di Giuseppe Gracia*
Una volta, i documenti ecclesiastici erano piuttosto bellicosi. Facevano da duro contrappunto ai falsi profeti che accarezzano le orecchie e cullano l’anima mentre questa sprofonda ignara nell’abisso. Di fronte ai ricorrenti pericoli del mondo, la Chiesa amava parlare chiaro, senza quella lirica sentimentale che sembra fatta per la scolaresca d'una classe speciale. Ma ora questo è cambiato. Adesso la Chiesa vuole prendere in più seria considerazione le realtà correnti della vita. E vuole usare un nuovo linguaggio che non giudichi né escluda nessuno.
È lo stesso documento del sinodo dei vescovi che ce ne dà la dimostrazione pratica. Ad esempio, l’esortazione a convertirsi e a non più peccare passa in secondo piano. Invece si parla piuttosto di "crescita", la nostra crescita. Si parla di "maturazione", la nostra maturazione. La Chiesa preferisce "accompagnarci" in questo processo di maturazione, piuttosto che rimproverarci. Vuole aiutarci gentilmente a "discernere".
Questo modo di esprimersi gode di un‘ottima reputazione nel clima dominante nella Chiesa. Paradiso e inferno? Meglio parlare di "immagini di riconciliazione e di timore". Il bene e il male? Il peccato oggettivo? No, meglio parlare di una "realizzazione graduale" dell‘ideale. Si tratta di un linguaggio politicamente corretto che non deve spaventare inutilmente gli agnelli. Ma davvero la Chiesa ci prende sul serio, quando ricorre a questo tipo di svolta linguistica? Ci considera uomini moderni e illuminati?
Per Immanuel Kant l’Illuminismo significava "la fuoruscita dell'uomo dall'immaturità che lui stesso si era imposta". E oggi, tanti si considerano maturi e illuminati. Ma questa realtà psicologica ha già raggiunto la Chiesa? Probabilmente no, se si preferiscono espressioni come "crescita" e "maturazione". Poiché se uno è in fase di crescita non è ancora un adulto. E solo l'immaturità ha bisogno di maturazione.
Naturalmente noi tutti dobbiamo in qualche modo crescere e maturare. Ma allora ciò si applica anche agli uomini della gerarchia ecclesiastica. Solo che questi non sembrano considerare loro stessi a pari livello con noi, poiché essi già sanno, appunto, in che direzione noi ancora dobbiamo maturare. In sostanza, la Chiesa ci dice con il suo nuovo linguaggio: "Noi vi aiutiamo a diventare adulti e maturi. Così adulti e maturi come già siamo noi, i vostri pastori".
Ma si può realmente parlare così, se si ha veramente capito la postmodernità e se si è in cerca di nuove vie per un annuncio del Vangelo che sia adeguato al nostro tempo? La Chiesa vuole più apertura al mondo e più vicinanza alle realtà della vita. Ma questo zucchero filato pastorale che la Chiesa ora ci offre non può nascondere il fatto che essa non prende sul serio l’uomo contemporaneo.
Accade piuttosto che essa gli parli con condiscendenza "dall’alto". Forse questo è inevitabile, quando si annuncia una verità divina che è più grande dell’essere umano e quindi viene sempre "dall‘alto". Ma allora, la Chiesa dovrebbe dirlo apertamente, invece che giocare – o fingere di giocare – a chi sa tutto. Chi vuol essere preso sul serio non raggiunge questo obiettivo se agisce come il pedagogo di una classe speciale, ma solo se lui stesso prende sul serio gli altri. Deve capire l’autocoscienza e l'autocomprensione degli illuministi contemporanei.
Gli illuministi di oggi non si sentono particolarmente colpevoli. Non sono alla disperata ricerca di una forma di misericordia che la Chiesa gli avrebbe rifiutato così a lungo. Se non vuole semplicemente essere lasciato in pace, l`individuo moderno si aspetta da parte della Chiesa nient'altro che una specie un’approvazione morale per il suo stile di vita e per le norme considerate buone dalla cultura predominante.
La maggior parte delle persone che io conosco si considerano critiche della religione, abbastanza ben informate e piuttosto indipendenti, certo non scolari immaturi col bisogno di crescere. La soffice terapia universale e la non giudicante "educazione speciale" non sono affatto segni di una crescita della conoscenza della realtà, che la Chiesa avrebbe oggi finalmente raggiunto. Non sono segni di un'apertura, ma piuttosto di infantilismo. Sembra che ci vogliano prendere per mano come dei bambini, affinché possiamo crescere e maturare. Puro paternalismo.
La vecchia condotta della Chiesa era a questo riguardo più onesta. Con le sue parole chiare, ci prendeva sul serio. Nell'Antico Testamento, nel libro del Deuteronomio, leggiamo nel capitolo 30, 19: "Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza".
Questo non è paternalismo. Siamo invece presi sul serio, posti davanti a una chiara alternativa: benedizione o maledizione, vita o morte. Siamo trattati come persone responsabili, siamo messi davanti a una scelta. Ci è attribuito il grado di maturità necessario per poter discernere tra il bene ed il male, come Gesù nel Vangelo di Matteo 5, 37 che proclama: " Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no. Il di più viene dal maligno."
Quando un sinodo a Roma, con più di 270 vescovi e cardinali e dopo settimane di lavoro intenso, sull'arco di due anni, ci presenta alla fine il suo documento di consenso, è comprensibile che non può approfondire la comprensione di tutte le questioni e presentarle in una forma particolarmente chiara.
Ma dopo aver distribuito su larga scala e in tutto il mondo due sondaggi riguardanti il matrimonio e la famiglia, con l'aiuto dei quali si voleva ascoltare l’opinione del popolo di Dio, è davvero deludente che lo scopo principale del sinodo sia stato mancato.
Si voleva capire meglio la realtà della vita, nella quale tante famiglie vivono oggi, nella quale amano, lavorano e lottano. Si voleva capire meglio la modernità, per poter meglio rispondere a tali realtà. Invece, duecento anni dopo Kant, siamo ricaduti a prima dell’autocoscienza e dell'autocomprensione dell’Illuminismo, per essere rimessi invece sotto tutela paternalistica, in un modo che Gesù mai ha accettato. Che peccato!
* E' il portavoce per i media del vescovo di Coira, Vitus Huonder, ma qui scrive a titolo personale da esperto in comunicazione, analizza il linguaggio adottato nella "Relatio finalis" del sinodo dello scorso ottobre.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/ 06/11/2015
Nessun commento:
Posta un commento