Il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti spiega la Sacrosanctum Concilium
Per la seconda volta in pochi mesi, il Prof. Andrea Grillo ha scritto sul suo blog dei commenti non troppo lusinghieri sul mio conto. In un post del 6 marzo scorso[1], sin dal titolo mi accusava di «sfigurare il Vaticano II». Nel testo, poi, commentava un passaggio di una mia intervista, parlando di «“monstruum” logico e pastorale» e dicendo che, con le mie parole, mi esponevo al «ridicolo», operavo una «mistificazione» e commettevo «un errore irrimediabile», per tacere del resto. Verso la fine, egli mi accusa di quell’autoreferenzialità giustamente stigmatizzata da Papa Francesco, equiparandomi a quegli «esponenti di Curia privi di senso della realtà e di vero contatto con le comunità vive», i quali «vivendo sempre negli uffici di curia [...] si immaginano una Chiesa che non c’è e trascurano quella che c’è». Non commenterò le precedenti espressioni, ma circa queste ultime voglio ricordare che sono stato ordinato sacerdote nel 1969 e, dieci anni dopo, vescovo. Dal 1979 al 2001 sono stato vescovo nella mia Guinea, affrontando la vita pastorale ordinaria e tante situazioni “straordinarie”. Solo nel 2001 sono arrivato in Curia. Credo di poter dire di avere un po’ di conoscenza della Chiesa «che c’è». Non posso garantire lo stesso per tutti e singoli gli accademici, anche se la maggior parte di loro riesce ad unire in modo armonico lo studio e la vita ecclesiale.
Un secondo post il Prof. Grillo me lo ha dedicato lo scorso 16 giugno. Esso reca lo strabiliante titolo: «L’analfabetismo conciliare del Cardinal Sarah»[2]. In esso, il liturgista mi critica duramente per un articolo da me pubblicato su L’Osservatore Romano il 12 giugno 2015, dal titolo: «Silenziosa azione del cuore».
Leggendo il titolo del post del Prof. Grillo, avrei dovuto preoccuparmi: sono davvero analfabeta riguardo al Concilio, o almeno circa il suo insegnamento liturgico? Se così fosse, sarebbe grave e dovrei porre immediatamente rimedio, magari andando a «scuola di Concilio» da qualche specialista che dà lezioni private!
Ma sono rimasto confortato da due riflessioni. La prima, su cui tornerò subito, è che le accuse che mi vengono rivolte dal Prof. Grillo non si giustificano in base al vero contenuto del mio articolo. La seconda è che, se sono analfabeta, sono in buona compagnia, dato che la mia interpretazione di Sacrosanctum Concilium coincide con quella di numerosi altri autori, non di scarso rilievo, e alcuni di essi importantissimi. Cosa ancor più importante, la mia interpretazione legge il Concilio alla luce del Magistero post-conciliare.
Ma consideriamo, seppur molto brevemente e senza entrare nei dettagli, ciò che il Prof. Grillo scrive circa il mio articolo, anche se – a dire il vero – dovrei dire: ciò che scrive su di me. L’autore afferma di volermi rivolgere quattro domande, mentre in realtà vengo messo sul banco degli imputati, dovendo sopportare una requisitoria al termine della quale la condanna è, come era prevedibile sin dall’inizio, dura e certa.
Inoltre, anche le accuse in fondo si riducono ad una sola, che ricorre più volte lungo tutto il testo: per il Prof. Grillo, sarebbe una mia grave colpa aver citato Redemptionis Sacramentumn. 42, con quel suo richiamo ad utilizzare con cautela l’espressione «comunità celebrante». Evito di documentare di nuovo l’inopportunità del linguaggio che viene utilizzato nei miei confronti, come e ancor più che nel primo dei due post. Mi soffermo sull’essenziale e faccio notare al Prof. Grillo che Redemptionis Sacramentum viene citata una sola volta, mentre Sacrosanctum Concilium tredici.
E non parlano solo i numeri: anche il tema dell’espressione «comunità celebrante» viene toccato una sola volta e non rappresenta affatto il punto centrale del mio articolo, bensì un’applicazione all’interno di un discorso di ben più ampio respiro. D’altro canto, è chiaro che io sono d’accordo con quella precisazione offerta dall’Istruzione, mentre è ugualmente evidente che il Prof. Grillo non lo è.
Ma questa differenza di vedute giustifica il tipo di intervento che egli ha pubblicato? Il Professore dice che la mia ermeneutica del Concilio è completamente errata e che, più che la Costituzione del Vaticano II, sembra che io abbia letto la Mediator Dei di Pio XII (tra l’altro, mai citata nel mio articolo).
Il Prof. Grillo rivendica la libertà del teologo di criticare la mia «leggerezza di analisi e di giudizio» e di «portare alla luce tutte le lacune».
La conclusione del suo post conferma in termini ancora più drastici questa rivendicazione. Il Professore scrive: «Un Prefetto che voglia davvero servire un’autentica attuazione del Vaticano II, non scriverebbe mai neppure una riga di quanto è apparso con la sua firma. Questo è un fatto grave. Su cui un teologo, che voglia servire la Chiesa, non potrà mai tacere, in nessun caso».
