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Di Stefano Fontana, 28 Feb 2025
Ci sono state e ci sono tuttora molte storie di sacerdoti che hanno deciso di operare direttamente a contatto con i problemi sociali, impegnandosi su posizioni di frontiera in modo operativo, collocandosi dentro le vicende concrete della vita sociale. C’erano stati i “preti operai”, poi si è parlato di “preti di strada” e più di recente di “preti delle periferie”. Gli interessati hanno spesso rifiutato queste formule, ritenute riduttive e fuorvianti, io le uso qui non perché le condivida ma per far capire al lettore di chi e di cosa ci stiamo occupando.
Tra di loro c’è chi si è impegnato direttamente per la legalità e contro le mafie, chi è operativo nell’aiuto ai senzatetto, chi ha deciso di dedicare la propria vita al sostegno di chi è dipendente dalle droghe. Alcuni nomi sono famosi – Grillo, Ciotti, Mazzi, Albanesi – perché sono saliti alla ribalta della cronaca, altri sono più sconosciuti.
Di recente si è assistito ad un fatto nuovo: molti vescovi di recente nomina, alcuni diventati poi cardinali, provengono proprio da questo mondo e sembra che la linea di Francesco sia di valorizzare queste esperienze di prima linea legate alle varie forme del movimentismo popolare. Tra di loro ci sono sacerdoti che intendono correttamente questo loro impegno come emanato dalla fede cattolica intesa in senso pieno. Molti altri parlano invece di una Chiesa senza dogmi e sostengono che il cristianesimo sia in fondo una prassi di vicinanza e di trasformazione della società.
Prima di Francesco questi sacerdoti si contrapponevano al vescovo diocesano, criticavano la Chiesa non solo negli atteggiamenti dei vertici ma anche nella dottrina insegnata. A Trieste, per esempio, un gruppo di una decina di sacerdoti chiamati dai giornali “preti di strada” ha pubblicato per anni una “Lettera di Natale” fortemente critica verso la Chiesa e il suo posizionamento nella società di allora. Durante il pontificato di Francesco, invece, non si nota più nessun contrasto tra questi sacerdoti e il loro vescovo, la cosa è diventata normale perché i vertici ecclesiali stessi hanno fatto propria questa visione del ruolo del sacerdote.
Il ruolo “sociale” del sacerdote
L’impegno sociale dei cattolici dovrebbe essere svolto alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. Tutta la Chiesa, nei suoi vari componenti, è impegnata nell’evangelizzazione del sociale, come insegna il paragrafo 79 del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa. Ciò comporta che anche il sacerdote abbia un proprio compito, diverso però da quello del laico. Le esperienze richiamate sopra, invece, non distinguono tra i carismi e vorrebbero mobilitare la Chiesa intera in un’unica prassi di liberazione.
Il ruolo “sociale” del sacerdote
L’impegno sociale dei cattolici dovrebbe essere svolto alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. Tutta la Chiesa, nei suoi vari componenti, è impegnata nell’evangelizzazione del sociale, come insegna il paragrafo 79 del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa. Ciò comporta che anche il sacerdote abbia un proprio compito, diverso però da quello del laico. Le esperienze richiamate sopra, invece, non distinguono tra i carismi e vorrebbero mobilitare la Chiesa intera in un’unica prassi di liberazione.
Dopo il Vaticano II si è diffusa l’idea che non esista nella Chiesa una gerarchia di status e di competenze e che il Battesimo elimini le differenze. Essere laico, sacerdote o religioso sarebbe in fondo lo stesso e avrebbe la stessa dignità. Da qui l’equivoco ricorrente di laici impegnati solo sull’altare e in parrocchia (e non nella società e nella politica) e di sacerdoti impegnati nella società e in politica (e non sull’altare o in parrocchia).
Come si vede, il variegato fenomeno dei vecchi e nuovi “preti di strada” comporta una visione non propriamente corretta della Chiesa, della sua struttura e della sua stessa missione. Proviamo allora a verificare cosa dica la Dottrina sociale della Chiesa a proposito del ruolo che il sacerdote deve assumere in questo campo.
