della Stella

 

Tolentino, 15 novembre 2016, festa di Sant’Alberto Magno, Dottore della Chiesa; 15° giorno dopo il rovinoso terremoto.

 

Per informazioni scrivere : confr.scuore-sacconi@email.it

Oppure telefonare al priore 338 1075014 (dalle ore  15:00)

 

 

 

 

 

 

venerdì 18 novembre 2016

Quei monaci “combattenti spirituali” tra le scosse di terremoto



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Padre Nivakoff, vice-priore dei benedettini di Norcia, spiega che i monaci sono rimasti in paese malgrado il sisma e indica l’unica via di salvezza: la fede in Gesù Cristo

 

Da ieri pomeriggio dei pesanti teli di plastica proteggono dalle intemperie i frantumi della Basilica di San Benedetto, a Norcia, crollata a seguito del terremoto del 30 ottobre. Il rivestimento è stato ultimato dai vigili del fuoco sotto gli sguardi di alcuni monaci benedettini.
La loro presenza in città è silenziosa ma significativa. Radicati sul territorio in conformità con la Regola del loro fondatore, i monaci hanno prestato aiuto materiale e conforto spirituale alla popolazione di Norcia fin dal sisma del 24 agosto e dopo le ultime violente scosse.
Non più nel monastero danneggiato bensì in casette di legno più sicure, continuano a raccogliersi per le preghiere quotidiane e a celebrare la Messa nella forma straordinaria del Rito Romano, ossia in latino. La solennità e la ritualità dei loro gesti è l’immagine del baluardo di fede, speranza e carità che essi, veri e propri combattenti spirituali, rappresentano in un contesto segnato negativamente dal flagello naturale. ZENIT ne ha parlato con il vice-priore, lo statunitense padre Benedetto Nivakoff.

***

Padre, qual è la situazione in queste ultime ore?
Qui a Norcia inizia a far freddo e il clima è molto umido. Le scosse continuano, alcune più forti ed altre meno, ne sentiamo quasi una ogni ora.

Come sta reagendo la popolazione?
È piuttosto scoraggiata. La gran parte dei cittadini di Norcia è stata evacuata, con un’azione forzata da parte delle autorità, verso la zona del Lago Trasimeno. Chi è rimasto è chi non abita in centro storico. La loro maggiore preoccupazione è quella di far tornare Norcia a rivivere come prima del terremoto.

Voi dove vi trovate attualmente di preciso?
Noi avevamo due monasteri, uno nel centro storico ed uno in campagna. Entrambi sono crollati. Però dopo il sisma del 24 agosto abbiamo costruito delle casette in legno nei pressi del monastero fuori città, che chiamiamo San Benedetto in Monte. Dunque ci troviamo in queste strutture che, essendo in legno, sono molto più sicure.

La vostra comunità è formata da monaci provenienti da tutto il mondo. La volontà è quella di restare a Norcia?
Certamente. I monaci prendono il voto di stabilità. Quando succede una tragedia del genere, più che mai un monaco si sente radicato nel territorio. Subito dopo il terremoto del 30 ottobre i sacerdoti che erano nel monastero sono usciti di corsa per dare i sacramenti alle persone che stavano male e per aiutare i vigili del fuoco a fornire aiuto materiale. E intanto i monaci non sacerdoti rimanevano nel monastero a pregare.

Come sono cambiati i vostri impegni quotidiani a seguito dei terremoti?
Abbiamo anticipato un po’ il mattutino per essere più svelti. Prima ci alzavamo alle 3.45, adesso alle 3.30.

Quanto è importante la preghiera per voi, specie in questa fase di difficoltà?
(Sospira). È essenziale. Tragedie di questo tipo non si comprendono se non avendo presente Dio nella nostra vita. Soltanto guardando a Lui e alla lunga storia dalla Creazione in poi si può capire il senso di un simile evento.

C’è una preghiera che più di altre si addice a questa situazione?
Durante le Messe, dal 24 agosto in poi, stiamo recitando una preghiera che chiede la protezione del popolo, il perdono dei nostri peccati e la protezione dal diavolo.

Evocativa è l’immagine di religiosi e laici in ginocchio, poco dopo il terremoto, a pregare dinanzi alla basilica di San Benedetto distrutta…
Quell’immagine ricorda che inginocchiarsi è un atto di sottomissione: Dio è il creatore e noi siamo le creature. In quel momento abbiamo rivolto a Lui una supplica in favore di tutti coloro che stavano soffrendo a causa del terremoto.

Quella del monaco è una vita di combattimento: concetto che si esprime in modo molto forte in questo momento?
Sì, il combattimento è spirituale. La schiena del monaco deve rimanere dritta, il monaco ha il dovere di resistere ai cosiddetti otto vizi. Ricordo che i monaci sono andati nel deserto proprio al fine di essere tentati. Un vigile del fuoco quando vede le fiamme vi si lancia contro. Ebbene, il monaco fa lo stesso: si mette alla prova andando incontro alla tentazione, per essere purificato mantenendo fiducia nell’aiuto di Dio.

Voi benedettini vivete il lavoro quasi come un’estensione della preghiera. Con questo proposito a Norcia producete la Birra Nursia. Dopo il terremoto, in che condizione si trova il birrificio?
Misteriosamente il birrificio non ha subito danni, malgrado l’edificio in cui si trova sia totalmente inagibile. Questo significa che inevitabilmente ci sarà una pausa nella produzione per uno o due mesi, cioè il tempo necessario per rendere accessibile la zona rossa dove si trova, dopo di che riprenderemo gradualmente a produrre birra.

L’imprenditore Brunello Cucinelli si è impegnato a contribuire economicamente alla ricostruzione della Basilica. Come avete accolto il suo impegno? Lo avete incontrato di persona in questi giorni?
Sì, lo abbiamo incontrato spesso e ci ha assicurato il suo appoggio e la sua vicinanza. Soprattutto lui desidera che questo monastero possa tornare a vivere. Lui è un uomo di fede e di preghiera, vede in San Benedetto una guida anche nei momenti più bui della storia.

