E la quarta è la più nuova: affidare l'accertamento della validità di un matrimonio direttamente al vescovo o a un suo delegato, in forma non giudiziale. Con l'arcivescovo di Milano sono ormai dieci i cardinali scesi in campo contro le tesi di Kasper-Bergoglio
di Sandro Magister
ROMA, 22 settembre 2014 – Col sinodo che si avvicina, lo scontro tra fautori del cambiamento e difensori della dottrina e della prassi bimillenaria della Chiesa cattolica in materia di matrimonio si fa sempre più acceso.
Lo scontro si combatte anche e soprattutto ai livelli più alti della gerarchia, tra cardinali di prima grandezza. In particolare sul dilemma tra il sì o il no alla comunione sacramentale per i cattolici divorziati e risposati civilmente.
I novatori hanno il loro agguerrito capofila nel cardinale e teologo tedesco Walter Kasper. Nessun altro cardinale si è finora schierato pubblicamente con lui in forma argomentata, cioè non con le grossolane battute di un Óscar Rodríguez Maradiaga. L'unico che gli ha promesso sostegno è stato il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco, il quale ha annunciato che porterà in sinodo un documento firmato dai vescovi tedeschi favorevoli al cambiamento.
Ma non è un mistero che dalla parte di Kasper c'è papa Francesco, il quale non ha mai detto pubblicamente e chiaramente quale sia il suo pensiero, ma l'ha fatto intuire già col semplice gesto di affidare proprio a Kasper la relazione introduttiva al concistoro dello scorso febbraio, prova generale del prossimo sinodo, e di "concordare" con lui – come rivelato dallo stesso Kasper – le proposte di cambiamento contenute nella relazione.
Viceversa, i cardinali che si sono pronunciati contro le tesi di Kasper e in difesa della dottrina e della prassi tradizionale sono numerosi e di spicco.
Cinque di questi lo hanno fatto per primi e a più riprese, da ultimo tutti assieme in un libro a più voci che sta per uscire negli Stati Uniti e in Italia. E sono i cardinali Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Velasio De Paolis e Carlo Caffarra.
Come loro sono inoltre intervenuti pubblicamente e in forma argomentata altri cinque cardinali: lo spagnolo Fernando Sebastián Aguilar, l'arcivescovo di Toronto Thomas Collins, l'australiano George Pell, prefetto in curia della neonata segreteria per l'economia, l'altro canadese Marc Ouellet, prefetto della congregazione per i vescovi, e l'arcivescovo di Milano Angelo Scola.
Pell si è pronunciato scrivendo la prefazione a un libro anch'esso di prossima uscita negli Stati Uniti e in Italia.
Mentre Ouellet e Scola sono intervenuti con due ampi saggi sull'ultimo numero dell'edizione nordamericana di "Communio", la rivista internazionale di teologia fondata nei primi anni Settanta da Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac e Joseph Ratzinger.
Di questi dieci cardinali, sei prenderanno parte al prossimo sinodo, per l'esattezza i cardinali Müller, Burke, Caffarra, Pell, Ouellet, Scola.
Ma nel sinodo siederanno anche altri cardinali sicuramente attestati in difesa della tradizione, come Péter Erdö, a cui è affidata la relazione generale, Timothy M. Dolan, Willem Jacobus Eijk, Christoph Schönborn, Angelo Amato, Mauro Piacenza, Elio Sgreccia, Angelo Bagnasco.
Quello che segue è un brano del saggio che il cardinale Scola ha pubblicato su "Communio" e ripubblicherà in forma abbreviata sul prossimo numero della rivista bolognese "Il Regno".
Di particolare interesse, nel brano, sono le proposte di soluzione date al problema della comunione ai divorziati risposati.
Sono quattro proposte fatte in piena continuità con la dottrina e la prassi tradizionale sul matrimonio, ma non prive di elementi innovativi. Che riguardano:
- la comunione spirituale o "di desiderio";
- il ricorso al sacramento della riconciliazione anche senza assoluzione;
- la continenza sessuale nel perdurare dell'unione civile;
- l'accertamento della validità o no di un matrimonio non solo ad opera dei tribunali diocesani o della Rota, ma anche con una più snella nuova procedura canonica non giudiziale, di competenza del vescovo del luogo.
Quest'ultima nuova procedura è proposta dal cardinale Scola in forma dettagliata. E si può prevedere che troverà nel sinodo largo ascolto.
Con la stessa intenzione di "semplificarne la procedura rendendola più snella" papa Francesco ha istituito lo scorso 27 agosto una commissione speciale per la riforma del processi matrimoniali canonici, con l'avvertenza di "salvaguardare il principio di indissolubilità del matrimonio".
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EUCARISTIA, RICONCILIAZIONE E DIVORZIATI RISPOSATI
di Angelo Scola
[…] Ciò che ho detto fin qui deve essere tenuto presente quando affrontiamo argomenti delicati che comportano una particolare sofferenza, come la questione dei divorziati risposati. A coloro che, dopo un fallimento della loro vita coniugale in comune, hanno stabilito un nuovo legame è vietato l'accesso ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia.
