"La liturgia è fatta in cielo. Donata da Dio, è ricevuta dalla Chiesa che non ha alcun potere di fare cambiamenti sostanziali o sostituzioni"
del Card. Avery Dulles
Un fine settimana di quell'anno tumultuoso che fu il 1968, mi trovavo a svolgere il mio ministero in una parrocchia alla periferia di Baltimora. Al termine della Messa domenicale, mi recai nella navata della chiesa per fare il ringraziamento, inginocchiandomi a un banco. Fu lì che notai che davanti al pulpito dal quale avevo predicato poco prima, era steso uno striscione con l'iscrizione "God is other people" - Dio sono gli altri.
Se avessi avuto un pennarello a portata di mano, non avrei resistito alla tentazione di inserire una virgola dopo la parola "other" (Nota del traduttore: in questo modo la frase sarebbe suonata in inglese "Dio è altro, gente!").
Le due forme di iscrizione, con e senza la virgola, riassumono le due tendenze opposte nella pietà liturgica contemporanea. In questa mia riflessione, le chiamerò non-di-questo-mondo e di-questo-mondo. Per amor di chiarezza, tratteggerò tale contrasto in modo alquanto schematico, al limite della caricatura, poiché so bene che posizioni meno estreme al riguardo rappresentano la normalità. Il mio interesse immediato concerne la situazione cattolica, tuttavia credo, mutatis mutandis, che i miei argomenti si applicano anche alle altre tradizioni cristiane.
Per il cattolico non-di-questo-mondo, la liturgia è fatta in cielo. Donata da Dio, è ricevuta dalla Chiesa che non ha alcun potere di fare cambiamenti sostanziali o sostituzioni. Il rituale è sacro e inviolabile. I fedeli di qualsiasi età e luogo si devono adeguare ad essa, e non adeguare la liturgia ai propri gusti, interessi o funzioni.
La celebrazione deve suscitare un senso di stupore colmo di mistero alla presenza del santo, del totalmente altro. Dio è remoto, del tutto trascendente, e noi peccatori siamo indegni di stare alla sua presenza. La liturgia costituisce il principale legame tra la Chiesa terrena e la Chiesa celeste, una umana fragile partecipazione alla gloriosa liturgia celeste.
La Chiesa, nel culto ufficiale, compie il suo primo scopo: glorificare Dio. I membri dell'assemblea non hanno bisogno di capire parole e gesti. Per il credente di-questo-mondo invece, una liturgia ben riuscita è questione di sentimento e di auto-espressione. Quando la comunità si riunisce, deve celebrare la propria esperienza religiosa, e perciò deve intensificarla e rinvigorirla. I fedeli hanno fiducia che, nel loro sforzo, saranno assistiti dallo Spirito immanente e saranno così costituiti Chiesa.
In questa seconda prospettiva, i membri dell'assemblea vengono sollecitati a trovare Dio non in qualche regno supercelestiale oltre lo spazio e il tempo, ma qui e ora negli stessi membri. La liturgia, si afferma, esiste per i fedeli, e soltanto aiutandoli a scoprire la propria esperienza diventando "pienamente vivi", essa glorifica Dio. Lo stile celebrativo deve essere scelto su misura di una particolare comunità, in modo che i fedeli siano motivati a costruire il Regno di Dio qui sulla terra.
Estremizzando il contrasto, si potrebbe dire che, nella prima visione, la liturgia fa la Chiesa e, nella seconda, che la Chiesa fa la liturgia. Nella prima visione, i membri della Chiesa ricevono semplicemente ciò che la liturgia offre. La condotta celebrativa è affidata a un sacerdozio gerarchico divinamente ordinato, che è responsabile della stretta osservanza dei riti prescritti.
Nella seconda visione, la liturgia è prodotta dal popolo. L'assemblea è l'agente responsabile e i ministri i rappresentanti delegati dall'assemblea. Nella prima visione, i sacramenti sono efficaci ex opere operato; nella seconda, ex opere operantis. L'attenzione dell'assemblea, secondo la prima visione, è diretta al mistero oggettivo dell'opera salvifica di Dio in Cristo; mentre, nella seconda visione, il culto deve essere specifico per una determinata situazione reale. Nello stile celebrativo, i primi privilegiano la formalità, i secondi la spontaneità.
I due punti di vista si scontrano su tutti quei temi che sono stati aspramente dibattuti negli ultimi trenta anni. Ad esempio, i problemi sull'architettura di chiesa e del suo arredamento: ci dev'essere un presbiterio, una balaustra d'altare, un tabernacolo in vista, immagini sacre? I fedeli devono sedersi in banchi con inginocchiatoi, o su sedie sistemate a mezza luna o in circolo?