Ci sono state polemiche a causa delle dichiarazioni via radio di un sacerdote che ha agitato il nesso tra catastrofi naturali e castighi divini, dovuti nella fattispecie all’approvazione in Italia delle unioni civili. Che idea si è fatto della vicenda?
Non l’ho seguita molto. Ma che Dio intervenga nella storia, nel bene o nel male, è parte della nostra fede. Altrimenti sarebbe un Dio che si disinteressa di noi. È vero, talvolta manda anche circostanze difficili, che servono però a purificarci. La questione è più delicata quando abbiamo la presunzione di stabilire che una tragedia “ics” è causata da un peccato “ypsilon”. Non è escluso, però sono circostanze molto misteriose, che capiremo soltanto dopo la morte. In momenti come questi è opportuno ponderare e affidarci alla preghiera.

Qualcuno, dopo il terremoto del 24 agosto che ha causato tanti morti, si è chiesto dove fosse Dio…
Io vedrei come un miracolo il fatto che, nonostante le forti scosse del 26 e del 30 ottobre, non ci siano state altre vittime. Questo è il mistero della provvidenza: dopo il terremoto di Amatrice, molte persone hanno abbandonato la nostra zona o hanno preso precauzioni. Se questo non fosse avvenuto, oggi saremmo tutti sotto le macerie.

La statua di San Benedetto, al centro della piazza davanti alla Basilica, è rimasta in piedi. Che valore assume la figura di questo santo nell’Europa di oggi, di cui è patrono?
Quella statua rimasta in piedi offre un’analogia. San Benedetto chiede a noi monaci di rimanere fissi in un territorio per convertire. In un’epoca come la nostra, di grandi spostamenti fisici e ideologici, di mode passeggere che agitano l’Europa e non solo, è importante il messaggio di San Benedetto a rimanere radicati nella fede in Gesù Cristo. Questa è l’unica strada di salvezza.


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Per ogni aggiornamento o informazione su come dare una mano: https://it.nursia.org/terremoto/







 

giovedì 17 novembre 2016

Strani fenomeni elettromagnetici al Santo Sepolcro. Un collegamento con la Sindone?

  



Marco Tosatti (16-11-2016)

Mi ha colpito, e incuriosito, una notizia pubblicata da Aleteia sui lavori svolti al Santa Sepolcro, a Gerusalemme. Nel corso della rimozione della lastra di marmo che copriva il luogo in cui la tradizione vuole sia stato sepolto il Signore, avvenuta fra il 26 e il 28 ottobre, scienziati e religiosi hanno avuto accesso al luogo. E immediatamente dopo si sono sparse alcune voci. La prima è che quando si è sollevata la lastra, i presenti hanno percepito “Un dolce aroma” emanare dalla tomba.
Questa sensazione olfattiva è qualche cosa che ricorda le emanazioni – profumo di rose, profumo di viole, o, appunto, aromi – associate ad alcuni santi; sia quando erano ancora in vita, sia dopo la morte.

Inoltre sembra che alcuni strumenti di misurazione elettromagnetica impiegati dagli scienziati che partecipavano all’operazione di apertura si siano comportati in maniera totalmente anomala. Quando venivano collocati in verticale sulla pietra, sulla quale si vuole che sia stato deposto il corpo di Cristo avvolto nel telo sindonico, funzionavano con disturbi, o non funzionavano affatto.

Secondo Aleteia “La direttrice dei lavori, Antonia Moropoulou, ha affermato che è difficile immaginare che qualcuno abbia messo a rischio la propria reputazione per un ‘trucco pubblicitario’”.

Come rileva giustamente Aleteia, l’evento è eccezionale, e di grandissima importanza: “È stata la prima volta in quasi due millenni gli scienziati sono riusciti a entrare a contatto con la pietra originale sulla quale venne deposto il Santissimo Corpo di Gesù Cristo avvolto nei panni mortuari, il più famoso dei quali è la Sacra Sindone”.

Già, la Sindone. Leggendo questa notizia mi è tornata alla mente l’ipotesi avanzata da Giuseppe Baldacchini, e i lavori compiuti da questo scienziato e dalla sua squadra per risolvere il mistero dell’immagine sindonica. Giuseppe Baldacchini è un fisico, già dirigente presso il Centro di Ricerca ENEA di Frascati, Roma Atomic, Molecular and Optical Physics, Condensed Matter Physics, Cryogenics.

Dando per scontato che il corpo contenuto nel telo sia svanito, e non sia stato portato via, e che il telo stesso non sia un falso, secondo Baldacchini “L’unico fenomeno conosciuto in Fisica che conduca alla sparizione completa della massa con produzione di energia equivalente è il processo di annichilazione materia-antimateria (AMA), che oggi può essere riprodotto solo a livello subatomico nei laboratori di particelle elementari, ma che è stato invece dominante subito dopo il Big Bang, cioè negli istanti iniziali di esistenza del nostro universo”.

Se volete leggere più in dettaglio la sua ipotesi, cliccate QUI.

L’immagine della Sindone, che costituisce sicuramente un grande interrogativo dal punto di vista chimico e fisico, si sarebbe formata grazie a un lampo di luce fortissima. Baldacchini rispondeva così a una domanda sulla formazione dell’immagine: “Quella è stata, in realtà, la parte – che riguarda la Sindone – che mi ha interessato di più fin dall’inizio, nel senso che la mia preparazione di fisico mi ha permesso di fare delle ipotesi sulla possibilità che l’immagine fosse dovuta ad un’esplosione di energia. E questa ipotesi è stata verificata in laboratorio con l’uso di sorgenti laser molto particolari. Dopo un lungo lavoro, abbiamo dimostrato che in realtà in certe condizioni queste sorgenti laser possono produrre le immagini simil-sindoniche. È chiaro che con queste sorgenti veniva simulata un’esplosione di luce. Quindi che un lampo di luce che abbia prodotto questa Sindone è stato corroborato da misure scientifiche di un certo spessore”.

