martedì 14 giugno 2011

Un commento sull'istruzione Universae Ecclesiae


di Fabrizio Cannone


Su L'Osservatore Romano uscito il 13 maggio 2011 (ma con la data del 14 maggio), festa della Madonna di Fatima, è stata pubblicata l'attesissima istruzione Universae Ecclesiae, circa l'applicazione della Lettera Apostolica Summorum Pontificum (del 7 luglio 2007) con cui il pontefice Benedetto XVI aveva reso più facile la celebrazione liturgica della Messa secondo il Messale del 1962, comunemente detta Messa Tridentina, Rito Antico o Messa Tradizionale.

La gioia e l'esultanza del cuore per questo ennesimo segno della volontà del Papa di restaurare la Chiesa e la cristianità, afflitta da numerosi mali e aggredita da più lati, sorgono spontanei in tutti i buoni fedeli, ma da questa santa letizia è d'uopo passare subito all'analisi del Documento per coglierne tutte le potenzialità di bene e la fecondità spirituale.

Il Testo è firmato dal cardinal William Levada presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei e dal segretario monsignor Guido Pozzo, verso i quali va, in prima istanza, la nostra gratitudine e il nostro omaggio.

Sebbene di natura giuridica, il Testo si apre con una importantissima introduzione in 8 punti in cui si spiega la genesi dell'Istruzione collegandola al più noto Motu Proprio Summorum Pontificum. Esso, si afferma subito, «ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana» (n. 1): si può dire che è proprio a causa della minore accessibilità ai tesori della Liturgia per un lungo periodo di tempo, cioè dal 1970 al 2007, che la santa Chiesa ha sofferto di carenze spirituali, di abbandoni, di lotte fratricide, e persino di divisioni e di errori nella Fede da parte di molti. Si ribadisce, contro interpretazioni minimaliste ma largamente diffuse, che il Motu Proprio Summorum Pontificum è «una legge universale per la Chiesa» (n. 2) e non una legge particolare che regola taluni gruppi di nostalgici o di marginali del Cattolicesimo.

Si asserisce a chiare lettere il «principio tradizionale» per cui «ogni chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l'integrità della fede» (n. 3).

É chiaro? L'abolizione pratica, avvenuta dopo la Riforma liturgica, del Messale romano tradizionale ha indubbiamente contribuito al diffondersi dell'errore, avendo gettato discredito proprio sugli usi «universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica», come per esempio nel modo di comunicarsi, nell'uso della sacra lingua latina e nell'orientamento sacerdotale. Ai numeri 4-5 si ricorda che nonostante l'approvazione del nuovo Messale del 1970 è rimasto «il vivo desiderio di conservare la tradizione antica» (n. 5) e il beato Giovanni Paolo II vi provvide con due documenti del 1984 e del 1988 in cui si chiedeva ai Vescovi di essere «generosi» nel rispettare questo vivo desiderio. Lo furono? In molti casi, specie in certe contrade, assolutamente no.

Arriviamo ad elementi più importanti dal punto di vista dottrinale. Al n. 6 si dice che i due Messali, quello tradizionale nella sua ultima edizione del 1962 e quello rinnovato nella sua ultima edizione del 2000, «sono due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente forma ordinaria e extraordinaria» (n. 6). Solo della forma extraordinaria, però, si aggiunge che «per il suo uso venerabile e antico [assente nell’ordinaria]», essa «deve essere conservata con il debito onore» (n. 6).

Pare difficile, senza fare una storia della Liturgia cattolica, mettere sic et simpliciter sullo stesso piano un Messale che risale agli albori della Chiesa, specie nel Canone Romano esattamente definito già sotto Gregorio Magno e un Messale di compilazione recentissima, pubblicato ex novo sotto il titolo appropriato di Novus Ordo Missae, nel 1969.

Chi ha buona memoria si ricorda che nella Lettera che accompagnava il Motu Proprio Summorum Pontificum il Santo Padre faceva proprio un argomento da sempre usato in favore della Missa Tridentina e cioè il fatto che essa non fosse mai stata abrogata (non potendolo essere, senza rotture, perlomeno indirette, con la Tradizione). In questa introduzione l’argomento, seppur implicitamente, ritorna. Si dice infatti che «al momento dell'introduzione del nuovo Messale, non era sembrato necessario emanare disposizioni che regolassero l'uso della Liturgia vigente nel 1962» (n. 7). Ma se il nuovo Messale avesse dovuto sostituirsi all'Antico è chiaro che questa frase non avrebbe senso.

All'ultimo punto dell’introduzione il Documento afferma la mens di Benedetto XVI: il Papa desidera, anzitutto, «offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell' Usus Antiquior» (n.8), e non solo ad alcuni. Vedremo in seguito le conseguenze di questo principio di fondo.