Quale paramento devono avere i ministri? Il celebrante deve stare dinanzi alla gente durante la Preghiera Eucaristica, oppure sia i sacerdoti che i fedeli devono volgersi a oriente verso il Signore che viene? Ulteriori discordanze riguardano gli inchini, le genuflessioni, e l'atteggiamento appropriato per ricevere la Santa Comunione. I comunicandi devono stare in piedi o in ginocchio? La devono ricevere sulla mano o sulla lingua?
La Santa Comunione deve essere preceduta dalla Confessione dei peccati e dal digiuno? Il SS.mo Sacramento riposto deve essere adorato? Può essere esposto per l'adorazione? Si deve permettere ai laici, comprese le donne, di servire all'altare e distribuire la Santa Comunione? Un'altra polemica si fa attorno al servizio della Parola.
Il rito deve cominciare con un saluto informale? L'omelia deve'essere una parola autoritativa o la condivisione di personali esperienze di fede? Sono lecite omelie dialogate? Il celebrante si deve limitare strettamente ai testi approvati o essere incoraggiato a fare l'estemporaneo? Si deve preferire il Canone Romano sulle altre preghiere eucaristiche autorizzate? L'uso del latino nel rito romano dev'essere conservato, accresciuto o eliminato completamente?
Quali sono i criteri che devono guidare le traduzioni del Messale e del lezionario nelle lingue moderne? Si potrebbe allungare di molto l'elenco con altre questioni, per esempio la musica sacra. Quale destino per il canto gregoriano, la polifonia, e il canto popolare? E per gli organi a canne e le chitarre? Questi e altri temi di controversia sono fin troppo noti alla maggioranza dei fedeli. In tutto ciò vi è un grande potenziale per la polarizzazione.
La liturgia è uno dei punti di maggiore frizione nella guerra culturale. I partigiani delle due tendenze si criticano reciprocamente in modo aspro e polemico. I sostenitori della liturgia non-di-questo-mondo accusano i loro avversari di distruggere il senso del sacro, di staccarsi dalla tradizione cattolica, e di cadere in un assemblearismo evanescente. La scuola di-questo-mondo accusa i suoi oppositori di trasformare la Chiesa in un museo, di perpetuare una visione del mondo mitica, e di resistere alle riforme del Concilio Vaticano II.
Ognuno dei due partiti accusa l'altro per il calo dei partecipanti alla Messa e per il fallimento della Chiesa nell'attrarre i giovani. Il primo gruppo afferma che i cattolici di oggi sono indignati per gli esperimenti di cattivo gusto e per il linguaggio pedestre attualmente in uso; e il secondo gruppo insiste sul fatto che i laici si ribellano a una liturgia pietrificata legata a una civiltà scomparsa, e che allontana la Chiesa da una partecipazione attiva nel mondo di oggi.
E' ovvio che le posizioni di gran parte dei cattolici non corrispondono esattamente all'una o all'altra delle due categorie. Un estremista del gruppo non-di-questo-mondo entrerebbe probabilmente in qualche movimento "tradizionalista" come quello di Marcel Lefebvre e finirebbe perciò fuori dalla Chiesa cattolica. Una visione estrema della categoria di-questo-mondo, porterebbe una persona sullo stesso sentiero di Matthew Fox, che ha abbandonato la Comunione cattolica perché non la trovava recettiva alla "spiritualità creativa".
Le posizioni estreme, tuttavia, hanno una certa coerenza interna. Le posizioni di mediazione, infatti, rispetto a quelle, tendono ad essere deboli compromessi. Chi sceglie di stare più vicino al centro, rischia di incorrere nell'ira di entrambi gli estremi: "fossi tu caldo o freddo", dicono. Nel tentativo di fare giustizia nelle due parti, può una posizione di mediazione essere un cumulo di contraddizioni che alla fine non soddisfa nessuno?
Io propongo di guardare alla tradizione come criterio di discernimento nel risolvere tali materie. Mi rendo conto che la proposta non è senza difficoltà. Il termine "tradizione" potrebbe sembrare inadatto per la mediazione perché già cooptato dai conservatori radicali che lo usano, come Lefebvre, per denunciare perfino le riforme moderate del Vaticano II.