Potrebbe esserci qualche collegamento fra gli esperimenti compiuti con il Laser da Baldacchini, la sua teoria dell’annichilamento, e le anomalie inspiegabili avvenute agli strumenti di misurazione elettromagnetica posti sul sepolcro? L’interrogativo e quantomeno affascinante.




http://www.marcotosatti.com







 

martedì 15 novembre 2016

Magistero non-convenzionale e ideologia





Giovanni Scalese
15 novembre 2016

Venerdí scorso, 11 novembre, La Repubblica riportava l’ennesima intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco. Se devo essere sincero, la cosa mi ha lasciato del tutto indifferente: di quello che il fondatore di Repubblica mette sulle labbra del Papa non mi interessa proprio nulla. Il discorso si fa diverso quando l’intervista viene rilanciata da L’Osservatore Romano, che, fino a prova contraria, è il quotidiano ufficioso della Santa Sede. Per carità, anche qui, finché il Papa si limita a dire che il male peggiore che esiste nel mondo sono le diseguaglianze, dal mio punto di vista, non è un grosso problema: si tratta di opinioni personali su cui si può essere più o meno d’accordo. Magari qualcuno potrebbe far notare — come di fatto è avvenuto — che da un leader religioso ci si aspetterebbe un’analisi meno sociologica e più religiosa della realtà (il male peggiore, una volta, non era forse il peccato?); ma, ripeto, si può discutere. Così come non mi crea eccessivi problemi l’affermazione secondo cui «sono i comunisti che la pensano come i cristiani»: anche questa, un’affermazione discutibile quanto si vuole, ma pur sempre una battuta con un suo fondo di verità.

 Ma quando si afferma che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere», passiamo dal piano dell’opinabile a quello della mistificazione. Sia ben chiaro, non credo minimamente che Papa Francesco abbia potuto fare un’affermazione del genere: chiunque, anche un bambino del catechismo con una minima conoscenza del vangelo, sa che Gesù non ha mai detto una simile sciocchezza. Solo chi non ha mai letto il vangelo e ha la presunzione di conoscerlo per sentito dire, potrebbe pensare una cosa del genere. È quindi evidente che in tal caso (ma si potrebbe giungere alla medesima conclusione per l’intera “intervista”) si tratta di parole messe in bocca a Papa Bergoglio da Eugenio Scalfari. Ha fatto giustamente notare Luis Badilla, Direttore de Il Sismografo:


L’incontro tra il Santo Padre e il fondatore della testata sarebbe durato 40 minuti circa e la conversazione (7 novembre), come nel caso delle prime interviste (1° ottobre 2013 e 13 luglio 2014), non è stata registrata; dunque è una conversazione senza supporto. Non è stata nemmeno un’intervista a regola d’arte, domande e risposte. Il giornalista non ha chiesto formalmente un’intervista. Ha chiesto un incontro personale.

 Eugenio Scalfari ancora una volta avrebbe costruito “l’intervista”, usando la tecnica della domanda/risposta basandosi però sulla sua memoria e sulle sue conoscenze e, ovviamente, non su contenuti registrati. Ciò apparirebbe molto chiaro in virgolettati del Papa che non appartengono al suo linguaggio e naturalmente alla sua formazione teologica, in particolare quando si fa riferimento alle parole di Gesù.

Ma allora, se tutto questo è vero, ci si chiede: perché riprendere questa pseudo-intervista su L’Osservatore Romano? Sono convinto che il quotidiano della Santa Sede non prenderebbe mai l’iniziativa di pubblicare un testo del genere. Ma allora mi chiedo: non ci si rende conto che, permettendo una cosa del genere, chiunque ne sia responsabile, si fa dire al Papa una enormità?


Mi sembra che questo incidente dovrebbe far riflettere quanti, anche fra i cattolici più conservatori, sono convinti che qualsiasi esternazione del Papa sia una forma di “magistero”, un nuovo modo di fare magistero. È vero che è stato lo stesso Pontefice a incoraggiare questa convinzione: in un’intervista rilasciata al quotidiano argentino La Nación il 7 dicembre 2014 aveva affermato: «Faccio continuamente dichiarazioni e pronuncio omelie, e questo è magistero». Anche se però aveva aggiunto una frase a mio parere rivelatrice: «Quello che c’è lì è ciò che io penso». Il magistero, se ben ricordo, non è ciò che il Papa pensa (queste semmai sono le sue opinioni personali, rispettabilissime, ma pur sempre opinioni), bensì quello che “pensa” (= crede) la Chiesa. Mi ero già espresso sulla questione del magistero nell’intervista che durante l’estate avevo rilasciato al sito Cooperatores veritatis: personalmente, non riconosco valore magisteriale alle omelie mattutine di Santa Marta (che rientrano, semmai, nel munus docendi della Chiesa esercitato da qualsiasi sacerdote); tanto meno considero atti magisteriali i libri, le interviste o le conferenze stampa in aereo (il cosiddetto “magistero volante”). L’incidente di cui ci stiamo occupando dimostra che, in questi casi, si tratta di dichiarazioni che possono essere discutibili e talvolta, come nel caso presente, addirittura errate.


Ho l’impressione inoltre che non ci si renda conto che tale magistero, diciamo così, “non-convenzionale” (unconventional, in inglese) può spesso sfociare in ideologia, con grave danno per la purezza del vangelo. Persone non sufficientemente preparate e dotate di senso critico, leggendo che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere», sono portate a concludere che sia vero: lo ha detto il Papa, e il Papa non può sbagliare. Mentre si tratta di pura ideologia.


Il Papa è molto sensibile su questo punto. Il giorno stesso della pubblicazione dell’intervista a Scalfari, al mattino, in Santa Marta, ha proprio fatto una meditazione sulla possibilità di trasformare il cristianesimo in ideologia. Di solito Papa Bergoglio sottolinea il pericolo che la dottrina cristiana diventi ideologia. Questa volta non poteva farlo, perché la seconda lettera di Giovanni, da cui prendeva spunto la meditazione, ci invita a «rimanere nella dottrina» (v. 9); per cui ha dovuto, necessariamente, ammettere che si può ideologizzare anche l’amore:

Francesco ha fatto riferimento alla parola greca proagon, che è “tanto forte”, per indicare «chi va, chi cammina oltre» [interessante notare come la New American Bible traduca πᾶς ὁ προάγον (= “chi va oltre”) con anyone who is so “progressive” (= “chi è cosí progressista”), N.d.R.]. E «da lí — ha proseguito — nascono tutte le ideologie sull’amore, le ideologie sulla Chiesa, le ideologie che tolgono alla Chiesa la carne di Cristo». Ma proprio «queste ideologie scarnificano la Chiesa». Portano a dire: «sí, io sono cattolico; sí, sono cristiano; io amo tutto il mondo di un amore universale». Ma «è tanto etereo». Invece «un amore è sempre dentro, concreto, e non oltre questa dottrina dell’incarnazione del Verbo».
«La vita della Chiesa, l’appartenenza alla Chiesa — ha affermato il Pontefice — è sempre dentro, va oltre, esce dalla Chiesa». E così «chi vuole amare non come ama Cristo la sua sposa, la Chiesa, con la propria carne e dando la vita, ama ideologicamente: non ama con tutto il corpo e con tutta l’anima». E «questo modo di fare delle teorie, delle ideologie, anche delle proposte di religiosità che tolgono la carne al Cristo, che tolgono la carne alla Chiesa, vanno oltre e rovinano la comunità, rovinano la Chiesa». Non si deve «mai andare oltre il seno della madre, della santa madre Chiesa gerarchica» [citazione dagli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, N.d.R.].