La Chiesa è accusata spesso di un mancanza di sensibilità e di comprensione riguardo al fenomeno dei divorziati risposati, senza riflettere attentamente sulle ragioni della sua posizione, che essa sa fondata sulla rivelazione divina. Qui si tratta però non di un'azione arbitraria del magistero della Chiesa, ma piuttosto della consapevolezza del legame inscindibile che unisce l’eucaristia e il matrimonio.
Alla luce di questa relazione intrinseca, bisogna dire che ciò che impedisce l'accesso alla riconciliazione sacramentale e all’eucaristia non è un singolo peccato, che può sempre essere perdonato quando la persona si pente e chiede perdono a Dio. Ciò che rende l'accesso a questi sacramenti impossibile è, piuttosto, lo stato, la condizione di vita, in cui si trovano coloro che hanno stabilito un nuovo legame: uno stato che di per sé contraddice ciò che è significato dal legame tra l’eucaristia e il matrimonio.
Questa è una condizione che deve essere modificata per poter corrispondere a ciò che viene realizzato in questi due sacramenti. La non ammissione alla comunione eucaristica invita queste persone, senza negare i dolori e le ferite che subiscono, a mettersi in cammino verso una piena comunione che si realizzerà nei tempi e nei modi determinati alla luce della volontà di Dio.
Al di là delle varie interpretazioni della prassi della Chiesa primitiva, che ancora non sembrano dare prova di comportamenti sostanzialmente diversi da quelle di oggi, il fatto che essa ha sempre più sviluppato la consapevolezza del legame fondamentale tra l’eucaristia e il matrimonio segnala l'esito di un percorso compiuto sotto la guida dello Spirito Santo, più o meno come hanno preso forma nel tempo tutti i sacramenti della Chiesa e la loro disciplina.
Così si capisce perché sia la "Familiaris consortio" sia la "Sacramentum caritatis" hanno confermato "la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10, 2-12), di non ammettere ai sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell'eucaristia" (SC, 29).
In questa prospettiva dobbiamo sottolineare due elementi che devono essere studiati in modo più approfondito. Certamente l’eucaristia, in determinate situazioni, contiene un aspetto di perdono; tuttavia non è un sacramento di guarigione. La grazia del mistero eucaristico realizza l'unità della Chiesa come Sposa e Corpo di Cristo, e questo richiede nella persona che riceve la comunione sacramentale la possibilità oggettiva di lasciarsi incorporare perfettamente in Cristo.
Nello stesso tempo dobbiamo spiegare molto più chiaramente perché la non ammissione ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia di coloro che hanno stabilito un nuovo legame non deve essere considerata una "punizione" per la loro condizione, ma piuttosto un segno che indica la strada per un percorso possibile, con l'aiuto della grazia di Dio e l'immanenza nella comunità ecclesiale. Per questa ragione e per il bene di tutti i fedeli, ogni comunità ecclesiale è chiamata a implementare tutti i programmi appropriati per l'effettiva partecipazione di queste persone alla vita della Chiesa, pur rispettando la loro situazione concreta.
Forme di partecipazione nell'economia sacramentale
La vita di questi fedeli non cessa di essere una vita chiamata alla santità. Estremamente preziosi a questo riguardo sono alcuni gesti che la spiritualità tradizionale ha raccomandato come un sostegno per coloro che si trovano in situazioni che non permettono di accostarsi ai sacramenti.
Mi riferisco, anzitutto, al valore della comunione spirituale, cioè la pratica di comunicare con il Cristo eucaristico nella preghiera, di offrire a lui il proprio desiderio del suo Corpo e Sangue, assieme al dolore per gli impedimenti alla realizzazione di questo desiderio.
È sbagliato pensare che questa pratica sia estranea all'economia sacramentale della Chiesa. In realtà, la cosiddetta "comunione spirituale" non avrebbe senso al di fuori dell'economia sacramentale. È una forma di partecipazione all’eucaristia che è offerta a tutti i fedeli; ed è adatta al cammino di chi si trova in un determinato stato o in una condizione particolare. Intesa in questo modo, tale pratica rafforza il senso della vita sacramentale.
Una pratica analoga potrebbe essere proposta più sistematicamente anche per il sacramento della riconciliazione. Quando non è possibile ricevere l'assoluzione sacramentale, sarà utile promuovere quelle pratiche che sono considerate – anche dalla Sacra Scrittura – particolarmente adatte ad esprimere la penitenza e la richiesta di perdono e a favorire la virtù del pentimento (cfr 1 Pt 4, 7-9). Penso soprattutto alle opere di carità, alla lettura della Parola di Dio e ai pellegrinaggi. Se appropriati, questi gesti potrebbero essere accompagnato da incontri regolari con un sacerdote per discutere il cammino di fede di ciascuno. Questi gesti possono esprimere il desiderio di cambiare e di chiedere il perdono di Dio nell’attesa che la situazione personale si sviluppi in modo tale da permettere di accostarsi ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucarestia.