La Tradizione però non deve essere interpretata in termini tradizionalisti. Alcuni progressisti sostengono che il Vaticano II ha superato un concetto rigido e fossilizzato di tradizione, interpretandola sotto una nuova luce, quella del criterio della crescita e del cambiamento. Questa risposta, tuttavia, suscita un'altra difficoltà. C'è chi obietta che il concetto di tradizione non aiuta, poiché le battaglie sulla tradizione riproducono semplicemente su un altro livello le battaglie sulla liturgia stessa. Invocare la tradizione sarebbe scendere su un nuovo campo di battaglia non più promettente del primo.
Pur riconoscendo la forza di tale obiezione, mi rifiuto di arrendermi senza lottare. Credo che sia possibile dimostrare che il concetto di Tradizione, nella comprensione comune, nell'uso biblico, e nei documenti normativi cristiani, non è così arbitrario. Implica almeno tre cose: un donatore, un dono e un destinatario. La Tradizione trasmette alcune realtà o idee tra due poli. Il contenuto ( o il traditum) è quello che il donatore offre e il destinatario riceve. Per la sua stessa natura, pertanto, la tradizione media tra due estremi, portandoli all'unità.
La Tradizione, in quanto progredisce nella storia, unisce insieme passato e futuro. E' stata chiamata il passato vivente. Jaroslav Pelikan ha chiarito in modo brillante la differenza che c'è fra tradizione e tradizionalismo, definendo tradizione "la fede vivente dei morti" e tradizionalismo "la fede morta dei viventi". Se il dono si estingue nel processo di trasmissione, diviene un passato morto, mera memoria. La fede dei morti, se deve vivere, prende radice nei cuori e nelle menti di coloro che la ricevono.
Di conseguenza, la tradizione, per sua stessa natura, esige attenzione e cura per il destinatario così come per il dono e il donatore. Liturgia e tradizione non sono sinonimi, ma sono interconnessi. La tradizione è più estensiva della liturgia, dal momento che, anche nella Chiesa, ci sono altre forme di tradizione: devozionale, dottrinale, catechetica, spirituale e canonica. Ma la liturgia è riconosciuta come il primo frutto della tradizione. Il vescovo Bossuet la descrisse come "lo strumento principale della tradizione della Chiesa".
Secondo dom Prosper Guéranger, uno dei fondatori del movimento liturgico moderno, "la liturgia è la tradizione stessa alla sua massima potenza e solennità". Yves Congar fa sue queste parole e afferma che "la liturgia è il luogo privilegiato della tradizione, non soltanto dal punto di vista della conservazione e preservazione, ma anche da quello del progresso o dello sviluppo". Ciò che è vero della tradizione lo si deve affermare per la liturgia. Benché la liturgia non coincida con l'interezza della vita cristiana, l'intera esistenza del cristiano deve essere permeata dallo spirito della liturgia. I documenti ufficiali descrivono la liturgia come partecipazione e prolungamento della Chiesa all'ufficio sacerdotale di Cristo.
E' una descrizione valida ma, a mio avviso, incompleta. Nella liturgia, quale azione pubblica (leitourgia) della Chiesa in quanto tale, Cristo esercita il suo triplice ufficio di profeta, sacerdote e re. Celebrando la liturgia, la Chiesa partecipa al culto offerto da Gesù e al contempo proclama le opere meravigliose di Dio, promuovendo l'instaurazione del Regno. La liturgia, in quanto culto, ha un aspetto sacerdotale, ma non è riducibile al solo culto.
Nel suo secondo aspetto, è partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, che si rivolge al suo popolo con parole e gesti. E nel suo terzo aspetto, grazie alla presenza attiva del Cristo risorto e allo Spirito Santo, la liturgia serve per trasformare il vecchio mondo nella creazione nuova. Attualizza i frutti del mistero pasquale di Cristo.
Il concetto di tradizione, così come è attualmente compreso dalla teologia, include un numero di caratteristiche che possono essere significative per la riforma e il rinnovamento della liturgia. Presupponendo uno studio più completo della tradizione, di queste caratteristiche ne riassumerò brevemente dieci.
1. La Tradizione ha un'origine divina. Dio è il principale trasmettitore, il primo tradens o traditor. La Tradizione cristiana nasce dall'azione mediante la quale il Padre ha consegnato il proprio Figlio per la redenzione del mondo (Rom. 8,32; Gv. 3,16).
Senza l'iniziativa del Padre, ogni altro aspetto della Tradizione cristiana crollerebbe. Quando Dio agisce nella storia, non agisce da solo, ma si serve degli uomini. Maria, Giuda, Pilato e Gesù nella sua umanità, si sono resi, in differenti modi, strumenti nel portare a compimento il supremo atto redentivo di Dio.