Ecco, appunto, affermare che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere» significa esattamente trasformare il vangelo in ideologia e perciò “scarnificare la Chiesa”. Decisamente meglio non rilasciare più interviste a Eugenio Scalfari e, men che meno, pubblicarle su L’Osservatore Romano.
Q



 Pubblicato da Querculanus 



Morale ed Eucaristia, dietro i "Dubia" si gioca la partita sui fondamenti della Chiesa



di Riccardo Cascioli
15-11-2016

L’enorme interesse suscitato dalla pubblicazione ieri dei “Dubia” di quattro cardinali riguardo l’esortazione apostolica Amoris Laetitia (la Bussola ha battuto ogni record di accessi) è segno di un disagio e di una esigenza di chiarezza molto diffusa tra i cattolici e sempre crescente.

In sé il passo compiuto dai cardinali Brandmuller, Burke, Caffarra e Meisner, per quanto previsto dalle norme canoniche, è sicuramente inusuale e si spiega con l’eccezionalità della situazione che la Chiesa sta vivendo. Anche il tentativo di sminuire la portata del gesto, confinandolo alla reazione di pochi cardinali che avrebbero perso il contatto con la realtà, è patetico. Perché gli ultimi mesi – tra documenti, appelli, commenti e prese di posizioni varie – hanno visto un grande fermento dei cattolici per riaffermare il valore di matrimonio ed Eucaristia così come trasmesso dalla tradizione e messo in pericolo da una forte corrente filo-protestante che gioca sul “non detto” delle dichiarazioni pontificie. La pubblicazione dei cinque “Dubia” dunque è solo la punta di un iceberg che tende a ingrossarsi ogni giorno che passa.

È infatti chiaro anche dalle parole dei cardinali, che il punto centrale della questione non è neanche l’ammissione dei divorziati risposati alla comunione. Anzi, questo è solo il “casus belli” su cui però si gioca una partita ben più ampia che tocca le fondamenta della Chiesa, e in particolare due aspetti.

Il primo aspetto riguarda la morale. Detto in parole molto povere: esistono delle norme assolute, ovvero una chiara distinzione tra bene e male? Il caso dei divorziati risposati è esemplificativo: se il matrimonio è valido, resta indissolubile anche se per particolari circostanze interviene una separazione o un divorzio civile; perciò il coniuge che si sposi di nuovo è oggettivamente in condizione di adulterio, e questo – per la Chiesa – non può mai essere un bene, qualsiasi siano le circostanze. Ci possono essere condizioni attenuanti o aggravanti, ma il male resta male, è una norma oggettiva assoluta.

Se si ammettesse una certa interpretazione della “Amoris Laetitia” invece, esisterebbero alcune condizioni tali per cui l’adulterio non è peccato. Ma se questo fosse vero, allora, il criterio dovrebbe valere per tutti gli altri comandamenti; tutto diventa relativo, niente più è assoluto. Una conseguenza ovvia è che tutto è relegato alla propria coscienza, e del resto come potrebbe fare un sacerdote a leggere la coscienza delle persone? Si parla tanto di accompagnamento, ma la verità è che in questa situazione ogni persona resta da sola a decidere di sé, perché ogni cosa diventa possibile. Al contrario, un vero accompagnamento ci può essere soltanto davanti a un obiettivo chiaro, misurandosi con una norma assoluta, in questo modo l’altro diventa una compagnia al proprio destino.

Purtroppo il dibattito su questo punto è stato falsato da una descrizione caricaturale della questione come se ci fosse da decidere tra il cacciare fuori dalla Chiesa i “peccatori” o accoglierli. Ma questo non è mai stato il punto, l’accoglienza delle persone qualsiasi sia la circostanza che vivono non è mai stata in discussione nel Magistero (basta rileggere la Familiaris Consortio per verificare).

Inoltre accadrebbe – come già è iniziato ad accadere – che ciò che vale in Europa non può valere per l’Africa, ciò che è possibile in Germania non lo è in Francia, che due diocesi confinanti seguano linee opposte. Un vero e proprio federalismo dottrinale, niente di più distante da ciò che in duemila anni ha rappresentato il cattolicesimo.

In estrema sintesi, si può affermare che assumere una interpretazione kasperiana della Amoris Laetitia (sostituire l’oggettività della situazione con il soggettivismo dei singoli) significa incamminarsi sulla strada della protestantizzazione.

E proprio questa sintesi ci collega al secondo aspetto della posta in gioco, ovvero l’Eucaristia. Pur menzionata marginalmente nei “Dubia”, è evidente che questa è però una questione molto delicata che è sullo sfondo delle domande presentate al Papa e più in generale della vita della Chiesa. In altre parole: cos’è l’Eucaristia e quindi quali sono le condizioni per accedervi? È la Cena a cui tutti sono invitati e da cui nessuno può essere escluso o è il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù, il sacrificio della Croce che si perpetua nei secoli e che richiede essere in stato di grazia per accostarvisi?

Se davvero l’Eucaristia è fonte e culmine della vita cristiana, come recita il Catechismo, si capisce che questo è un punto decisivo per la Chiesa. La decisione se ammettere o meno alla comunione i divorziati risposati, dipende più dalla concezione che si ha del sacramento dell’Eucaristia che non dal sacramento del matrimonio.

