di Giovanni Lugaresi
Ognuno nella vita segue, o per lo meno cerca di farlo, la sua vocazione, fra le quali esiste (anche) il sacerdozio. Non è stata la mia. Nel caso lo fosse stata avrei cercato certamente di fare il mio dovere, esercitando il ministero non come un mestiere, una professione, bensì come una missione, cioè, in primis, di portare con orgoglio e di onorare la “divisa” del prete, che era e resta (non mi risulta sia stata abolita) la veste talare.
Mi sovviene che indossava quella “divisa” il mio concittadino don Giovanni Minzoni, medaglia d’argento al valor militare nella Grande Guerra, quando venne ucciso dai fascisti il 23 agosto 1923 ad Argenta, dove era parroco, e che ugualmente la indossavano il seminarista Rolando Rivi e don Umberto Pessina quando restarono vittime dell’odio dei partigiani comunisti nell’Emilia insanguinata della e dalla guerra civile.
Ancora, ricordo che quella tale veste talare non la smise mai don Primo Mazzolari. E quando incontrai don Piero Piazza, suo successore nella parrocchia di Bozzolo nei primi anni Novanta del secolo scorso, alla mia domanda-considerazione scherzosa: ma don Piero, non indossa il clergyman?; la risposta fu: questa veste talare me l’ha abbottonata don Primo sull’altare quando venni ordinato sacerdote e io non l’ho mai abbandonata…
Romanticherie clericali – potrà dire qualcuno ligio al detto che l’abito non fa il monaco, ma al quale si potrà sempre rispondere che se non fa il monaco, certamente potrebbe aiutare a farlo!!!…
Ora, queste figure di sacerdoti, ma potrei ovviamente indicarne altre, mi sono venute alla mente considerando l’anarchia esistente fra i preti, e non soltanto ovviamente per quel che riguarda quello che un tempo veniva definitivo il decoro dell’abito.
Se ne vedono di tutti i colori, evidentemente con licenza del vescovo o del superiore dell’ordine religioso di appartenenza, se così vanno le cose: se la disciplina non esiste più, le regole si possono eludere senza alcun problema.
Vestono come metalmeccanici (con tutto il rispetto per quei lavoratori, sia chiaro), o come fighetti borghesi (senza rispetto per i fighetti medesimi), spessissimo senza avere un segno distintivo che li qualifichi, e se c’è, comunque (una crocetta, meglio una TAU che va tanto di moda) poco visibile.
La sensazione diffusa è che si vergognino di indossare abiti da… prete.
L’ultima è di sere fa, vista in un telegiornale regionale – veneto. Un servizio su un carcere e due parole dette da un giovanotto che si è scoperto essere cappellano del carcere medesimo; visto dalla cintola in su (non si sa quindi se indossasse braghe corte o pantaloni lunghi): sgargiante maglietta alla moda, a strisce orizzontali bianche e rosse, su un lato una patacca, un ricamo, non si distingueva bene; di certo non era una croce!!! In compenso. Maggiore sobrietà nel vestire dimostravano i detenuti inquadrati…
Avanti così… Potranno atei, musulmani e altri di varia estrazione avere stima di una Chiesa cattolica in cui ministri già dal vestire dimostrano di volersi… mimetizzare e non apparire per quello che sono?
Meditate, preti, meditate. E voi vescovi che fate? Non vi muovete? A, già, dimenticavo che non volete noie. Anche in presenza di vostri preti che dal vestire alla liturgia ignorano quelle regole che pure il tanto citato Concilio Vaticano II non ha eliminato.
© Riscossa Cristiana (25/07/2015)
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