Sandro Magister
Dopo decenni di proteste, polemiche e battaglie legali, è caduto l’ultimo tabù alla tradizionale parata di San Patrizio a New York sulla Quinta Strada. Una manifestazione “laica” ma dalle indubbie radici cattoliche. Il 17 marzo del prossimo anno, infatti, saranno ammessi a sfilare anche dei gruppi omosessuali con le loro insegne. Il primo gruppo gay che marcerà sulla Fifth Avenue con la propria bandiera il giorno in cui si festeggia il santo patrono dell’Irlanda e della Grande Mela sarà composto da dipendenti della NBC, l’emittente televisiva che ogni anno trasmette in diretta la manifestazione.
Il "bello" è che come “Grand Marshal”, cioè come ospite d’onore per quella che sarà la 254ma edizione della parata – la prima appunto con una rappresentanza ufficiale degli omosessuali in quanto tali – gli organizzatori laici hanno voluto anche questa volta il cardinale arcivescovo di New York Timothy M. Dolan. Che ha accettato e assisterà alla sfilata dai gradini della cattedrale di San Patrizio.
La decisione del cardinale ha lasciato di stucco alcuni commentatori cattolici. Sul “National Catholic Register” del 3 settembre Pat Archbold ha lamentato che, accogliendo la nomina, il porporato ha di fatto espresso “l’accettazione pubblica della natura normativa della identità gay” anche da un punto di vista cattolico. Con buona pace del predecessore di Dolan sulla cattedra newyorkese, il cardinale John J. O’Connor, che sempre si oppose strenuamente alla presenza organizzata di omosessuali nella marcia di San Patrizio. E con buona pace del Catechismo della Chiesa cattolica, non quello d’una volta ma quello “nuovo” del 1997, che include tuttora “il peccato dei sodomiti” – assieme all’omicidio volontario, all’oppressione dei poveri e alla frode del salario degli operai – tra i quattro peccati che “gridano al Cielo”.
Appare improbabile infatti che i gay organizzati che marceranno lungo la Fifth Avenue il prossimo 17 marzo lo facciano con la cenere sul capo, battendosi il petto per il loro peccato e manifestando il fermo proposito di non commetterlo più.
È sempre più evidente che nella Chiesa cattolica, o meglio in larghi settori del cattolicesimo del primo e del secondo mondo, la percezione di questo peccato che una volta si diceva gridasse al Cielo per la sua gravità stia lentamente ma inesorabilmente scivolando via come un relitto del passato. Con un cambiamento di giudizio morale analogo, sia pure in senso contrario, dall’illecito al lecito, a quello che è avvenuto nei secoli passati riguardo alla schiavitù e che sta avvenendo oggi riguardo alla pena di morte.
Certo, si tratterebbe in questo caso di una rottura intrapresa “praeter Scripturam”, al di fuori se non contro la Sacra Scrittura, come ebbe a dire nel 2011 il teologo valdese Paolo Ricca ai suoi confratelli che avevano appena dato il via libera alla benedizione dei “matrimoni” tra persone dello stesso sesso. Una rottura non solo con duemila anni di ininterrotta tradizione ecclesiastica, ma prima di tutto con le parole chiare dell’Antico Testamento e chiarissime di San Paolo nel primo capitolo della lettera ai Romani.
Ma in campo cattolico già non mancano teologi e pastori che – come è avvenuto tra i valdesi con Ricca – sono pronti a spiegare come san Paolo non vada preso alla lettera ma interpretato nel “contesto” del suo tempo, influenzato da pregiudizi di “stampo patriarcale” e di “disprezzo etnico-religioso” oggi inaccettabili.
Bill O’Reilly, portavoce del comitato organizzatore della parata, ha detto l’8 settembre alla “Catholic News Agency” che la decisione di far sfilare gruppi di omosessuali è nata anche “dal cambio di tono dentro la Chiesa”, divenuto più compassionevole e comprensivo visto il modo con cui “ha parlato di loro papa Francesco”.
(magister.blogautore.espresso.repubblica.it)
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