lunedì 16 novembre 2015

Dio è misericordioso ma è anche giusto. Ce lo ricorda S. Alfonso M. de' Liguori





Si ha nella parabola della zizania in S. Matteo (cap. 13) che essendo cresciuta in un campo la zizania insieme col grano, volevano i servi andare ad estirparla: “Vis, imus, et colligimus ea?” Ma il padrone rispose: No, lasciatela crescere, e poi si raccoglierà e si manderà al fuoco: “In tempore messis dicam messoribus, colligite primum zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum”. Da questa parabola si ricava per una parte la pazienza che il Signore usa co’ peccatori; e per l’altra il rigore che usa cogli ostinati. Dice S. Agostino che in due modi il demonio inganna gli uomini: “Desperando, et sperando”. Dopo che il peccatore ha peccato, lo tenta a disperarsi col terrore della divina giustizia; ma prima di peccare, l’anima al peccato colla speranza della divina misericordia. Perciò il santo avverte ad ognuno: “Post peccatum spera misericordiam; ante peccatum pertimesce iustitiam”. Sì, perché non merita misericordia chi si serve della misericordia di Dio per offenderlo. La misericordia si usa con chi teme Dio, non con chi si avvale di quella per non temerlo. Chi offende la giustizia, dice l’Abulense, può ricorrere alla misericordia, ma chi offende la stessa misericordia, a chi ricorrerà?
Difficilmente si trova peccatore sì disperato, che voglia proprio dannarsi. I peccatori vogliono peccare, senza perdere la speranza di salvarsi. Peccano e dicono: Dio è di misericordia; farò questo peccato, e poi me lo confesserò. “Bonus est Deus, faciam quod mihi placet”, ecco come parlano i peccatori, scrive S. Agostino (Tract. 33. in Io.). Ma oh Dio così ancora dicevano tanti, che ora sono già dannati.

Non dire, dice il Signore: Sono grandi le misericordie che usa Dio; per quanti peccati farò, con un atto di dolore sarò perdonato. “Et ne dicas: miseratio Domini magna est, multitudinis peccatorum meorum miserebitur” (Eccli. 5. 6). Nol dire, dice Dio; e perché? “Misericordia enim, et ira ab illo cito proximant, et in peccatores respicit ira illius” (Ibid.). La misericordia di Dio è infinita, ma gli atti di questa misericordia (che sono le miserazioni) sono finiti. Dio è misericordioso ma è anche giusto. “Ego sum iustus, et misericors”, disse il Signore un giorno a S. Brigida; “peccatores tantum misericordem me existimant”. I peccatori, scrive S. Basilio, vogliono considerare Dio solo per metà: “Bonus est Dominus, sed etiam iustus; nolite Deum ex dimidia parte cogitare”. Il sopportare chi si serve della misericordia di Dio per più offenderlo, diceva il P.M. Avila che non sarebbe misericordia, ma mancamento di giustizia. La misericordia sta promessa a chi teme Dio, non già a chi se ne abusa. “Et misericordia eius timentibus eum”, come cantò la divina Madre. Agli ostinati sta minacciata la giustizia; e siccome (dice S. Agostino) Dio non mentisce nelle promesse; così non mentisce ancora nelle minacce: “Qui verus est in promittendo, verus est in minando”.

Guardati, dice S. Gio. Grisostomo, quando il demonio (ma non Dio) ti promette la divina misericordia, affinché pecchi; “Cave ne unquam canem illum suscipias, qui misericordiam Dei pollicetur” (Hom. 50. ad Pop. Antioch.). Guai, soggiunge S. Agostino, a chi spera per peccare: “Sperat, ut peccet; vae a perversa spe” (In Ps. 144). Oh quanti ne ha ingannati e fatti perdere, dice il santo, questa vana speranza. “Dinumerari non possunt, quantos haec inanis spei umbra deceperit”. Povero chi s’abusa della pietà di Dio, per più oltraggiarlo!

Dice S. Bernardo che Lucifero perciò fu così presto castigato da Dio, perché si ribellò sperando di non riceverne castigo. Il re Manasse fu peccatore, poi si convertì, e Dio lo perdonò; Ammone suo figlio, vedendo il padre così facilmente perdonato, si diede alla mala vita colla speranza del perdono; ma per Ammone non vi fu misericordia. Perciò ancora dice S. Gio. Grisostomo che Giuda si perdé, perché peccò fidato alla benignità di Gesu-Cristo: “Fidit in lenitate magistri”. In somma Dio, se sopporta, non sopporta sempre. Se fosse che Dio sempre sopportasse, niuno si dannerebbe; ma la sentenza più comune è che la maggior parte anche de’ cristiani (parlando degli adulti) si danna: “Lata porta et spatiosa via est, quae ducit ad perditionem, et multi intrant per eam” (Matth. 7. 13).
Chi offende Dio colla speranza del perdono, “irrisor est non poenitens”, dice S. Agostino. Ma all’incontro dice S. Paolo che Dio non si fa burlare: “Deus non irridetur” (Galat. 6. 7). Sarebbe un burlare Dio seguire ad offenderlo, sempre che si vuole, e poi andare al paradiso. “Quae enim seminaverit homo, haec et metet” (Ibid. 8). Chi semina peccati, non ha ragione di sperare altro che castigo ed inferno. La rete con cui il demonio strascina all’inferno quasi tutti quei cristiani che si dannano, è quest’inganno, col quale loro dice: Peccate liberamente, perché con tutt’i peccati vi salverete. Ma Dio maledice chi pecca colla speranza del perdono. “Maledictus homo qui peccat in spe”. La speranza del peccatore dopo il peccato, quando vi è pentimento, è cara a Dio, ma la speranza degli ostinati è l’abbominio di Dio: “Et spes illorum abominatio” (Iob. 11. 20). Una tale speranza irrita Dio a castigare, siccome irriterebbe il padrone quel servo che l’offendesse, perché il padrone è buono. (cfr. op. cit., Considerazione XVII – Abuso della divina misericordia, Punto I).

Fonte: S. Alfonso M. de’ Liguori, Apparecchio alla Morte cioè Considerazioni sulle Massime Eterne Utili a tutti per meditare, ed a’ sacerdoti per predicare, in “OPERE ASCETICHE” Vol. IX, CSSR, Roma 1965
 
 
 

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