mercoledì 23 novembre 2011
L'Eccezione
di Don Enrico Bini
(Oltrefiume, n. 1-2, febbraio 1993 Extra Chorum)
La storia della cultura di questi ultimi secoli può essere vista come il tentativo di espungere il concetto di eccezione, per cui l'orizzonte della natura è l'unico modo di spiegare il senso della vita.
La visione religiosa aperta alla trascendenza postula che l'azione divina non si esaurisca una volta per tutte, ma continui ad intervenire nel tempo.
Questa concezione entra in crisi con la riforma protestante, quando il miracolo è limitato ad un momento preciso della storia della salvezza, e si conclude con il nuovo testamento.
Nella prospettiva cattolica, invece, la possibilità del miracolo, dell'eccezione nei confronti della natura, rimane il punto discriminante nei confronti dei protestanti. Il cattolico, a partire dalla giustificazione del peccatore, che San Tommaso definisce il "finis miracolorum", ha davanti la possibilità di sperimentare la realtà del miracolo.
Basterebbe pensare al grande sacramento dell'Eucarestia che, nella sua sostanza, forza le possibilità logiche della natura con il concetto di transustanziazione.
Non è un caso che Lutero contesti e deformi il concetto cattolico della Messa e del sacerdozio a favore di un loro sostanziale annullamento.
Sul versante filosofico sia il razionalismo cartesiano sia l'empirismo, con prospettive diverse descrivono questo passaggio, negando che vi possa essere un intervento di Dio nella storia. Sintomatico a questo proposito è l'opera di Kant intitolata emblematicamente "La religione nei limiti della ragione".
Il medesimo fenomeno si riscontra nell'evoluzione delle dottrine politiche, la democrazia e la descrizione della concezione dell'uomo, che esclude la possibilità dell'eccezione. Non esiste più posto nelle moderne costituzioni liberali per il diritto divino dei re, che viene sostituito con la volontà della nazione.
L'incomprensione tra il cattolicesimo e larga parte della cultura contemporanea parte da questa contrastante visione della realtà, ossia da un mondo chiuso alla trascendenza e l'apertura alla continua e provvidente presenza di Dio nel mondo, che si concretizza attraverso i segni della sua onnipotenza.
Ecco perché i modelli teologici che a partire dall'inizio del secolo tentarono di rendere compatibile il pensiero moderno con il cristianesimo rischiano di non comprendere l'autentica visione cattolica.
Non si tratta di negare gli aspetti positivi della modernità, ma di cogliere la radice ideologica, che finisce per togliere lo spazio alla fede. Per esempio, il restringimento del campo del miracolo ha portato molti esegeti sulla scia di Bultmann, ad identificare il cristianesimo con le forme del mito.
Se la stessa persona di Cristo non rappresenta un'autentica deroga delle leggi della natura, il cristianesimo rimane svuotato nella sua autentica valenza religiosa, a favore di una generica prassi a favore degli altri.
Questo contrasto di fondo è presente anche oggi e richiede al cristiano un compito nuovo, che molti cristiani non riescono a cogliere. Si tratta dell'arduo cammino della testimonianza cristiana, che oggi si presenta come l'unica alternativa, a patto che il cristiano sia veramente se stesso, senza patteggiamenti e senza compromessi.
Il periodo dell'aggiornamento, se ha avuto un senso, è tramontato per lasciare il posto al vero problema del cristiano: il dovere di manifestare la propria identità. Si tratta per la Chiesa di una situazione inedita, perché la pone in una condizione di minoranza. L'eterogenesi dei fini non poteva essere più clamorosa. Il presente secolo che si era aperto con la prospettiva della conciliazione del cristianesimo con il mondo moderno, si chiude con un bilancio amaro. La storia reale conosce dei vincitori e dei vinti, senza ambigue neutralità, ma è qui che si colloca la certezza del cristiano che spera nel miracolo annunciato da Cristo: "Non abbiate paura, io ho vinto il mondo".
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