2. La Tradizione è cristocentrica. Cristo va volontariamente verso la morte, consegnandosi per la nostra redenzione. Ancor prima che il traditore lo consegnasse ai suoi nemici, Gesù si è consegnato ai suoi discepoli con le proprie mani.
In modo reale, Egli si consegna sotto le apparenze del pane spezzato e del vino versato per la nostra salvezza. Egli istruisce i discepoli a prendere, mangiare e bere, realizzando così l'alleanza rituale. Dopo aver riunito i suoi discepoli a sé, Gesù li invia nel mondo per proclamare il suo messaggio e compiere il suo ministero.
3. La Tradizione, nel senso teologico, è pure pneumatica. Reclinando il capo prima di morire, Gesù ha consegnato lo Spirito (Gv. 19,30). E quando, in un episodio successivo, Gesù risorto soffia sugli apostoli, è scritto che essi ricevettero lo Spirito (Gv. 20,23). Da questi testi associati, appare chiaro che l'effusione dello Spirito nei cuori dei fedeli, appartiene in modo costitutivo alla Tradizione nel suo significato teologico.
Grazie a tale dimensione pneumatica, la Tradizione nella Chiesa è normalmente epicletica. Nella liturgia, nei Concili ed in altre solenni occasioni nelle quali la Tradizione viene trasmessa in modo autoritativo, la Chiesa invoca lo Spirito Santo, attraverso il quale il Cristo vivente continua a donarsi attivamente alla Chiesa. Grazie all'opera dello Spirito Santo, la Tradizione ha un'attualità viva che le impedisce di guardare soltanto al passato.
Congar ha scritto molte pagine sullo Spirito Santo, definendolo "il soggetto trascendente della Tradizione". Il teologo ortodosso Vladimir Lossky definisce la Tradizione come "la vita dello Spirito Santo nella Chiesa". Per sintetizzare questi primi tre punti, possiamo dire che la Tradizione in senso teologico, e quindi anche nella liturgia, è trinitaria. Scrive Jean Corbon: "il Padre si dona attraverso il Figlio nel suo Spirito Santo".
E sviluppa il suo ragionamento: L'amore appassionato del Padre per gli esseri umani (Gv. 3,16) raggiunge il suo culmine nella passione del Figlio, e da allora è effuso dal suo Spirito, per misericordia divina, nel cuore del mondo, cioè, nella Chiesa. Il mistero della Tradizione consiste in questa comune missione della Parola e dello Spirito in tutta l'economia della salvezza; ora, negli ultimi tempi, tutti i torrenti d'amore che sgorgano dallo Spirito di Gesù, scorrono insieme nel grande fiume della vita che è la liturgia.
4. La Tradizione, nella sua realtà cristiana. è apostolica. I tradizionali atti delle divine persone si prolungano e si concretizzano nella storia con le azioni degli apostoli e dei loro successori, che trasmettono la memoria viva del mistero pasquale nel linguaggio normativo della Scrittura e dei primi dogmi. Paolo riferisce di aver ricevuto dal Signore e trasmesso ai Corinzi il racconto della istituzione dell'Eucaristia (1 Cor. 11,23). Poco oltre nella stessa lettera, Paolo usa ancora una volta il linguaggio tecnico di tradizione (1 Cor. 15,3), dando autorità al suo resoconto del mistero della morte e risurrezione di Cristo. Il kerygma non è un messaggio privato, ma la rivelazione affidata al corpo apostolico. La tradizione apostolica nel suo nucleo è liturgica, come indica l'esempio dell'Eucaristia. Parimenti, il Battesimo è un esempio primario di Tradizione. Con la consegna del credo, il vescovo affida al candidato il patrimonio della Chiesa, e facendo proprio il credo, il candidato certifica di possedere la fede necessaria per portare avanti la Tradizione.
