Intervista a Anthony Esolen, fra i maggiori traduttori inglesi della Divina Commedia. «Si ama davvero una cosa quando si riconosce la sua natura e il suo fine ultimo».
di Benedetta Frigerio
«“Amor, ch’a nullo amato amar perdona”. È questa la menzogna su cui si fonda la recente sentenza della Corte Suprema americana». Spiegando il verdetto federale che ha fatto dei rapporti omosessuali un diritto costituzionale pari al matrimonio, Anthony Esolen, fra i traduttori inglesi più noti della Divina Commedia di Dante Alighieri e professore di letteratura inglese al Providence College di Rhode Island, non può che tornare «all’inganno antico di cui parla Francesca nel canto V dell’Inferno».
Professore, lei ha scritto che l’amore omosessuale «non è amore, ma odio». Cosa intende?
Ho ripreso un’espressione del poeta Edmund Spenser. Si tratta del falso amore esclamato da Francesca nell’Inferno: «Amor, ch’a nullo amato amar perdona», per cui al vero amore sarebbe impossibile resistere, deve per forza essere contraccambiato. Perché Francesca lo afferma? Perché vuole scaricare la sua responsabilità sulle circostanze («galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse»), negando che la natura umana ci rende esseri liberi dotati di ragione. Ma se si negano la ragione e la libertà, anche la differenza fra la passione, l’attrazione, l’istinto e l’amore scompare. L’amore, infatti, implica il riconoscimento di uno scopo a cui si può scegliere di aderire o meno: si ama davvero una cosa quando si riconosce la sua natura e il suo fine ultimo e lo si rispetta, usandola per il suo scopo. Allo stesso modo, si ama una persona quando si agevola il suo cammino verso la meta per cui è stato creato. Per questo un uomo che vuole sposare un uomo non lo ama, ma lo odia. La natura dell’uomo, infatti, ha il suo compimento nel rapporto con la donna. Persino la biologia dimostra che l’uomo e la donna sono fatti per unirsi e diventare una carne sola. Perciò, dicendo che quella omosessuale è un’attrazione irresistibile, si giustifica, come fa Francesca, il proprio egoismo narcisista usando l’altro secondo le proprie voglie. Al contrario, Beatrice si muove verso Dante non per portarlo a sé, ma per condurlo in Paradiso: a conoscere il suo Creatore, Colui per cui Dante è fatto e in cui solo può trovare la sua piena realizzazione.
Chi ci rimette in questa interpretazione dell’amore come forza irresistibile e irrazionale?
Come dice il Papa nell’enciclica Laudato si’, siamo abituati a guardare le cose come materia da manipolare a nostro piacimento. Parliamo dei bambini come fossero cose, fino a teorizzare che sia giusto usarli come strumenti da indottrinare al fine di cambiare le idee dei loro genitori e quindi della società bigotta. Se invece li guardassimo con onestà, ci accorgeremmo della loro innocenza, che ci avvicina al divino, da contemplare e da proteggere come un valore. E così, al posto di usarli, li serviremmo, sacrificando i nostri istinti in loro favore. Se non cerchiamo di conoscere, se non ci facciamo delle domande sull’essere e sul suo significato tradiamo, oltre che gli altri, la nostra stessa natura razionale trasformandoci in esseri capaci delle follie peggiori.
Lei ha scritto che oggi c’è confusione anche sul riconoscimento di ciò che è evidente e questo perché abbiamo perso la capacità di usare la coscienza. Cosa intende?
La rivoluzione sessuale ci ha convinti che importa solo quello che vuole il soggetto, indipendentemente dal discernimento sulla bontà del suo desiderio e sulle conseguenze che ha sugli altri. Così la Corte Suprema, schiava di un concetto astratto di amore e di diritto, ha emesso una sentenza in cui l’amore concreto, il diritto naturale e il bene comune sono soppiantati dal potere dei giudici e dall’individualismo.
Perché l’uomo non usa più la ragione per conoscere la realtà?
La ragione non viene più usata perché manca un’educazione, un allenamento alla bellezza. Siamo facilmente ingannati dai media e finiamo per accontentarci. Abbiamo perso la capacità di immaginare, come dice C. S. Lewis che spiegava che se la ragione è l’organo della verità, l’immaginazione è quello del significato. In altre parole, non riusciamo a comprendere il vero significato di una parola, “amore”, senza un’immagine collegata ad essa. Il mondo ci fornisce immagini dell’amore riduttive. Per questo il potere odia la tradizione che, al contrario, ci fornisce immagini alte. Abbiamo sostituito Shakespeare con una svilente educazione sessuale.
Basta Shakespeare?
Ci credo perché l’ho visto con i miei studenti. Mi spiego con un esempio: i personaggi femminili di Shakespeare sono così puri, pieni di grazia e belli da suscitare ammirazione in chi legge. Lo stesso accade di fronte all’amore vissuto e descritto da tanti altri poeti e letterati. I giovani desiderano ancora l’amore vero, ma non lo sanno finché non scoprono cos’è. Finché, come dice appunto Lewis, non hanno davanti un’immagine che esemplifichi che cosa significhi adorare e rispettare l’amato. Ho visto giovani ispirati dalla letteratura e dalla poesia.
Basta davvero solo un libro?
Certamente, se i giovani non incontrano persone che incarnano l’amore vero faranno più fatica a convincersi che sia ancora possibile amarsi così. Per questo bisogna continuare a dire la verità sull’amore e, nello stesso tempo, occorre viverla. Noi cristiani dobbiamo cambiare. E fare, come i primi di noi, che non divorziavano, che non uccidevano i loro figli, che soccorrevano i deboli e gli anziani. In una parola dobbiamo amarci davvero. I pagani vedendoli si convertivano. Sarà una lotta non senza travaglio, perché veniamo da oltre cinquant’anni di diseducazione.
© Tempi (29/07/2015)
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