E certe frasi pronunciate recentemente da papa Francesco in diversi incontri con luterani – che sono sembrate voler aprire alla intercomunione -  hanno fatto nascere una serie di interrogativi proprio sulla concezione dell’Eucaristia. Interrogativi che sono per il momento senza risposta, così come i “Dubia” avanzati dai quattro cardinali.







http://www.lanuovabq.it




 

lunedì 14 novembre 2016

"Fare chiarezza". L'appello di quattro cardinali al papa




Una lettera. Cinque domande sui punti più controversi di "Amoris laetitia". A cui Francesco non ha risposto. Un motivo in più, dicono, per "informare della nostra iniziativa il popolo di Dio"
  

di Sandro Magister
   
ROMA, 14 novembre 2016 – La lettera e le cinque domande riportate integralmente più sotto non hanno bisogno di tante spiegazioni. Basta leggerle. La novità è che quattro cardinali che lo scorso 19 settembre le hanno consegnate a Francesco, senza avere avuto risposta, hanno deciso di renderle pubbliche incoraggiati proprio da questo silenzio del papa, per "continuare la riflessione e la discussione" con "l'intero popolo di Dio".

Lo spiegano nella premessa alla pubblicazione del tutto. E il pensiero corre dritto a Matteo 18, 16-17: "Se il tuo fratello non ti ascolterà, prendi con te due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea".

"Testimone" è stato in questo caso il cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede. Perché anche a lui, oltre che al papa, erano state consegnate la lettera e le domande.

Le cinque domande sono infatti formulate come nelle classiche interpellanze alla congregazione per la dottrina della fede. Formulate cioè in modo tale che ad esse si possa rispondere semplicemente con un sì o un no.

Di norma, le risposte date dalla congregazione menzionano esplicitamente l'avvenuta approvazione del papa. E nelle udienze di tabella date da Francesco al cardinale prefetto dopo la consegna della lettera e delle domande, è giocoforza che i due ne abbiano parlato.

Ma appunto, al loro appello i quattro cardinali non hanno avuto nessuna risposta, né dal cardinale Müller né dal papa, evidentemente per volontà di quest'ultimo.

*

I quattro cardinali che hanno firmato e ora rendono pubblica questa lettera non sono tra gli stessi che un anno fa, all'inizio della seconda sessione del sinodo sulla famiglia, consegnarono a Francesco la famosa lettera "dei tredici cardinali":

> Tredici cardinali hanno scritto al papa. Ecco la lettera (12.10.2015)

I tredici erano tutti membri del sinodo e in pieno servizio nelle rispettive diocesi. Oppure ricoprivano importanti incarichi in curia, come i cardinali Robert Sarah, George Pell e lo stesso Müller.

Questi quattro, invece, pur tutti di riconosciuta autorevolezza, sono privi di ruoli operativi, o per motivi di età o perché esonerati.

E ciò li rende più liberi. Non è un mistero, infatti, che il loro appello è stato ed è condiviso da non pochi altri cardinali che sono tuttora in piena attività, nonché da vescovi e arcivescovi di prima grandezza d'Occidente e d'Oriente, che però hanno scelto di restare in ombra.

Tra pochi giorni, il 19 e 20 novembre, si riunirà a Roma l'intero collegio cardinalizio, per il concistoro convocato da papa Francesco. E inevitabilmente l'appello dei quattro cardinali diventerà tra loro materia di discussione animata.

Corsi e ricorsi storici. È stato nel concistoro del febbraio del 2014 che Francesco diede il via alla lunga marcia che è sfociata nell'esortazione "Amoris laetitia", quando affidò al cardinale Walter Kasper la relazione d'apertura, a sostegno della comunione ai divorziati risposati.

Subito in quel concistoro la controversia scoppiò accesissima. Ed è la stessa che oggi ancor più divide la Chiesa, anche ai suoi gradi più alti, visto come sono contraddittoriamente interpretate e applicate le non chiare suggestioni di "Amoris laetitia".

Kasper è tedesco e, curiosamente, due dei cardinali che – sul fronte a lui opposto – pubblicano il presente appello sono anche loro tedeschi, per non dire del cardinale Müller che firmò la lettera "dei tredici" e ora ha ricevuto quest'altra lettera non meno esplosiva.

La divisione nella Chiesa c'è. E clamorosamente attraversa proprio quella Chiesa di Germania che rappresenta per molti la punta più avanzata del cambiamento.

E papa Francesco tace. Forse perché pensa che "le opposizioni aiutano", come ha spiegato al confratello gesuita Antonio Spadaro nel dare alle stampe l'antologia dei suoi discorsi da arcivescovo di Buenos Aires, in libreria da pochi giorni.

Aggiungendo:

"La vita umana è strutturata in forma oppositiva. Ed è quello che succede adesso anche nella Chiesa. Le tensioni non vanno necessariamente risolte e omologate. Non sono come le contraddizioni".

Ma appunto. Qui di contraddizioni si tratta. Sì o no. Sono queste e non altre le risposte dovute alle cinque domande dei quattro cardinali, sui punti cruciali della dottrina e della vita della Chiesa messi in forse da "Amoris laetitia".

A loro la parola.

Oltre che in italiano, in inglese, in francese e in spagnolo, sono disponibili dell'intero documento anche le traduzioni in portoghese e in tedesco:

> Criar clareza. Alguns nós por resolver em "Amoris laetitia" - Um apelo

> Klarheit schaffen. Ungelöste Knoten von "Amoris laetitia" - Ein Appell

__________

 

Fare chiarezza.

Nodi irrisolti di "Amoris laetitia" - Un appello



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1. Una premessa necessaria



L’invio della lettera al Santo Padre Francesco da parte di quattro cardinali nasce da una profonda preoccupazione pastorale.

Abbiamo constatato un grave smarrimento di molti fedeli e una grande confusione, in merito a questioni assai importanti per la vita della Chiesa. Abbiamo notato che anche all’interno del collegio episcopale si danno interpretazioni contrastanti del capitolo ottavo di "Amoris laetitia".

La grande Tradizione della Chiesa ci insegna che la via d’uscita da situazioni come questa è il ricorso al Santo Padre, chiedendo alla Sede Apostolica di risolvere quei dubbi che sono la causa di smarrimento e confusione.

Il nostro è dunque un atto di giustizia e di carità.