Il paragrafo 39 del Compendio riassume molto bene i compiti del presbitero nel campo della Dottrina sociale. Dopo aver ricordato che il presbitero collabora ad attuare l’azione pastorale del Vescovo, primo responsabile dell’evangelizzazione del sociale nella sua diocesi, questo paragrafo dice: “Con la programmazione di opportuni itinerari formativi, il presbitero deve far conoscere la dottrina sociale e promuovere nei membri della sua comunità la coscienza del diritto e dovere di essere soggetti attivi di tale dottrina. Tramite le celebrazioni sacramentali, in particolare quelle dell’Eucaristia e della Riconciliazione, il sacerdote aiuta a vivere l’impegno sociale come frutto del Mistero salvifico. Egli deve animare l’azione pastorale in ambito sociale, curando con particolare sollecitudine la formazione e l’accompagnamento spirituale dei fedeli impegnati nella vita sociale e politica. Il presbitero che svolge il servizio pastorale nelle varie aggregazioni ecclesiali, specie in quelle di apostolato sociale, ha il compito di favorirne la crescita con il necessario insegnamento della dottrina sociale”.
Il paragrafo 39 del Compendio riassume molto bene i compiti del presbitero nel campo della Dottrina sociale. Dopo aver ricordato che il presbitero collabora ad attuare l’azione pastorale del Vescovo, primo responsabile dell’evangelizzazione del sociale nella sua diocesi, questo paragrafo dice: “Con la programmazione di opportuni itinerari formativi, il presbitero deve far conoscere la dottrina sociale e promuovere nei membri della sua comunità la coscienza del diritto e dovere di essere soggetti attivi di tale dottrina. Tramite le celebrazioni sacramentali, in particolare quelle dell’Eucaristia e della Riconciliazione, il sacerdote aiuta a vivere l’impegno sociale come frutto del Mistero salvifico. Egli deve animare l’azione pastorale in ambito sociale, curando con particolare sollecitudine la formazione e l’accompagnamento spirituale dei fedeli impegnati nella vita sociale e politica. Il presbitero che svolge il servizio pastorale nelle varie aggregazioni ecclesiali, specie in quelle di apostolato sociale, ha il compito di favorirne la crescita con il necessario insegnamento della dottrina sociale”.
Come si vede, da questo testo non emerge nessuna indicazione su un impegno attivo e diretto del sacerdote. Egli ha prima di tutto un compito formativo nel far conoscere ai fedeli i principi della Dottrina sociale, anche e soprattutto se ha l’incarico di animare qualche aggregazione laicale impegnata nello spazio pubblico. Questo impegno non è solo informativo, ma formativo, ossia l’insegnamento della Dottrina sociale deve essere collocato dentro la tradizione della Chiesa e la dottrina della fede. Il suo impegno poi si completa nel seguire i fedeli laici nel loro operato, assistendoli spiritualmente e sul campo. Egli si misura con le questioni concrete non affrontandole direttamente ma agendo da direttore spirituale.
Queste funzioni non sono tuttavia le principali, perché quella fondamentale sembra essere la celebrazione dei sacramenti, in particolar modo la Santa Messa e la confessione. La confessione era in fondo implicita già nell’indicazione di accompagnare spiritualmente i fedeli laici. La celebrazione dell’Eucarestia emerge quindi con una particolare rilevanza a dire tutta l’importanza del nesso tra impegno sociale di evangelizzazione della Chiesa e la liturgia: lex orandi lex credendi e, possiamo dire, lex operandi.
Il Direttorio di pastorale sociale Evangelizzare il sociale dei vescovi italiani, che è precedente al Compendio (1991), aggiunge a quanto ora visto altri due spunti: “aiutare i genitori e gli educatori ad adempiere la loro vocazione educativa per la formazione sociale e politica”; “Nelle omelie, nelle catechesi, nelle istruzioni, nei ritiri spirituali, non tralascino di richiamare i doveri sociali del cristiano, l’ispirazione e le energie che gli vengono dall’adesione a Cristo e al suo Vangelo e dai sacramenti”.
Senza voler generalizzare, sembra molto evidente che oggi i sacerdoti non hanno molto presente questi loro compiti, mentre c’è tutta una fretta di andare in prima linea per “partecipare” direttamente all’edificazione… di quale società? Senza i presupposti ora visti, i preti di frontiera vanno allo sbaraglio.
Una valutazione teologica
Le esperienze di sacerdoti che concentrano tutto il loro essere sacerdoti in una prassi sociale non avvengono per caso e non sono immotivate. Una nuova teologia le anima e le giustifica.
Già Leone XIII nell’enciclica Testem benevolentiae (1899) lamentava la priorità data alle virtù pratiche rispetto a quelle contemplative, che invece dovrebbero essere privilegiate. Egli faceva notare che in questo modo veniva invertito il rapporto tra la natura e la soprannatura, finendo per sostenere che la prima è più efficace della seconda. La retta dottrina ci dice, invece, che il sacerdote che passa la vita in confessionale realizza con grande efficacia una trasformazione molto concreta della stessa vita sociale. È prima di tutto celebrando sull’altare che il Sacerdote fa un servizio alla società mondana, perché nel sacrificio della croce e della resurrezione si attua la nuova creazione che riguarda l’intera realtà decaduta. Se un sacerdote facesse solo questo, farebbe già moltissimo per il rinnovamento della società.