5. La Tradizione si estrinseca negli atti simbolici, nei gesti e nelle parole. Il sacramento del Battesimo è stato chiamato "il kerygma in azione". Il mistero della morte, sepoltura e risurrezione di Cristo è trasmesso dall'immersione del candidato nelle acque battesimali. L'uso dell'acqua benedetta nel Sacramento richiama episodi dell'Antico Testamento quali il diluvio, l'attraversamento del Mar Rosso, e la roccia colpita da Mosè (1 Cor. 10,1-4; 1 Pt. 3,20-21), come pure lo stesso battesimo di Gesù al Giordano. Ma soprattutto l'immersione richiama la morte, sepoltura e risurrezione del Signore. La triplice immersione trasforma il rito in una proclamazione del Dio trino, secondo il precetto battesimale di Matteo 28,19. I neofiti, lavati nel sangue dell'Agnello, indossano la veste bianca dei giusti (Ap. 7,14), significando il loro ingresso nella nuova creazione. Nell'Eucaristia, allo stesso modo, l'azione proclama la morte del Signore nell'attesa del suo glorioso ritorno (1 Cor. 11,26). L'offerta dei doni, la frazione del pane, il mangiare e il bere sono carichi di significato cristologico. Il Vaticano II ha parlato del culto come uno dei mezzi con cui la Chiesa "perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede" (Dei Verbum, 8). Maurice Blondel osserva sulla liturgia, come su altre realtà: la Tradizione nella Chiesa non riguarderà soltanto qualche verità non scritta trasmessa oralmente, ma in maniera precipua, la vita ordinaria della Chiesa, il suo modo di agire, le sue strutture, la disciplina, i sacramenti, la preghiera, la sua fede vissuta lungo i secoli. Perché il processo di tradizione si realizzi nell'atto liturgico, gli stessi partecipanti devono attivamente impegnarsi. James Hitchcock lo ha puntualizzato con efficacia: Si promuovono e si mantengono vive forme di preghiera e di devozione, non solo con la preghiera mentale o verbale, ma anche con quelle che potremmo chiamare "memorie muscolari" - la persona compie gesti rituali familiari che provengono da una serie di convinzioni implicite. Genuflettere davanti al tabernacolo, o farsi il segno della croce con l'acqua santa entrando in una chiesa, ne sono un esempio. Come lo è quello di far scorrere tra le dita i grani del rosario. Queste azioni hanno un significato religioso anche inconscio, in quanto operano a un livello più profondo della mente.
6. La lingua preferita della Tradizione è essa stessa suggestiva e simbolica. Gesù non ha insegnato tanto con chiare dichiarazioni dottrinali, quanto con storie, parabole ed azioni simboliche. Sia nel Nuovo Testamento che nel Vecchio, la fede è trasmessa "con salmi, inni e canti ispirati" (Col. 3,16). Gli studiosi concordano nel giudicare che molti dei grandi inni cristologici nelle lettere paoline, nella lettera agli Ebrei, nel vangelo di Giovanni e nell'Apocalisse, hanno la loro matrice nella liturgia. Nella sua lettera all'imperatore Traiano, Plinio lo informa che i cristiani, nelle loro liturgie, cantavano inni a Cristo come se fosse un dio. Gli antichi articoli di fede si inserivano bene nella liturgia perché erano ritmici, poetici e cantabili. Lo stesso non si può dire per gli articoli di fede degli ultimi secoli, a causa del razionalismo che è penetrato nei canali di trasmissione della fede. Un contributo di razionalità è appropriato per il magistero dottrinale, ma la liturgia dovrebbe coltivare il potere suggestivo della Tradizione. Se la fede si comunicasse con un semplice indottrinamento concettuale, la Tradizione viva non sarebbe quasi necessaria. Blondel ha spiegato in modo efficace che le dichiarazioni in forma di proposizioni, non sono sufficienti. "La Tradizione, dice, non è un semplice sostituto di un insegnamento scritto. Ha uno scopo diverso... Preserva non tanto l'aspetto intellettuale del passato, quanto la sua viva realtà". In tempi di crisi, la Chiesa può tornare alla sua Tradizione per scoprire elementi che prima erano nascosti e praticati nelle profondità del suo inconscio e non espressi e sistematizzati. L'illusione della precisione, osserva Hitchcock, è stata la responsabile del grande impoverimento liturgico, poiché alcuni liturgisti (e alcuni fedeli) sembravano essere persuasi che una volta che i simboli fossero stati 'spiegati', non ci sarebbe più stato bisogno di loro".