Di giustizia: colla nostra iniziativa professiamo che il ministero petrino è il ministero dell’unità, e che a Pietro, al Papa, compete il servizio di confermare nella fede.

Di carità: vogliamo aiutare il Papa a prevenire nella Chiesa divisioni e contrapposizioni, chiedendogli di dissipare ogni ambiguità.

Abbiamo anche compiuto un preciso dovere. Secondo il Codice di diritto canonico (can. 349) è affidato ai cardinali, anche singolarmente presi, il compito di aiutare il Papa nella cura della Chiesa universale.

Il Santo Padre ha deciso di non rispondere. Abbiamo interpretato questa sua sovrana decisione come un invito a continuare la riflessione e la discussione, pacata e rispettosa.

E pertanto informiamo della nostra iniziativa l’intero popolo di Dio, offrendo tutta la documentazione.

Vogliamo sperare che nessuno interpreti il fatto secondo lo schema “progressisti-conservatori”: sarebbe totalmente fuori strada. Siamo profondamente preoccupati del vero bene delle anime, suprema legge della Chiesa, e non di far progredire nella Chiesa una qualche forma di politica.

Vogliamo sperare che nessuno ci giudichi, ingiustamente, avversari del Santo Padre e gente priva di misericordia. Ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo nasce dalla profonda affezione collegiale che ci unisce al Papa, e dall’appassionata preoccupazione per il bene dei fedeli.

Card. Walter Brandmüller
Card. Raymond L. Burke
Card. Carlo Caffarra
Card. Joachim Meisner


*


2. La lettera dei quattro cardinali al papa



Al Santo Padre Francesco
e per conoscenza a Sua Eminenza il Cardinale Gerhard L. Müller

Beatissimo Padre,

a seguito della pubblicazione della Vostra Esortazione Apostolica "Amoris laetitia" sono state proposte da parte di teologi e studiosi interpretazioni non solo divergenti, ma anche contrastanti, soprattutto in merito al cap. VIII. Inoltre i mezzi di comunicazione hanno enfatizzato questa diatriba, provocando in tal modo incertezza, confusione e smarrimento tra molti fedeli.

Per questo, a noi sottoscritti ma anche a molti Vescovi e Presbiteri, sono pervenute numerose richieste da parte di fedeli di vari ceti sociali sulla corretta interpretazione da dare al cap. VIII dell’Esortazione.

Ora, spinti in coscienza dalla nostra responsabilità pastorale e desiderando mettere sempre più in atto quella sinodalità alla quale Vostra Santità ci esorta, con profondo rispetto, ci permettiamo di chiedere a Lei, Santo Padre, quale supremo Maestro della fede chiamato dal Risorto a confermare i suoi fratelli nella fede, di dirimere le incertezze e fare chiarezza, dando benevolmente risposta ai "Dubia" che ci permettiamo allegare alla presente.

Voglia la Santità Vostra benedirci, mentre Le promettiamo un ricordo costante nella preghiera.

Card. Walter Brandmüller
Card. Raymond L. Burke
Card. Carlo Caffarra
Card. Joachim Meisner

Roma, 19 settembre 2016


*


3. I "Dubia"



1.    Si chiede se, a seguito di quanto affermato in "Amoris laetitia" nn. 300-305, sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive "more uxorio" con un’altra, senza che siano adempiute le condizioni previste da "Familiaris consortio" n. 84 e poi ribadite da "Reconciliatio et paenitentia" n. 34 e da "Sacramentum caritatis" n. 29. L’espressione "in certi casi" della nota 351 (n. 305) dell’esortazione "Amoris laetitia" può essere applicata a divorziati in nuova unione, che continuano a vivere "more uxorio"?

2.    Continua ad essere valido, dopo l’esortazione postsinodale "Amoris laetitia" (cfr. n. 304), l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 79, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?

3.    Dopo "Amoris laetitia" n. 301 è ancora possibile affermare che una persona che vive abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio, come ad esempio quello che proibisce l’adulterio (cfr. Mt 19, 3-9), si trova in situazione oggettiva di peccato grave abituale (cfr. Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000)?

4.    Dopo le affermazioni di "Amoris laetitia" n. 302 sulle "circostanze attenuanti la responsabilità morale", si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 81, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, secondo cui: "le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta"?

5.    Dopo "Amoris laetitia" n. 303 si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 56, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto?


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4. Nota esplicativa a cura dei quattro cardinali




IL CONTESTO


I "dubia" (dal latino: "dubbi") sono questioni formali poste al Papa e alla Congregazione per la Dottrina della Fede chiedendo chiarificazioni circa particolari temi concernenti la dottrina o la pratica.

Ciò che è particolare a riguardo di queste richieste è che esse sono formulate in modo da richiedere come risposta "sì" o "no", senza argomentazione teologica. Non è nostra invenzione questa modalità di rivolgersi alla Sede Apostolica; è una prassi secolare.

Veniamo alla concreta posta in gioco.

Dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale "Amoris laetitia" sull’amore nella famiglia, si è sollevato un ampio dibattito, in particolare attorno al capitolo ottavo. Nello specifico, i paragrafi 300-305 sono stati oggetto di divergenti interpretazioni.

Per molti – vescovi, parroci, fedeli – questi paragrafi alludono o anche esplicitamente insegnano un cambio nella disciplina della Chiesa rispetto ai divorziati che vivono in una nuova unione, mentre altri, ammettendo la mancanza di chiarezza o anche l’ambiguità dei passaggi in questione, nondimeno argomentano che queste stesse pagine possono essere lette in continuità col precedente magistero e non contengono una modifica nella pratica e nell’insegnamento della Chiesa.

Animati da una preoccupazione pastorale per i fedeli, quattro cardinali hanno inviato una lettera al Santo Padre sotto forma di "dubia", sperando di ricevere chiarezza, dato che il dubbio e l’incertezza sono sempre altamente detrimenti alla cura pastorale.

Il fatto che gli interpreti giungano a differenti conclusioni è dovuto anche a divergenti vie di comprendere la vita cristiana. In questo senso, ciò che è in gioco in "Amoris laetitia" non è solo la questione se i divorziati che sono entrati in una nuova unione – sotto certe circostanze – possano o meno essere riammessi ai sacramenti.