Il Direttorio di pastorale sociale Evangelizzare il sociale dei vescovi italiani, che è precedente al Compendio (1991), aggiunge a quanto ora visto altri due spunti: “aiutare i genitori e gli educatori ad adempiere la loro vocazione educativa per la formazione sociale e politica”; “Nelle omelie, nelle catechesi, nelle istruzioni, nei ritiri spirituali, non tralascino di richiamare i doveri sociali del cristiano, l’ispirazione e le energie che gli vengono dall’adesione a Cristo e al suo Vangelo e dai sacramenti”.
Senza voler generalizzare, sembra molto evidente che oggi i sacerdoti non hanno molto presente questi loro compiti, mentre c’è tutta una fretta di andare in prima linea per “partecipare” direttamente all’edificazione… di quale società? Senza i presupposti ora visti, i preti di frontiera vanno allo sbaraglio.
Una valutazione teologica
Le esperienze di sacerdoti che concentrano tutto il loro essere sacerdoti in una prassi sociale non avvengono per caso e non sono immotivate. Una nuova teologia le anima e le giustifica.
Già Leone XIII nell’enciclica Testem benevolentiae (1899) lamentava la priorità data alle virtù pratiche rispetto a quelle contemplative, che invece dovrebbero essere privilegiate. Egli faceva notare che in questo modo veniva invertito il rapporto tra la natura e la soprannatura, finendo per sostenere che la prima è più efficace della seconda. La retta dottrina ci dice, invece, che il sacerdote che passa la vita in confessionale realizza con grande efficacia una trasformazione molto concreta della stessa vita sociale. È prima di tutto celebrando sull’altare che il Sacerdote fa un servizio alla società mondana, perché nel sacrificio della croce e della resurrezione si attua la nuova creazione che riguarda l’intera realtà decaduta. Se un sacerdote facesse solo questo, farebbe già moltissimo per il rinnovamento della società.
La vita di grazia non tocca la natura indirettamente ma direttamente. Essa la invade e la trasforma purificandola e innalzandola. L’attuale passione per la prassi, alla quale anche la pastorale viene assimilata, rovescia questi rapporti e fa di molti sacerdoti dei militanti sociali, col pericolo di finire vittime di ideologie e di prese di posizione limitate e parziali vissute come aventi un valore evangelico assoluto.
Gli sviluppi della teologia contemporanea hanno aggiunto potenti spinte alla tendenza che Leone XIII segnalava con preoccupazione. Da tempo la teologia ha cambiato la propria visione del rapporto tra la Chiesa e il mondo, sostenendo che essa non è nel mondo, ma è mondo. Dio si autocomunica nella storia dell’umanità e la Chiesa non gode di alcun privilegio né può vantare una supremazia sul mondo.
Gli sviluppi della teologia contemporanea hanno aggiunto potenti spinte alla tendenza che Leone XIII segnalava con preoccupazione. Da tempo la teologia ha cambiato la propria visione del rapporto tra la Chiesa e il mondo, sostenendo che essa non è nel mondo, ma è mondo. Dio si autocomunica nella storia dell’umanità e la Chiesa non gode di alcun privilegio né può vantare una supremazia sul mondo.
La grazia è già presente nella natura, lo Spirito è operante nella storia anche al di fuori dei confini ecclesiali, nelle concrete situazioni storiche. Esso chiede alla Chiesa di “uscire”, ossia di farsi mondo e sintonizzarsi su quanto Dio ci sta dicendo attraverso gli eventi del tempo. Di conseguenza il primo modo di essere contemplativi è di essere attivi, l’unico modo di parlare di Dio è parlare dell’uomo, l’unica maniera di essere Chiesa è di scegliere una prassi di laicità, il modo principale di celebrare il Santo Sacrificio è di farlo sull’altare del mondo, che a questo punto ha un valore sacramentale.
I cosiddetti “segni dei tempi” vengono intesi come gli inviti contenuti nella concreta storia dell’umanità a rileggere il Vangelo, il proprio essere sacerdote, il proprio essere Chiesa, e non il contrario. La logica interna a queste esperienze sociali e politiche dirette dei sacerdoti non è di uscire e testimoniare la rivelazione, ma è di uscire per incontrare la rivelazione nei crocevia della vita.
[La Bussola Mensile, gennaio 2025, pp. 25-27].
(Foto: Wikipedia e Pixabay)
[La Bussola Mensile, gennaio 2025, pp. 25-27].
(Foto: Wikipedia e Pixabay)