Nella seconda parte si tratta dei compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei la quale vede confermata, e irrobustita, la sua autorità e le sue responsabilità. Essa infatti, da ora, esercita «potestà ordinaria vicaria per la materia di sua competenza, in modo particolare vigilando sull'osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum» (n. 9). Essa può «decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati» (n.10), anche opponendosi all'Ordinario inadempiente, e deve curare «l’edizione dei testi liturgici» del Messale antico (n. 11).

Si passa poi alle importanti norme specifiche circa i Vescovi diocesani (cf nn. 13-14), il cœtus fidelium (cf nn. 15-19), il sacerdos idoneus (cf nn. 20-23), la disciplina liturgica ed ecclesiastica (cf nn. 24-28), la Cresima e l’Ordine Sacro (cf nn. 29-31), il Breviario (cfn. 32), il Triduo Sacro (cf n. 33) e i Riti degli Ordini religiosi (cfnn. 34-35). Li vediamo in breve e negli elementi più salienti.

Secondo il Testo, «è compito del Vescovo diocesano adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano» (n. 14): questo è il compito dell'episcopato cattolico nel mondo intero, non quello di analizzare, interpretare, sviluppare o commentare il Documento. Bensì, adottarlo!

Per quello che concerne il gruppo stabile di fedeli, oggetto di non poche controversie dal 2007 ad oggi, si chiarisce che esso «è costituito da alcune persone» che «si siano unite in ragione della loro venerazione per la Liturgia» antica, le quali possono provenire anche da varie parrocchie e diocesi (n. 15). L'Istruzione prevede che l’Ordinario si adoperi per soddisfare i loro legittimi desideri (cf n. 17 §2). Un gruppo di fedeli può richiedere la Messa anche in «santuari e luoghi di pellegrinaggio»(n. 18): sono esclusi quei gruppi «che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale» (n.19).

Chi e poi il sacerdos idoneus secondo i termini dell'Istruzione? Ogni sacerdote cattolico «che non sia impedito a norma del Diritto Canonico», che abbia una «conoscenza basilare» del latino e che conosca il Rito (n. 20). In vista dell'aumento e della formazione di tali sacerdoti idonei nei Seminari «si dovrà provvedere alla formazione dei futuri sacerdoti con lo studio del latino» e della Messa tradizionale, «se le esigenze pastorali lo suggeriscono» (n. 21), come nel caso in cui non vi siano sufficienti sacerdoti per l’Usus Antiquior (cf n. 22). Per la Messa sine populo (a cui però dei fedeli possono intervenire) ogni sacerdote usi il Messale che preferisce (cfn. 23).

Si chiede che nel Messale del 1962 si inseriscano «nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi» (n. 25), senza evidentemente comporre commistioni indebite. Le letture della Messa possono essere fatte sia in latino che in volgare (cf n. 26). Importante il n. 28: «In forza del suo carattere di legge speciale [ …] il Motu Proprio Summorum Pontificum, deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi». Ciò significa che le autorizzazioni tipo la Comunione sulla mano, l’orientamento anti-tradizionale e le letture svolte da personale femminile, restano vietate nel Rito Antico. Ma proprio queste concessioni, a volte strappate coi denti alla Sacra Gerarchia, hanno favorito il ritorno di molti al Messale antico e la desacralizzazione innegabile della Liturgia. Un loro superamento sarebbe il segno più manifesto dell'influenza reciproca tra i due Messali..

Riguardo alla Cresima si dice che essa, come per la verità tutti i sacramenti e sacramentali, può essere data seguendo il Rituale tradizionale (cf n. 29). L'Ordine Sacro secondo il Pontificale del 1962 è permesso però solo agli Istituti che dipendono dall’Ecclesia Dei «e in quelli dove si mantiene l’uso dei libri liturgici» antichi (n. 31). Dunque parrebbero esclusi i seminaristi diocesani i quali però hanno sempre il diritto di chiedere al proprio Ordinario la benevola concessione d'esser ordinati secondo il Pontificale del 1962, magari associandosi alle Ordinazioni di Istituti tridentini. L'uso del Breviario antico non fa problema (cf n. 32) e questa vale per tutti «i chierici» cioè anche per coloro che si attengono al Novus Ordo. Anche la celebrazione tradizionale del Triduo è ammessa, contro certe malevole interpretazioni restrittive (cfn.33).

Importantissimo il n. 34 in cui, contro certe indiscrezioni ventilate, si ammette la liceità dei Riti liturgici, Messa inclusa, degli Ordini religiosi cattolici. Qui si vede ancora la magnanimità di Benedetto XVI: come san Pio V pur volendo dare unità al Culto non se la sentì di sopprimere i riti che potevano vantare almeno 2 secoli di continuità, così l'attuale Sommo Pontefice restaura un patrimonio liturgico immenso, si pensi alla liturgia domenicana, certosina, cistercense, lionese, ambrosiana, mozarabica ecc.

La conclusione che si impone è questa: in quest'atto di Benedetto XVI è rivissuto san Pio V e non vediamo più bel complimento per il Pontefice in carica.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio - 29/05/2011 - n.21

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