ROMA, martedì, 31 maggio 2011.- Pubblichiamo di seguito una riflessione di don Enrico Finotti, parroco di S. Maria del Carmine in Rovereto (TN).
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La vita della Chiesa è fondata sul mandato missionario, che il Signore Gesù ha dato ai suoi discepoli:
«Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 18-20).
Questo ‘mandato’ contiene in perfetta sintesi e in ordine logico le tre attività fondamentali che costituiscono l’azione ministeriale della Chiesa per l’edificazione di se stessa e la sua missione nel mondo: l’annunzio del vangelo di Verità (munus docendi); la celebrazione liturgico-sacramentale dei Misteri (munus santificandi) e l’educazione morale alla Vita evangelica (munus gubernandi). Ogni cristiano, in realtà, ha ricevuto, fin dal battesimo, il triplice munus - profetico, sacerdotale e regale -, che lo abilita ad assolvere il ‘mandato’ di Cristo. “Egli stesso ti consacra con il crisma di salvezza, perché inserito in Cristo, sacerdote, re e profeta, sia sempre membro del suo corpo per la vita eterna” (Rito romano del battesimo). La Chiesa è allora chiamata all’annunzio della Verità, alla celebrazione della Liturgia, all’esercizio della Carità. Verità, Liturgia e Carità sono così i pilastri portanti della vita della Chiesa di tutti i tempi e in tutti i luoghi. Queste tre colonne sono così importanti per la Chiesa in quanto, come si è visto, reggono la stessa vita divina ad intra: Dio, infatti, è somma Verità, Culto perfetto e beatificante, Carità infinita e vivificante. Esse poi, nella pienezza del tempo, risplendono sul volto di Cristo, immagine del Padre. Esse sono pure impresse dal Creatore nella natura angelica e umana. Sono quindi la struttura ultima dell’Essere assoluto e degli esseri creati a sua immagine. La Chiesa quindi, assolvendo a questi tre compiti, nella sua vita ad intra e nella sua missione ad extra, non fa che assecondare in se stessa e manifestare al mondo quella che è la sua identità profonda, impressa dal Creatore ed elevata dal Redentore. La coscienza di questa impostazione teologica viene eloquentemente consacrata ed espressa nella Costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II, a cui fa eco l’impostazione del Codice di Diritto Canonico e quella del Catechismo della Chiesa Cattolica. Ciò che ancora importa rilevare è la connessine indissolubile dei tre elementi, in maniera tale che nessuno può reggere senza gli altri o comunque la corruzione di uno porta alla inevitabile debilitazione degli altri. Valgono qui le parola del Signore “L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10, 9). L’indagine condotta in questo studio, lungo le tappe della storia della salvezza, lo dimostra in modo convincete alla luce dell’esperienza millenaria delle vicende dell’umanità secondo la testimonianza del testo biblico.
In particolare si può osservare che la crisi della Verità genera ineluttabilmente quella della Liturgia e della Carità. Infatti quando il nostro sguardo contempla la Verità in tutto il suo splendore o comunque in immagini vere, subito nel nostro cuore nasce la gioia, la gratitudine, l’approvazione, la lode, l’acclamazione e infine l’adorazione a Dio che si rivela a noi nella verità di ogni cosa che ci circonda e che i nostri sensi corporei colgono la nostra mente elabora. Questo moto interiore di riconoscimento grato e adorante della Verità è in fin dei conti un atto liturgico, che insorge in ogni persona retta e buona, che si incontra con ciò che é vero, bello e buono, comunque e dovunque si manifestino. La Verità, dunque, suscita la Liturgia. Al contempo ne nasce un ulteriore moto, quello dell’amore, che immediatamente spinge il cuore umano ad accogliere, ad abbracciare, a gioire, a desiderare e a donare quella verità che sta davanti e che suscita tanta contemplazione e gratitudine. Ecco allora che Verità, Liturgia e Carità sono moti simultanei e concatenati di un profondo e spontaneo impulso vitale dell’uomo, che è fatto geneticamente ed è proiettato irresistibilmente per accogliere la Verità, contemplandola liturgicamente e abbracciandola caritatevolmente. Quando tuttavia alla nostra mente e ai nostri sensi si presenta la caricatura della verità e ci si trova davanti alla falsità, ossia quando davanti al nostro sguardo la Verità, la Bontà e la Bellezza sono offesi e degenerati, subito insorge un moto interiore di disgusto, lo sguardo si ritrae, il volto si fa’ triste, la lode si spegne, la gratitudine si arresta, l’adorazione si paralizza. In altri termini, crolla la Liturgia. Essa infatti non contempla più il suo oggetto o lo vede avvilito in riduzioni indegne e in caricature abbiette. La Liturgia, infatti, ha il fiuto della Verità, e s’allontana dalla sua falsificazione. Al contempo il cuore che cerca e ama ciò che è vero, buono e bello, s’arresta dall’oggetto del suo desiderio vedendolo debilitato, abbruttito, mostrificato e l’amore si cambia in odio, ossia in avversione, in allontanamento e in fuga da ciò che invece avrebbe dovuto attrarre. E’ la crisi della Carità, che crolla davanti al crollo della Verità, che sola ha diritto di raccogliere e soddisfare la facoltà amante dell’uomo. Ecco che crollata la Verità crollano inevitabilmente la Liturgia e la Carità, perché incapaci geneticamente di aderire ad oggetti che non possono reggere nel confronto della Verità. E’ ciò che succede nell’idolatria come forma corrotta di adesione agli idoli, falsificazione dell’unico e sommo Dio.