Su questo voglio dire che non dubito della sincerità dei sentimenti del Prof. Grillo nel voler servire la Chiesa. Neanche contesto che, in linea di principio, uno dei compiti della teologia sia quello di criticare rappresentazioni parziali (quali non lo sono?), allo scopo di favorire una migliore comprensione e presentazione della verità rivelata. Obietto però sulle modalità con cui ciò è stato fatto.
Orazio insegna: est modus in rebus. E san Pietro rincara la dose quando, con parole che si riferiscono particolarmente bene al ministero dei teologi, dice: «adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo» (1Pt 3,15-16).
Il Prof. Grillo è naturalmente libero di criticarmi, se ritiene che io – come privato autore – sbagli. Egli però deve cambiare lo stile delle sue critiche, deve renderle davvero costruttive, vorrei dire persino edificanti, se ciò è concesso. Inoltre, quando critica, deve sforzarsi di cogliere nel segno: ossia di criticare un vero errore, se c’è; non di creare un discorso che non è stato fatto, per poi scagliarsi a capofitto contro la sua stessa creatura, la cui paternità egli però attribuisce al suo accusato.
Una parola conclusiva sul motivo di questo mio intervento. In Italia si dice: “non c’è due, senza tre”. Siccome il Prof. Grillo mi ha già dedicato due post, probabilmente devo aspettarmene altri. Forse devo aspettarmi un post ogni volta che apro bocca o scrivo qualcosa. Voglio dire chiaramente che, sebbene possano dispiacere, questo genere di interventi non mi intimidisce.
Continuerò a riflettere e a parlare, o scrivere, sulla sacra liturgia secondo ciò che la mia intelligenza e coscienza mi fanno comprendere essere vero e degno di essere trasmesso agli altri. Continuerò ad obbedire al Santo Padre, come ho sempre fatto. E il Papa Francesco, come ho avuto modo di dire altrove, nel nominarmi Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, mi ha conferito mandato di continuare l’attuazione del Concilio, seguendo la strada aperta da Papa Benedetto XVI. Questo intendo fare, con l’aiuto di Dio, degli officiali e consultori della Congregazione e dei liturgisti che desiderano dare un contributo positivo.
Scrivendo questo testo, non ho inteso difendermi, anche se sono stato attaccato. Ho invece voluto difendere il diritto di avere una visione giusta e fedele al Magistero della Chiesa, nonostante sia diversa da quella di uno o più liturgisti.
Non voglio proteggere o «regolarizzare», come afferma il Prof. Grillo, «chi non vuole stare al gioco del Concilio Vaticano II». Voglio invece dire che non è affatto sicuro che ciò che il Professore chiama «Concilio Vaticano II» coincida davvero con ciò che il Concilio ha insegnato.
Tanti nella Chiesa si ritrovano nella visione liturgica che ho solo brevemente abbozzato nel mio articolo apparso su L’Osservatore Romano. Non è vero che sono pochi, come spesso si sente dire! È la libertà di espressione mia e di queste persone che ho ritenuto soprattutto di dover contribuire a garantire. Il dibattito è cosa buona.
Perché ci sia dibattito, bisogna avere la capacità di confrontarsi serenamente con idee diverse dalle proprie. Io sarò sempre aperto ad ascoltare e a ragionare pacatamente con tutti. Ma è necessario difendere la libertà di leggere il Concilio come un fenomeno nuovo e al tempo stesso pienamente inserito nella continuità dell’unico Soggetto Chiesa.
Bisogna garantire la libertà di pensare ed esprimersi in questo senso, sapendo ovviamente argomentare ciò che si dice (argomentare e attaccare non sono la stessa cosa). È oggi divenuto un dovere difendere questa libertà di pensiero e di parola da chi vuole negarla, affermando che l’unica lettura adeguata del Vaticano II è quella da lui proposta.
È per contribuire a garantire la possibilità di essere, di pensare e di parlare oggi, come uomini e donne della Chiesa del Vaticano II, che è la stessa Chiesa di sempre voluta dal Signore, che ho deciso di scrivere e che continuerò a farlo. Ringrazio chi vorrà leggere questa mia risposta e annuncio sin d’ora che non ve ne saranno altre, anche se dovessero continuare critiche scomposte nei miei riguardi. Sarà sufficiente questo testo e quanto continuerò a pubblicare in futuro, in spirito positivo e propositivo.
* Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti
*
NOTE
[1] Cf. http://www.cittadellaeditrice.com/munera/signor-cardinale-che-bisogno-ha-di-sfigurare-il-vaticano-ii-il-prefetto-sarah-e-la-pace-liturgica/
[2] Cf. http://www.cittadellaeditrice.com/munera/lanalfabetismo-conciliare-del-cardinal-sarah-quattro-domande-di-un-teologo-ad-un-prefetto/
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