lunedì 6 giugno 2011

Cattolici e Jung, storia di un abbaglio







di Roberto Marchesini0


6-06-2011



Oggi, 6 giugno, ricorrono i 50 anni dalla morte di Carl Gustav Jung. Ricordando lo psichiatra svizzero non si può fare a meno di menzionare l'attenzione che ebbe per lui una certa parte del mondo cattolico. Attenzione che ebbe le sue cause e che fu frutto di un equivoco.

In generale il mondo cattolico ebbe, almeno fino alla fine degli anni '60 del secolo scorso, un atteggiamento di notevole diffidenza nei confronti della psicoanalisi e delle altre dottrine da essa derivate (ad esempio la psicologia analitica di Jung e la psicologia individuale di Adler). Basti ricordare il Monitum pubblicato dal Sant'Uffizio il 15 luglio 1961, che proibiva a chierici e religiosi di praticare la psicoanalisi e ai seminaristi di sottoporvisi. Dalla fine degli anni '60, la psicoanalisi venne riproposta attraverso i lavori di Reich, Marcuse e Fromm, che proponevano una rilettura di Freud in sintonia con il pensiero marxista. Il mondo cattolico, allora disponibile ed aperto nei confronti della rivoluzione comunista, divenne ricettivo anche nei confronti della psicoanalisi freudiana, decisamente rifiutata fino a qualche anno prima.

A molti cattolici, tuttavia, la psicoanalisi continuava a rimanere indigesta a causa della visione negativa che Freud aveva della religione. Poteva il mondo cattolico rifiutare quello che il mondo considerava una fondamentale chiave di lettura dell'umano a causa dell'atteggiamento di Freud? Ecco quindi, la scoperta di Jung il quale, oltre a rifiutare il cosiddetto “pansessualismo freudiano” (ulteriore boccone indigesto ai cattolici) appariva aperto alla spiritualità, al mondo religioso, addirittura riconosceva un certo valore terapeutico al sacramento della confessione. Questo bastava per accogliere la psicologia analitica e mostrarsi intellettualmente aperti alle nuove istanze culturali.

Il prezzo da pagare? Bastava non indagare troppo in profondità sul tipo di spiritualità proposta da Jung. Cominciamo con il dire che buona parte dell'Opera Omnia di Jung è occupata da libri che trattano di... alchimia. Non opere sulla storia dell'alchimia, sugli alchimisti come proto-psicologi o sulle affinità tra alchimia e psicologia, no: proprio sull'alchimia, cioè su come mescolare i metalli, sul significato magico dei simboli, dei numeri, sulle influenze degli elementi naturali sull'uomo... La faccenda diventa ancora più chiara leggendo un libro che non è incluso nell'Opera Omnia, intitolato Ricordi sogni riflessioni (Rizzoli 2002).

In esso Jung spiega chiaramente che il procedimento alchemico della coniunctio oppositurum, ossia l'unione degli opposti, era il cuore della psicologia analitica. Tuttavia, la coniunctio oppositurum non è un procedimento esclusivo dell'alchimia, ma è anche una delle idee fondamentali della gnosi. La gnosi è una antica credenza che vede il mondo come una prigione dominata da una divinità malvagia (il Dio cristiano); la conoscenza (gnosi) di oscuri misteri, tuttavia, può liberare le anime da questa prigione e ricondurle nel mondo dello spirito (il pleroma), regno di uno spirito buono che ha eliminato ogni differenza. Coerentemente con le sue idee alchemiche, Jung ha abbracciato la gnosi. In un brano del libro citato precedentemente, Jung scrive: “[...] Giobbe è una specie di prefigurazione del Cristo. Entrambi sono legati all'idea della sofferenza. Cristo è il servo di Dio che soffre, e così Giobbe. Nel caso di Cristo sono i peccati del mondo la causa della sua sofferenza, e della sofferenza dei cristiani. Ciò conduce inevitabilmente alla domanda: Chi è il responsabile di questi peccati? In ultima analisi è Dio, che ha creato il mondo e i suoi peccati, e perciò deve patire Egli stesso la sorte dell'umanità di Cristo” (p. 262).

Ma se Dio è malvagio, in quanto origine del peccato, chi è il dio buono? La risposta si trova nello stesso, strano libro. Jung racconta che nel 1916 fu oggetto di un fenomeno di scrittura automatica durato tre sere. L'esito del fenomeno consiste un in libretto di 14 pagine, intitolate Septem sermones ad mortuos e dettate, secondo lo psichiatra svizzero, dal filosofo gnostico Basilide, realmente vissuto nel II secolo. L'ultimo dei sette sermoni si conclude con queste parole: “A incommensurabile distanza c'è una singola stella allo zenith. Questa è il Dio singolo di questo singolo uomo, è il suo mondo, il suo pleroma, la sua divinità. In questo mondo l'uomo è Abraxas, che genera o ingoia il suo mondo. Questa stella è Dio e la mèta dell'uomo. È il suo Dio singolo che lo guida” (p. 462). Abraxas, il demone. Recentemente (novembre 2010) è stato pubblicato il “Libro rosso”, tenuto segreto dallo stesso Jung per tutta la sua vita e, in seguito, dai suoi eredi; esso contiene i Septem sermones ed altri scritti magici e gnostici elaborati dallo psichiatra svizzero. Si tratta, in effetti, di un'opera inquietante: un enorme volume che Jung di suo pugno ha vergato in caratteri gotici, miniato e dipinto e riempito di immagini, visioni e rituali. Sicuramente Carl Gustav Jung era uno psichiatra aperto alla spiritualità. Ma forse era meglio l'ateismo di Freud.






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