Infine, attingendo alla mia esperienza di pastore, vorrei ricordare che non è impossibile proporre a questi fedeli, a determinate condizioni e con una cura adeguata, “l’impegno a vivere in piena continenza", come san Giovanni Paolo II ha dichiarato, “cioè ad astenersi dagli atti propri dei coniugi". Posso dire, dopo tanti anni di ministero episcopale, che questo è un percorso che coinvolge sacrificio ma anche gioia e che la grazia di Dio rende davvero fattibile. Ho avuto occasione di riammettere alla comunione sacramentale cattolici divorziati e risposati che erano arrivati a tale decisione dopo matura riflessione.
L’esperienza pastorale ci insegna anche che queste forme di partecipazione all'economia sacramentale non sono puri palliativi. Piuttosto, dal punto di vista della conversione che è propria della vita cristiana, sono una fonte costante di pace.
Casi di nullità matrimoniale
In conclusione, dobbiamo considerare la situazione di coloro che credono in coscienza che il loro matrimonio non sia valido. Ciò che abbiamo detto fin qui sulla differenza sessuale e sulla relazione intrinseca tra il matrimonio e l’eucaristia invita a un'attenta riflessione sui problemi connessi alle dichiarazioni di nullità matrimoniale. Quando la necessità si presenta e i coniugi richiedono l'annullamento, diventa essenziale verificare rigorosamente se il matrimonio era valido e pertanto indissolubile.
Questa non è l'occasione per ripetere le ragionevoli raccomandazioni che sono emerse nelle risposte al questionario presentato nell'"Instrumentum laboris" riguardanti l'approccio necessariamente pastorale a questo insieme di problemi. Sappiamo molto bene quanto sia difficile per le persone coinvolte riflettere sul proprio passato, segnato da una sofferenza profonda. Anche a questo livello si scorge l'importanza di concepire la dottrina e il diritto canonico come un’unità.
Sacramento del matrimonio e fede
Tra le domande che richiedono ulteriore esame dobbiamo ricordare la relazione tra la fede e il sacramento del matrimonio, che Benedetto XVI ha affrontato più volte, anche alla fine del suo pontificato.
Infatti, la rilevanza della fede per la validità del sacramento è una delle questioni che l'attuale situazione culturale, soprattutto nell’Occidente, ci costringe a valutare molto attentamente. Oggi, almeno in certi contesti, non si può dare per scontato che i coniugi che celebrano un matrimonio intendano “fare ciò che la Chiesa intende fare”. Una mancanza di fede potrebbe portare oggi all’esclusione del bene stesso del matrimonio. Anche se è impossibile esprimere un giudizio definitivo sulla fede di una persona, non possiamo negare la necessità di un minimo di fede senza il quale il sacramento del matrimonio non é valido.
Un suggerimento
In secondo luogo, come anche l'"Instrumentum laboris" chiarisce, è da augurarsi che una qualche via possa essere trovata per accelerare i processi di nullità – nel pieno rispetto di tutte le procedure necessarie – e per rendere più evidente la natura intimamente pastorale di questi processi.
Su questa falsariga, la prossima assemblea straordinaria potrebbe suggerire che il papa valorizzi di più il ministero del vescovo. In particolare, essa potrebbe suggerire che egli esamini la fattibilità della proposta, che è senza dubbio complessa, di dar vita a una procedura canonica non giudiziale che avrebbe come suo arbitro finale non un giudice o un collegio di giudici, ma piuttosto il vescovo o un suo delegato.
Intendo con ciò una procedura regolata da una legge della Chiesa, con metodi stabiliti di raccolta e valutazione della prove. Esempi di procedure amministrative già attualmente previste dalla legge canonica sono le procedure per lo scioglimento di un matrimonio perché non consumato (canoni 1697-1706) o per motivi di fede (canoni 1143-50), o anche le procedure amministrative penali (canone 1720).
In ipotesi, si potrebbe esplorare il ricorso alle seguenti opzioni: la presenza in ogni diocesi o in un insieme di piccole diocesi di un servizio di consulenza per i cattolici che avessero dei dubbi sulla validità del loro matrimonio. Da lì potrebbe prendere avvio un procedimento canonico per valutare la validità del vincolo, condotto da un apposito incaricato (con l'aiuto di personale qualificato come i notai richiesti dal diritto canonico); Questo procedimento sarebbe rigoroso nella raccolta delle prove, che sarebbero inoltrate al vescovo assieme ai pareri dell'incaricato stesso, del difensore del vincolo e di una persona che assiste il richiedente. Il vescovo (che potrebbe anche affidare questa responsabilità a un'altra persona con facoltà delegate) sarebbe chiamato a decidere se il matrimonio è o no nullo (e potrebbe consultare vari esperti prima di dare il proprio parere). Sarebbe sempre possibile per uno dei coniugi fare appello alla Santa Sede contro tale decisione.
Questa proposta non è intesa come un escamotage per risolvere la delicata situazione dei divorziati risposati, intende piuttosto rendere più evidente il nesso tra dottrina, cura pastorale e disciplina canonica. […]
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350876
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