lunedì 13 luglio 2015

Cari vescovi, sulle convivenze diteci cosa pensate

       








 di Giuseppe Tires
 
Non so bene se si possa dire che i fedeli abbiano dei “diritti” nei confronti dei Pastori. Però mi sembra che i Pastori abbiano dei doveri nei confronti dei fedeli. Cioè di non lasciarli, nel campo della dottrina, da soli e sguarniti. Altrimenti cosa ci stanno a fare i Pastori? A questo proposito vorrei porre una domanda molto semplice, al limite della ingenuità: il contenuto della nota dei Nota vescovi italiani del 2007 vale ancora o no? Credo che i Pastori questo ce lo debbano dire. Oppure dicano: ci stiamo pensando. E allora aspetteremo tranquilli. Joseph Ratzinger diceva che una istituzione – qualsiasi essa sia – che oggi dice una cosa e domani un’altra si scredita da sola. Nel 2007 i vescovi italiani hanno insegnato una cosa. Ora molti dicono il contrario, vescovi compresi, e i vescovi non dicono niente. Cosa deve pensare il semplice fedele della Chiesa cattolica? 
 
Si potrebbe tirare in ballo l’ermeneutica della riforma nella continuità. É cambiato qualcosa nel frattempo? Ci dicano cosa è cambiato, non sul piano della prassi che di per sé non dice nulla di normativo, ma sul piano della dottrina. Ci dicano cosa sia da tenere della Nota del 2007 e cosa da rivedere. Oppure ci dicano che questo lavoro di revisione secondo l’ermeneutica della riforma nella continuità è cosa lunga e complessa. Può essere anche così. Da cinquant’anni si riflette su cosa rimane e cosa è cambiato col Vaticano II rispetto alla dottrina e alla prassi precedente, si può capire che ci sia bisogno di tempo anche per questa cosa, nonostante la sua piccolezza se paragonata al Concilio. In ogni caso: che ci dicano qualcosa.
 
La Nota del 2007 era chiara su due punti: la convivenze non possono essere riconosciute giuridicamente, eventuali soluzioni pratiche per la tutela di diritti vanno cercate nel diritto individuale. Ora ci troviamo davanti al disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, comprese quelle tra omosessuali. Nel mondo cattolico, vescovi compresi, c’è chi dice che si può arrivare a un compromesso. Mi chiedo: quale compromesso se la Nota del 2007 vietava ogni riconoscimento di ogni convivenza? Qualche altro dice che nelle convivenze c’è comunque un apporto al bene comune mediante la presa in cura reciproca. Ma allora perché la Nota del 2007 condannava le convivenze? Allora non contenevano elementi di bene comune? Ci dicano i vescovi: si può costruire il bene comune nel rifiuto dell’ordine della Creazione, espressione alta per dire la legge morale naturale? O un ordine della Creazione non c’è? Dobbiamo ridurre il concetto cattolico di bene comune per far posto alle convivenze? Quando in Francia fu approvata la legge Veil che permetteva l’aborto, il vescovo di Orléans, che come leader morale guidava allora una Conferenza episcopale piuttosto disorientata, disse che la Chiesa doveva rimanere neutrale perché non sembrasse poi che aveva mancato di compassione per la sofferenza delle donne. Dobbiamo, ora, rimanere neutrali per non essere accusati di non essere compassionevoli con i conviventi o gli omosessuali?
 
Qualche altro gioca sulla questione dei diritti individuali. A mio avviso, anche in questo caso, le cose sono semplici. Quando un cosiddetto diritto individuale scatta per il fatto che uno è unito a un'altra o a un altro, quel diritto non è più individuale, ma viene esercitato in quanto si fa parte di una coppia. Comporta, cioè, il riconoscimento, a qualche livello, della convivenza. Se io, membro di una coppia di fatto, delego formalmente Tizio per sostituirmi ai colloqui scolastici con mio figlio trattasi di diritto individuale, ma se a Tizio viene riconosciuto questo diritto non su mia delega ma perché fa coppia con me non siamo più nel diritto privato.  Non credo che le Note dei vescovi vengano granché ascoltate. Ma la Chiesa parla non per essere ascoltata, ma per annunciare la verità. 
 
Nel 2008, quindi subito dopo la Nota suddetta, “Aggiornamenti sociali” pubblicò la conclusione di una ricerca di una commissione bioetica messa in piedi dalla rivista che diceva allora quanto oggi dicono in molti. La convivenza, anche tra omosessuali, è una dimensione di affetto e cura reciproca che accresce il bene comune e quindi va contemplata e tutelata giuridicamente. Su questa base fu poi pubblicato il cosiddetto “Documento di Portogruaro”, elaborato negli ambienti del seminario della diocesi di Concordia-Pordenone che diceva le stesse cose. Sembravano, allora voci stonate.  Oggi quelle stesse cose le dicono molti vescovi e moltissimi cattolici sono pronti ad applicarle nei confronti del disegno di legge Cirinnà. Dico io: un povero peone della Chiesa cattolica ha diritto a un po’ di chiarezza o no?
 
L’altra questione di solito tirata in ballo è: «purché non vengano chiamate matrimonio», oppure «purché non possano essere scambiate con il matrimonio». Come per il gender dentro la legge sulla “Buona scuola” si canta vittoria per una circolare che verrà sistematicamente disattesa, qui si canta vittoria perché «non si chiama matrimonio». Non si chiama matrimonio ma lo è, e se non lo è lo sarà tra poco. L’adozione alle coppie omosessuali non si evita riconoscendo la coppia purché non si chiami matrimonio o non sia a esso equiparabile, ma negando valore alla coppia di fatto in quanto tale. Come aveva fatto la Nota del 2007 e come ora non fa quasi più nessuno. Il perché i vescovi dovrebbero dircelo. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La n B Q, 13-07-2015
 

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