7. La Tradizione è trasformativa. Trasmessa prevalentemente mediante azioni e linguaggio simbolici, essa agisce sulla psiche a un livello più fondamentale della coscienza riflessiva. In questo modo, essa aiuta a trasformare il credente in una creatura nuova (2 Cor. 5,17; cfr. Gal. 6,15) - una persona che pensa, parla e agisce in modi nuovi. La Tradizione infonde nella comunità un senso istintivo della fede. Le pratiche spontanee e le devozioni popolari dei fedeli, pur mancando della grande autorità che appartiene alla liturgia, costituiscono percorsi sussidiari di tradizione, riflettendo il senso popolare della fede. La religiosità popolare deve essere valutata in modo critico per stabilirne l'autenticità, ma dovrà anche essere studiata dai pastori della Chiesa per scoprirne le ricchezze nascoste. Prima di definire dogmi come l'Immacolata Concezione e l'Assunzione, i Papi consultavano il senso dei fedeli quale si manifestava nelle tradizioni devozionali. Il modernismo ha esagerato l'autorità delle devozioni popolari, ponendole sullo stesso piano della liturgia come luogo di Tradizione. Ma nella teologia classica la lex orandi non si riferisce alle manifestazioni spontanee della pietà popolare, quanto alla liturgia autorizzata nel suo complesso.
8. La Tradizione non è mai statica. Blondel sosteneva che il sacro deposito non è un meteorite da custodire in una cassa di vetro, ma un organismo vivo e in evoluzione. Il Vaticano II ha dichiarato: "questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo...Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio" (Dei Verbum,
8). Scrivendo dopo il Concilio, Henri de Lubac concordava: "la Tradizione, secondo i Padri della Chiesa, è infatti il contrario di un peso del passato: è una energia vitale, una forza tanto propulsiva quanto protettiva". La Tradizione, comunque, non avanza a sobbalzi e non va radicalmente all'indietro. Si sviluppa organicamente con successive e quasi impercettibili modifiche. L'innovazione drastica e il brusco cambiamento sono antitetici al genio della Tradizione, e di conseguenza respinti anche dalla liturgia, il frutto primario della Tradizione.
9. Per progredire lungo la linea della sua originaria ispirazione, la Tradizione ritorna continuamente alle sue fonti. Come sottolineano spesso i critici d'arte e di letteratura, la creatività, anche nell'ambito secolare, è potenziata dalla fedeltà alle tradizioni consegnateci dal passato. Lo stesso è vero a fortiori nell'ambito telogico, poiché la Tradizione è la trasmissione di una divina rivelazione contenuta nelle fonti ispirate. La Tradizione cristiana trae la sua immortale vitalità dalla potenza delle fonti per farle scorrere più abbondantemente di un tempo. La Chiesa, leggendo la Sacra Scrittura con l'assistenza dello stesso Spirito che l'ha ispirata, trova nuova luce per affrontare i problemi attuali. In tal modo, Gesù mantiene la sua promessa che il Paraclito avrebbe guidato i discepoli alla pienezza della verità (Gv. 16,13). L'incessante vitalità delle fonti cristiane, si manifesta con forza speciale nella liturgia, memoriale dell'evento pasquale. Il culto liturgico, secondo Frans Josef van Beeck, è l'attività nella quale "la Chiesa si avvicina al massimo al centro del mistero". Nel ministero della parola e del sacramento, Cristo è presente con singolare potenza e intensità, conducendo i fedeli al contatto diretto con il mistero redentivo.
10. La Tradizione è un indice puntato verso l'Eschaton. La tradizione, nella sua accezione puramente umana, ha un riferimento obbligato al passato, mentre la Tradizione cristiana ha pure un riferimento futuro. Trasmette il mistero di Cristo, Alfa e Omega. Comunica lo Spirito Santo, dono escatologico. Accogliendo la Tradizione cristiana, si è eletti per il Regno di Dio, poiché "la Chiesa costituisce in terra il germe e l'inizio di questo Regno" (Lumen Gentium, 5). Quanto più ci immergiamo nella Tradizione, tanto più ineluttabilmente saremo condotti verso la pienezza promessa del Regno. L'aspetto escatologico della Tradizione si verifica eminentemente nel culto della Chiesa, descritta dal Vaticano II come un pregustamento della liturgia celeste. Invita i credenti ad anelare al ritorno di Cristo nella gloria, quando la Chiesa giungerà alla sua consumazione. Il teologo ortodosso Alexander Schmemann ha particolarmente insistito su questo punto. La funzione essenziale della liturgia per lui, è quella di "realizzare la Chiesa rivelandola (a sé e al mondo) come l'epifania del Regno di Dio". La Chiesa, poiché appartiene al futuro, ha la sua propria funzione nel portare testimonianza "all'Eschaton - la Signoria di Cristo finché Egli venga". Qualcosa di tale cosmica prospettiva escatologica traspare nell'appassionata prosa contorta di Teilhard de Chardin, quando scrive, ad esempio, della "Messa sul Mondo". Ispirato dalle fonti antiche, Teilhard ha percepito l'Eucaristia come segno anticipatorio dell'universo escatologicamente trasformato.