Piuttosto, l’interpretazione del documento implica anche differenti, contrastanti approcci allo stile di vita cristiano.

Così, mentre la prima questione dei "dubia" concerne un tema pratico riguardante i divorziati risposati civilmente, le altre quattro questioni riguardano temi fondamentali della vita cristiana.


LE DOMANDE


Dubbio numero 1:

Si chiede se, a seguito di quanto affermato in "Amoris laetitia" nn. 300-305, sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive "more uxorio" con un’altra, senza che siano adempiute le condizioni previste da "Familiaris consortio" n. 84 e poi ribadite da "Reconciliatio et paenitentia" n. 34 e da "Sacramentum caritatis" n. 29. L’espressione "in certi casi" della nota 351 (n. 305) dell’esortazione "Amoris laetitia" può essere applicata a divorziati in nuova unione, che continuano a vivere "more uxorio"?


La prima domanda fa particolare riferimento ad "Amoris laetitia" n. 305 e alla nota 351 a piè di pagina. La nota 351, mentre parla specificatamente dei sacramenti della penitenza e della comunione, non menziona i divorziati risposati civilmente in questo contesto e neppure lo fa il testo principale.

Il n. 84 dell’esortazione apostolica "Familiaris consortio" di Papa Giovanni Paolo II contemplava già la possibilità di ammettere i divorziati risposati civilmente ai sacramenti. Esso menziona tre condizioni:

- Le persone interessate non possono separarsi senza commettere una nuova ingiustizia (per esempio, essi potrebbero essere responsabili per l’educazione dei loro figli);

- Essi prendono l’impegno di vivere secondo la verità della loro situazione, cessando di vivere insieme come se fossero marito e moglie ("more uxorio"), astenendosi dagli atti che sono propri degli sposi;

- Essi evitano di dare scandalo (cioè, essi evitano l’apparenza del peccato per evitare il rischio di guidare altri a peccare).

Le condizioni menzionate da "Familiaris consortio" n. 84 e dai successivi documenti richiamati appariranno immediatamente ragionevoli una volta che si ricorda che l’unione coniugale non è basata solo sulla mutua affezione e che gli atti sessuali non sono solo un’attività tra le altre che la coppia compie.

Le relazioni sessuali sono per l’amore coniugale. Esse sono qualcosa di così importante, così buono e così prezioso, da richiedere un particolare contesto: il contesto dell’amore coniugale. Quindi, non solo i divorziati che vivono in una nuova unione devono astenersi, ma anche chiunque non è sposato. Per la Chiesa, il sesto comandamento "non commettere adulterio" ha sempre coperto ogni esercizio della sessualità umana che non sia coniugale, cioè, ogni tipo di atto sessuale al di fuori di quello compiuto col proprio legittimo sposo.

Sembra che, se ammettesse alla comunione i fedeli che si sono separati o divorziati dal proprio legittimo coniuge e che sono entrati in una nuova unione nella quale vivono come se fossero marito e moglie, la Chiesa insegnerebbe, tramite questa pratica di ammissione, una delle seguenti affermazioni riguardo il matrimonio, la sessualità umana e la natura dei sacramenti:

- Un divorzio non dissolve il vincolo matrimoniale, e i partner della nuova unione non sono sposati. Tuttavia, le persone che non sono sposate possono, a certe condizioni, compiere legittimamente atti di intimità sessuale.

- Un divorzio dissolve il vincolo matrimoniale. Le persone che non sono sposate non possono realizzare legittimamente atti sessuali. I divorziati e risposati sono legittimamente sposi e i loro atti sessuali sono lecitamente atti coniugali.

- Un divorzio non dissolve il vincolo matrimoniale, e i partner della nuova unione non sono sposati. Le persone che non sono sposate non possono compiere atti sessuali. Perciò i divorziati risposati civilmente vivono in una situazione di peccato abituale, pubblico, oggettivo e grave. Tuttavia, ammettere persone all’Eucarestia non significa per la Chiesa approvare il loro stato di vita pubblico; il fedele può accostarsi alla mensa eucaristica anche con la coscienza di peccato grave. Per ricevere l’assoluzione nel sacramento della penitenza non è sempre necessario il proposito di cambiare la vita. I sacramenti, quindi, sono staccati dalla vita: i riti cristiani e il culto sono in una sfera differente rispetto alla vita morale cristiana.

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Dubbio numero 2:

Continua ad essere valido, dopo l’esortazione postsinodale "Amoris laetitia" (cfr. n. 304), l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 79, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?


La seconda domanda riguarda l’esistenza dei così detti atti intrinsecamente cattivi. Il n. 79 dell’enciclica "Veritatis splendor" di Giovanni Paolo sostiene che è possibile "qualificare come moralmente cattiva secondo la sua specie […] la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati prescindendo dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili di quell’atto per tutte le persone interessate".

Così, l’enciclica insegna che ci sono atti che sono sempre cattivi, che sono vietati dalle norme morali che obbligano senza eccezione ("assoluti morali"). Questi assoluti morali sono sempre negativi, cioè, essi ci dicono che cosa non dovremmo fare. "Non uccidere". "Non commettere adulterio". Solo norme negative possono obbligare senza eccezione.

Secondo "Veritatis splendor", nel caso di atti intrinsecamente cattivi nessun discernimento delle circostanze o intenzioni è necessario. Anche se un agente segreto potesse strappare delle informazioni preziose dalla moglie del terrorista commettendo con essa un adulterio, così da salvare la patria (ciò che suona come un esempio tratto da un film di James Bond è stato già contemplato da San Tommaso d’Aquino nel "De Malo", q. 15, a. 1). Giovanni Paolo II sostiene che l’intenzione (qui "salvare la patria") non cambia la specie dell’atto ("commettere adulterio") e che è sufficiente sapere la specie dell’atto ("adulterio") per sapere che non va fatto.

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Dubbio numero 3:

Dopo "Amoris laetitia" n. 301 è ancora possibile affermare che una persona che vive abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio, come ad esempio quello che proibisce l’adulterio (cfr. Mt 19, 3-9), si trova in situazione oggettiva di peccato grave abituale (cfr. Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000)?


Nel paragrafo 301 "Amoris laetitia" ricorda che "la Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti". E conclude che "per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante".

