02/11/2015
Dall'arcivescovo di Torino invita a mantenere la morte nella dimensione della condivisione, con la sepoltura nei cimiteri, senza cedere alla sua «commercializzazione».
La parola cimitero significa letteralmente “dormitorio”: la sua introduzione segna il passaggio dalla cultura pagana delle necropoli (“città dei morti”) alla visione cristiana che invece coglie nella morte un momento di passaggio, un transito verso una dimensione di pienezza e comunione con Dio. Dei cimiteri, che per i credenti sono luoghi di dolore ma non di disperazione, l'arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, ha difeso il valore sacrale contro la tendenza sempre più diffusa alla «privatizzazione» e alla «commercializzazione» della morte.
Durante la Messa per i defunti, celebrata sotto la grande croce del cimitero Parco (uno dei campisanti cittadini), il presule si è espresso contro alcune pratiche che stanno prendendo piede nel nostro Paese: ad esempio la dispersione delle ceneri o la conservazione in casa delle urne. «Il cimitero» ha osservato monsignor Nosiglia «è luogo della memoria e della comunione dei vivi non solo con i propri defunti ma con tutti quelli che formano, uniti dalla stessa fede, la Chiesa pellegrina sulla terra e la Chiesa che vive già la pienezza della gloria nel cielo». La visita al camposanto, proprio perché vissuta in una dimensione comunitaria, può diventare occasione di conforto e di speranza, un momento «per pregare, ricordare, confermare la fede nella risurrezione e l’amore verso i nostri cari».
Non solo. Secondo l'arcivescovo il desiderio di “possedere” in casa propria le ceneri dei defunti può nascondere un rischio sottile, che è la non accettazione (anche sul piano psicologico) del distacco. «Quando un nostro caro muore, bisogna accettare la separazione. Il cimitero aiuta questo processo perché è un luogo di comunione con gli altri. Tenere le ceneri in casa fa perdere una ricchezza grande». La morte, ha sottolineato monsignor Nosiglia, non è solo un fatto privato. C'è poi un ulteriore rischio, ha osservato ancora l'arcivescovo di Torino: che la preghiera venga progressivamente estromessa, che alle chiese si sostituiscano le sale del commiato e che, in una logica di commercializzazione del lutto, le esequie cristiane si riducano a momento non più necessario, magari sostituito con qualche “rito” organizzato dalle agenzie funebri : «Io penso che in questo modo ci sia pericolo di andare verso la superstizione, mentre serve la preghiera». Da qui l'appello ai sacerdoti perché visitino le sale del commiato e alle comunità intere perché, anche attraverso l'impegno dei laici, costituiscano delle équipe in grado di assistere le persone colpite da un lutto.
Famiglia Cristiana 02/11/2015
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