martedì 2 settembre 2014

I cattolici sono ancora cattolici?




Dalla “Carta del Coraggio” degli scout cattolici, al modo di insegnare il catechismo, sono tanti i motivi che rendono lecita questa domanda



di Rita Bettaglio

E’ un po’ che ci penso. Più vado a Messa e osservo le persone intorno a me e sull’altare. Più leggo la cosiddetta stampa cattolica, più si fa largo nella mia mente un enorme interrogativo: questa gente a cosa crede?

Le persone che frequentano la Chiesa, quelle che svolgono varie mansioni nelle parrocchie, coloro che si dichiarano (in assoluta buona fede, ritengo) cattoliche cosa conoscono della propria fede? In cosa credono veramente? Tra queste persone, absit iniuria verbis, mi corre l’obbligo di inserire anche non pochi sacerdoti, perché le omelie che pronunciano non dipingono certo un quadro di chiarezza dottrinale.

La mia, non se ne voglia nessuno, non è una domanda oziosa o scaturita da un malcelato orgoglio spirituale. Non ritengo infatti di essere un campione della fede, ma un po’ di catechismo l’ho pur studiato e non riesco più a ritrovarlo nelle parole di numerosi pastori e di moltissimi laici come me. La tristissima (ma pur utile per scoprire finalmente il segreto di Pulcinella) vicenda della Carta del Coraggio, documento frutto del recente incontro nazionale di 30mila scout dell’Agesci a San Rossore, è emblematica. Che questi ragazzi tra i 14 e i 17 anni, che sono i futuri educatori delle prossime generazioni di scout cattolici (e sottolineo cattolici) considerino “famiglia” “qualunque nucleo di rapporti basati sull’amore e sul rispetto” non è un caso, non è un errore, una svista isolata: temo che leggendo quel documento non facciamo altro che avere il polso non di una, ma di molte associazioni d’ispirazione cattolica.

Cosa sanno della propria fede i molti (o pochi, secondo i punti di vista) che la domenica si mettono in fila per ricevere, rigorosamente sulla mano (che poco prima ne ha toccato almeno una decina di altre) la Comunione? Sanno e, se sanno, credono veramente che sia il Corpo di Cristo? Io non ricordo a memoria di aver sentito un sacerdote ricordare nell’omelia, anche per inciso, che la Comunione si può ricevere solo se si è in grazia di Dio e in alternativa, in attesa di una buona confessione, si può fare la Comunione spirituale.
Ma voi ne avete amici e conoscenti impegnati in parrocchia? Parlate mai con loro delle verità di fede? O li sentite mai parlarne? Qualcuno, parroco in testa, parla mai di vita eterna, di salvezza che viene solo da Dio Padre e dai meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore?


Se è vero, e noi cattolici lo crediamo fermamente, che solo in Cristo e nella Chiesa c’è salvezza, come possiamo lasciare beatamente i nostri fratelli nell’errore? Ci crediamo veramente? O meglio, i cattolici di oggi sanno cosa dicono di credere proclamandosi cattolici? Sanno che qualunque cosa capiti nella vita è destinata a passare, che la giustizia sociale non è ciò che Nostro Signore è venuto a portare sulla terra? Che la pace di Cristo non è quella del mondo e quest’ultima è auspicabile, sì, ma non è il valore assoluto? Che la felicità cui aspiriamo non è di questa terra, non è psicologica né materiale, ma è la beatitudine nel Regno dei Cieli, quella beatitudine verso cui saranno rapiti coloro che in questo mondo hanno saputo completare nel loro corpo ciò che manca alle sofferenze di Cristo? Che ci passeranno davanti i bambini down che per Dawkins è immorale far nascere?
Mio figlio, come tutti gli altri, ha frequentato il catechismo per 7 anni, dalla seconda elementare alla seconda media. Ha colorato decine di fotocopie, raccolto offerte per numerose iniziative benefiche, ma non gli sono state insegnate le verità di fede: niente preghiere, virtù teologali e cardinali, atti di fede, speranza e carità, opere di misericordia corporale e spirituale. Niente di tutto questo o molto poco e lasciato alla buona volontà di qualche catechista giurassica che ancora ritiene degni di fede gli articoli del Catechismo di San Pio X. Ad una riunione di catechiste, cui qualche anno fa ho partecipato per caso, ho appreso che alcune di loro erano convinte che tale catechismo fosse stato abolito e vietatissimo utilizzarlo in quanto contenente errori.
Non parliamo, poi, dei novissimi. Alzi la mano chi è nato dopo il ’60 e a catechismo ha imparato cosa siano i novissimi. Alzi la mano chi ne ha sentito parlare in parrocchia. Alzi anche i piedi chi ha sentito il proprio parroco ricordare che a vivere in certi modi si finisce all’inferno.

E allora come la mettiamo? Qui ognuno ha la propria, grande o piccola, fetta di responsabilità. Ognuno ha l’obbligo di trafficare i talenti avuto in uso. E trafficarli per salvare anime, non per creare il paradiso in terra. Di questi tentativi il mondo ne ha avuto già abbastanza.
Dobbiamo conoscere la nostra fede e trasmetterla, perché non è nostra: “noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” (2 Cor 4,7). Ma il tesoro l’abbiamo. Piaccia o no.
“Non facciamo il nostro apostolato. Se fosse nostro, che cosa potremmo dire? Facciamo l’apostolato di Cristo; come Dio lo vuole e come ce l’ha comandato: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo” (Mc 16, 15). “Gli errori sono nostri; i frutti del Signore” (San Josemaría Escrivá, Amici di Dio, n. 267).



Muniat intrantes

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