mercoledì 15 giugno 2011

Promosso un vescovo africano pro motu proprio






Mons. Pascal N'Koué, vescovo di Natitingou nel Benin, è stato nominato dal Santo Padre arcivescovo della sede metropolitana di Parakou, sempre nel Benin.
Egli ha reso pubblica la sua relazione per il triennio di applicazione del motu proprio Summorum Pontificum, che potete leggere di seguito; (fonte: SPO):




Natitingou, 15 giugno 2010


Eminenza Reverendissima,

È con gioia che, su sollecitazione della Nunziatura Apostolica in Benin, La informo della nostra esperienza con il Motu Proprio di Papa Benedetto XVI "Summorum pontificum".


Innanzitutto, vorrei dire che la forma straordinaria del rito romano è stata introdotta nella mia diocesi nell'ottobre 2003, quindi prima del Motu Proprio. La mia convinzione che queste due forme possano coesistere pacificamente e per arricchirsi la vicenda è fuori discussione e da lunga data. A mio modesto parere, le due forme non pongono alcun problema. I conflitti provengono dai nostri cuori malati e intossicati o dalle nostre ideologie provocate dalla ristrettezza della nostra mente e dalla nostra formazione troppo quadrata.


Come leggerete nel rendiconto allegato, redatto da padre Denis Le PIVAIN, parroco di San Giovanni Battista, non ci sono state tempeste a Natitingou, ma nondimeno un po' di turbulenza… Il sacerdote non intraprende nulla senza consultare il vescovo. Questo è uno dei suoi grandi meriti. L'unità della Chiesa oblige. In conseguenza, c'è una notevole simpatia e armonia tra tutti i sacerdoti a questo proposito.


Personalmente, devo confessare che la celebrazione nell’antica forma è una fortuna per il mio giovane clero e per tutta la diocesi. Permette di valorizzare ulteriormente l'altare (preghiere ai piedi dell'altare), il sacro silenzio, le secrete, la molteplicità dei segni di croce e genuflessioni e anche il fatto che sia tutto rivolto verso la croce (posizione ad orientem). In breve, il rito tridentino ci dà la possibilità di meglio comprendere e apprezzare il rito detto di Paolo VI.


Molti dei miei sacerdoti, senza alcuna pressione da parte mia, spontaneamente hanno iniziato ad imparare a celebrare la messa di San Pio V, o più precisamente la messa di Papa Giovanni XXIII. Ovviamente, più si insiste sulla "ars celebrandi", più le due forme si influenzano positivamente. Quando le rubriche sono interiorizzate, la liturgia tocca i fedeli per la sua bellezza e la sua profondità; e non c'è più bisogno di litigare sul mistero, il sacro, l’adorazione, la maestà di Dio e la partecipazione attiva. Tutto va da sé. Inoltre, il canone romano e i gesti liturgici dell’antico rito sono più vicini alla nostra religiosità e sensibilità africana. Parlo solo per mia diocesi.


Il mio desiderio è che un giorno ogni sacerdote sappia celebrare nelle due forme. Non è impossibile, soprattutto se se lo si introduce nei nostri seminari. Ma qui a Natitingou, noi non possiamo applicare il rito antico puramente e semplicemente, senza tenere conto della luce di "Sacrosanctum concilium". C’è tutto. La forma straordinaria non può ignorare il Concilio Vaticano II, proprio come la forma ordinaria non può ignorare il rito antico senza impoverirsi. C'è un equilibrio da mantenere. La Commissione "Ecclesia Dei" sembra incoraggiarci a proseguire in questo senso.


Finisco invocando i sacri Cuori di Gesù e di Maria su tutti i sacerdoti. È l'amore di Dio che salverà il mondo e non i riti come tali. Lavoriamo per stimolare questa passione per il Crocifisso, che ci ha amati e si è dato per noi.


Nella speranza di aver risposto per poco che sia alla Sua domanda, La assicuro, Eminenza Reverendissima, della mia fedele collaborazione nella Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica.




Mons. Pascal N’KOUE

Fonte: Messainlatino

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