Queste osservazioni sulla Tradizione non risolvono le questioni controverse sulla liturgia, ma forniscono dei criteri per guidare la riforma e il rinnovamento del culto ufficiale della Chiesa. Vorrei ora indicare alcune possibili applicazioni, deducendo otto corollari da quanto si è detto finora.
1. Prima di essere una risposta umana, la liturgia è dono di Dio. Non è qualcosa che costruiamo liberamente secondo le nostre idee e preferenze. Come forma preminente di tradizione, essa deriva dall'attività di Dio attraverso Cristo e gli apostoli. Nella liturgia Dio si volge verso di noi, e noi riceviamo ciò che a Lui piace darci, soprattutto il mistero centrale della nostra redenzione per opera di Gesù Cristo.
2. Nella liturgia, come in altri ambiti di tradizione, l'attenzione va diretta primariamente alla realtà che viene trasmessa. I simboli non funzionano correttamente, se non focalizzano la nostra attenzione sul loro significato comune, rendendo presente il mistero della nostra redenzione, mistero troppo grande per essere contenuto in parole o simboli, ma comunicato proprio attraverso di essi, strumenti dello Spirito Santo. La liturgia celebra il mysterion pubblicamente nel contesto di nuove situazioni. Non si può permettere al contesto, tuttavia, di divenire il tema, pena la fine del funzionamento della liturgia come tradizione.
3. La liturgia, per produrre unione interiore con il mistero in essa celebrata, invoca nella preghiera lo Spirito Santo. Laddove si ometta l'invocazione, può facilmente sorgere una falsa impressione di autonomia umana. I simboli potrebbero essere male interpretati o manipolati da uno spirito alieno.
4. La liturgia, facendo uso delle sue risorse simboliche, dovrebbe suscitare una forte consapevolezza delle verità di fede. Gesti quali l'elevazione dell'ostia, inchini e genuflessioni trasmettono il senso della divina presenza assai più potentemente di quanto non faccia un'esplicita dichiarazione. Per la dignità e il carattere pubblico della liturgia, gesti rituali, paramenti, canti sacri e tempi di silenzio dovrebbero essere l'asse portante del culto. Nelle parti parlate della liturgia, il linguaggio, come ho già detto, dovrebbe essere suggestivo e non troppo didattico.
5. La liturgia dovrebbe essere partecipativa, nel senso che essa induce i fedeli ad interiorizzare i significati che trasmette e a compiere atti personali di fede, speranza e carità. La partecipazione viva al mistero della redenzione viene favorita dai canti, dai gesti, e dal movimento da parte dell'assemblea. Non c'è alcun bisogno di scegliere tra l'oggettività del dato e la soggettività della risposta. La fedeltà alla presentazione oggettiva rafforza la profondità e la qualità trasformante della risposta.
6. La liturgia, discendendo dalla Tradizione divina e apostolica, dovrebbe essere distinta per la sua stabilità. Come insegna il Concilio Vaticano II, essa non deve essere cambiata senza vera e manifesta necessità. Ma non deve essere statica più di quanto non sia la tradizione. Le forme di espressione devono sempre tener conto dei bisogni e delle capacità della comunità orante. L'adattamento non significa, certo, che tutto debba essere espresso nel linguaggio vernacolare o condotto in tono di familiarità. Al contrario, il rispetto delle norme liturgiche richiede una certa formalità nello stile e nel linguaggio, in qualche misura sottratti dai discorsi ordinari. L'esigenza di evocare il senso del sacro, può anche richiedere generi di canti che siano lontani dalle situazioni secolari.
7. Poiché la liturgia, come in genere la Tradizione, è una realtà viva, nessun stadio del suo sviluppo può essere assolutizzato. Come decretato dal Vaticano II, devono essere eliminati sgradevoli anacronismi e aggiunte. Né il IV secolo, né il XIII, né l'era di Trento, né l'era del Vaticano II rappresentano la massima perfezione liturgica non valicabile. Il Cardinal Ratzinger notava che, essendo la liturgia viva, "non può il Messale essere più mummificato della Chiesa stessa". I cambiamenti nella liturgia dovrebbero però essere graduali e organici. Forse i nuovi testi preparati dopo il Vaticano II si allontanano troppo bruscamente dalla recente tradizione e sono stati imposti troppo aspramente. Comunque sia, questi testi si sono ormai guadagnati un certo diritto di esistenza. I fedeli cattolici ne hanno già preso confidenza. Proibire i nuovi testi e chiedere un ritorno ai testi preconciliari, potrebbe solo provocare altro disorientamento e tumulto. Il primo compito è quello di un uso più rispettoso e sensibile dei testi e delle rubriche che ora abbiamo. Dal Vaticano II in poi si sono spese molte energie per la composizione dei nuovi testi liturgici, molti di essi non autorizzati. La moltiplicazione di nuovi testi può facilmente diventare una distrazione. Sarebbe meglio tenere l'attuale messale per un periodo ragionevole di anni, con miglioramenti di traduzione e piccole correzioni. In una società altamente secolarizzata come la nostra, i tentativi di comporre testi sacri risulteranno spesso vani.