Allora la Liturgia trova la sua più vera identità e la più solida stabilità nella saldezza del dogma della fede. La crisi del dogma, l’incrinatura della dottrina, la nebulosità dell’annunzio evangelico provocano il crollo della Liturgia, in quanto minano il contenuto interiore del Mistero che la Liturgia celebra. La radice sintattica del termine ortodossia, che si usa normalmente per affermare la retta fede, significa letteralmente ortodoxia (Doxa = gloria), ossia il retto modo di glorificare, di adorare e quindi il modo giusto di celebrare. La regola della fede coincide allora con la regola della liturgia.[1] Ma la crisi della Liturgia oggi si inscrive nel contesto della ben più profonda crisi della Verità, non solo nell’ambito teologico della riflessione e in quello omiletico e catechistico della pastorale, ma ancor più nella crisi filosofica della metafisica. Infatti, oggi è la ragione come facoltà in grado di poter cogliere le verità spirituali, al di là dell’esperienza scientifica, che è compromessa. Non si crede più, anzi si nega, o comunque si dubita, che la ragione umana sia capace di individuare con sicurezza, anche se in modo analogico, le verità soprannaturali, al di sopra di quelle quantificabili dalle scienze empiriche, ossia si dichiara l’impossibilità della metafisica. La crisi della fede allora è anzitutto oggi la crisi della ragione, senza la quale la fede stessa sarebbe privata di un costitutivo essenziale quale è la retta razionalità e si ridurrebbe ad un fragile e soggettivo fideismo. Nella crisi generale, propria della cultura europea, della filosofia fondamentale, non fa meraviglia che ne segua una generale crisi dei principi stessi su cui si fonda la Liturgia, venendo meno la possibilità di approccio al suo contenuto, il mistero rivelato, nell’oggettività di fatti storici e di precisi contenuti logici.
Al contempo anche la crisi della Liturgia, che intendesse esprimersi in forme inadeguate, difformi dalla divina bellezza e in una creatività soggettiva, intacca il dogma della fede, o comunque lo oscura, lo riduce e lo traduce in espressioni insufficienti, mancanti e mediocri. La crisi del linguaggio liturgico è una conseguenza della più vasta crisi del linguaggio in generale. Infatti, in analogia alla crisi del concetto, non si ritiene possibile l’impiego di termini e simboli universali e permanenti, ma solo di espressioni contingenti, continuamente mutevoli e create volta a volta dal soggetto, senza alcuna base oggettiva. E’ questa una delle cause di una certa creatività sempre in movimento e di una continua ricerca mai conclusa. Da ciò si capisce come Verità e Liturgia interagiscano a vicenda e senza possibilità di indipendenza e l’una e l’altra subiscano i contraccolpi positivi o negativi del loro stato di salute.
Infine la pastorale, in tutte le sue manifestazioni più varie, che sono l’espressione molteplice della Carità che irrompe benefica in ogni aspetto della vita sociale e individuale, determinerà la sua qualità, sia dalla Verità del dogma, che è oggetto dell’annunzio, quale Parola di Dio, sia dalla Liturgia, che è l’incontro salvifico e la contemplazione orante col Mistero che qui ed ora ci salva. Infatti la Liturgia, che porta in se stessa anche il momento più eccelso ed efficace dell’annunzio della Verità, è il culmine verso cui tende l’azione pastorale della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù (SC 10). È allora evidente come Verità, Liturgia e Carità esprimano quel trinomio così inscindibile e interagente da essere quasi l’immagine dell’unione mirabile e della comunione indivisibile della Trinità divina, in seno alla quale Verità, Liturgia e Carità hanno la loro fonte e il loro modello.
(Testo tratto da “La centralità della liturgia nella storia della salvezza”, Edizioni Fede & Cultura, pp. 84-88).
1) J. RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia, pp. 155-156.
Fonte: www.zenit.org
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