Nella Dichiarazione del 24 giugno del 2000 il Pontificio consiglio per i testi legislativi mirava a chiarire il canone 915 del Codice di Diritto Canonico, che afferma che quanti "ostinatamente persistono in peccato grave manifesto, non devono essere ammessi alla Santa Comunione". La Dichiarazione del Pontificio consiglio afferma che questo canone è applicabile anche ai fedeli che sono divorziati e risposati civilmente. Essa chiarisce che il "peccato grave" dev’essere compreso oggettivamente, dato che il ministro dell’Eucarestia non ha mezzi per giudicare l’imputabilità soggettiva della persona.

Così, per la Dichiarazione, la questione dell’ammissione ai sacramenti riguarda il giudizio della situazione di vita oggettiva della persona e non il giudizio che questa persona si trova in stato di peccato mortale. Infatti soggettivamente potrebbe non essere pienamente imputabile, o non esserlo per nulla.

Lungo la stessa linea, nella sua enciclica "Ecclesia de Eucharistia", n. 37, San Giovanni Paolo II ricorda che "il giudizio sullo stato di grazia di una persona riguarda ovviamente solo la persona coinvolta, dal momento che è questione di esaminare la coscienza". Quindi, la distinzione riferita da "Amoris laetitia" tra la situazione soggettiva di peccato mortale e la situazione oggettiva di peccato grave è ben stabilita nell’insegnamento della Chiesa.

Giovanni Paolo II, tuttavia, continua a insistere che "in caso di condotta pubblica che è seriamente, chiaramente e stabilmente contraria alla norma morale, la Chiesa, nella sua preoccupazione pastorale per il buon ordine della comunità e per il rispetto dei sacramenti, non può fallire nel sentirsi direttamente implicata". Egli così riafferma l’insegnamento del canone 915 sopra menzionato.

La questione 3 dei "dubia" vorrebbe così chiarire se, anche dopo "Amoris laetitia", è ancora possibile dire che le persone che abitualmente vivono in contraddizione al comandamento della legge di Dio vivono in oggettiva situazione di grave peccato abituale, anche se, per qualche ragione, non è certo che essi siano soggettivamente imputabili per la loro abituale trasgressione.

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Dubbio numero 4:

Dopo le affermazioni di "Amoris laetitia" n. 302 sulle "circostanze attenuanti la responsabilità morale", si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 81, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, secondo cui: "le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta"?


Nel paragrafo 302 "Amoris laetitia" sottolinea che "un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta". I "dubia" fanno riferimento all’insegnamento così come espresso da Giovanni Paolo II in "Veritatis splendor", secondo cui circostanze o buone intenzioni non cambiano mai un atto intrinsecamente cattivo in un atto scusabile o anche buono.

La questione è se "Amoris laetitia" concorda nel dire che ogni atto che trasgredisce i comandamenti di Dio, come l’adulterio, il furto, lo spergiuro, non può mai, considerate le circostanze che mitigano la responsabilità personale, diventare scusabile o anche buono.

Questi atti, che la Tradizione della Chiesa ha chiamato peccati gravi e cattivi in sé, continuano a essere distruttivi e dannosi per chiunque li commetta, in qualunque stato soggettivo di responsabilità morale egli si trovi?

O possono questi atti, dipendendo dallo stato soggettivo della persona e dalle circostanze e dalle intenzioni, cessare di essere dannosi e divenire lodevoli o almeno scusabili?

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Dubbio numero 5:

Dopo "Amoris laetitia" n. 303 si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 56, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto?


"Amoris laetitia" n. 303 afferma che "la coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio". I "dubia" chiedono una chiarificazione di queste affermazioni, dato che essi sono suscettibili di divergenti interpretazioni.

Per quanti propongono l’idea di coscienza creativa, i precetti della legge di Dio e la norma della coscienza individuale possono essere in tensione o anche in opposizione, mentre la parola finale dovrebbe sempre andare alla coscienza, che ultimamente decide a riguardo del bene e del male. Secondo "Veritatis splendor" n. 56, "su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette 'pastorali' contrarie agli insegnamenti del Magistero e di giustificare un’ermeneutica 'creatrice', secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare".

In questa prospettiva, non sarà mai sufficiente per la coscienza morale sapere che "questo è adulterio", "questo è omicidio" per sapere se si tratta di qualcosa che non può e non deve essere fatto.

Piuttosto, si dovrebbe anche guardare alle circostanze e alle intenzioni per sapere se questo atto non potrebbe, dopo tutto, essere scusabile o anche obbligatorio (cfr. la domanda 4 dei "dubia"). Per queste teorie, la coscienza potrebbe infatti legittimamente decidere che, in un certo caso, la volontà di Dio per me consiste in un atto in cui io trasgredisco uno dei suoi comandamenti. "Non commettere adulterio" sarebbe visto appena come una norma generale. Qua e ora, e date le mie buone intenzioni, commettere adulterio sarebbe ciò che Dio realmente richiede da me. In questi termini, casi di adulterio virtuoso, di omicidio legale e di spergiuro obbligatorio sarebbero quanto meno ipotizzabili.

Questo significherebbe concepire la coscienza come una facoltà per decidere autonomamente a riguardo del bene e del male e la legge di Dio come un fardello che è arbitrariamente imposto e che potrebbe a un certo punto essere opposto alla nostra vera felicità.

Però, la coscienza non decide del bene e del male. L’idea di "decisione di coscienza" è ingannevole. L’atto proprio della coscienza è di giudicare e non di decidere. Essa dice, "questo è bene", "questo è cattivo". Questa bontà o cattiveria non dipende da essa. Essa accetta e riconosce la bontà o cattiveria di un’azione e per fare ciò, cioè per giudicare, la coscienza necessita di criteri; essa è interamente dipendente dalla verità.

I comandamenti di Dio sono un gradito aiuto offerto alla coscienza per cogliere la verità e così giudicare secondo verità. I comandamenti di Dio sono espressione della verità sul bene, sul nostro essere più profondo, dischiudendo qualcosa di cruciale a riguardo di come vivere bene.

Anche Papa Francesco si esprime negli stessi termini in "Amoris laetitia" n. 295: "Anche la legge è dono di Dio che indica la strada, dono per tutti senza eccezione".








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