8. La liturgia attuale concede spazio alla creatività, rettamente intesa. La scelta della musica, la preparazione dello spazio liturgico, la composizione dell'omelia e le intercessioni mettono a dura prova i talenti degli incaricati. La spontaneità nelle celebrazioni liturgiche formali deve essere mantenuta, comunque, entro certi limiti. La liturgia, quale personificazione principale della perenne Tradizione, deve trasmettere un senso dell'oggettivo, del costante, e dell'universale. Nella mia riflessione, posso sembrare di aver gravitato verso il polo non-di-questo-mondo descritto all'inizio. Se è così, è perché la liturgia è la principale portatrice di una Tradizione che proviene senza interruzione da Cristo e dagli apostoli, ed è normativa per la Chiesa universale. La liturgia, essendo la manifestazione più formale e pubblica della Tradizione, richiede attenzione per il dato oggettivo, che rimane la sorgente di salvezza ovunque e per tutti. Essa intende impartire un senso del divino e cerca di condurre i fedeli al grande mistero della redenzione. La liturgia, tuttavia, non costituisce l'intera vita della Chiesa. Altre forme di culto tradizionale e spontaneo meritano di essere incoraggiate. Nella preghiera privata e nelle devozioni popolari, possono trovare espressione le particolari culture e i costumi dei diversi popoli con le loro attese. Si può incoraggiare informalità e originalità nei gruppi di preghiera spontanei, nelle processioni, nei santuari locali, nell'arte religiosa popolare e nella musica, nelle devozioni di famiglia, e simili. Sembrerebbe che la presente crisi nella liturgia sia dovuta in parte al declino di vari stili non-liturgici di pietà (come le novene di preghiera, le missioni parrocchiali, l'adorazione eucaristica e il rosario) che sostenevano la fede e l'impegno dei cattolici durante i secoli prima del Concilio Vaticano II.
Dopo il Concilio, è divenuto luogo comune pensare che, dal momento che la liturgia è centrale, ogni culto dovrebbe essere liturgico, anzi eucaristico. In assenza di alternative, i celebranti erano tentati di introdurre uno stile informale e spontaneo nella liturgia stessa. Alcuni sacerdoti sembravano imitare intrattenitori popolari e conduttori di talk show, a detrimento della solennità e formalità che giustamente compete alla liturgia.
La Chiesa, promuovendo una rinascita di forme di pietà non-eucaristiche e paraliturgiche, potrebbe, io credo, contribuire a salvaguardare i valori distintivi del culto liturgico. Il culto integrale della Chiesa, possiamo dire, comprende sia il formale che l'informale, entrambi dialetticamente connessi tra loro. Pur non essendo uguali, potrebbero complementarsi. Quale culto formale, la liturgia dovrebbe sempre avere un punto di contatto con l'esperienza della comunità, altrimenti diventa sterile.
Le devozioni private, per quanto provengano dall'esperienza popolare, devono sempre mantenersi in linea con la forma oggettiva di rivelazione, altrimenti diventano superstiziose. Ma le proporzioni variano. La liturgia si concentra sul mistero esaltante del Trascendente, mentre la pietà popolare dà maggiore attenzione all'accessibilità di Dio nel qui e ora. Tutti e due gli stili di culto sono appropriati perché il Dio della fede cristiana non è assente dal suo popolo né è del tutto identificabile con esso.
Tornando all'esempio con il quale ho iniziato, possiamo concludere che nessuna delle due iscrizioni su quello striscione della chiesa parrocchiale, rende giustizia al mistero. Gli altri non sono Dio e Dio non dimora in un isolamento remoto.
da una Conversazione tenuta alla Società di Liturgia Cattolica di Detroit, 25/09/1997fonte: http://www.firstthings.com/article/2008/11/002-the-ways-we-worship-10(trad. it a cura di d. G. Rizzieri)
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