Effetto Francesco anche sul latino... L’errore nell’epigrafe dei nuovi manufatti installati a Santa Maria Maggiore per il giubileo sono solo il punto di arrivo nel lungo declino dell’arte sacra. A cui oggi si aggiunge la complicata gestione delle opere realizzate da Marko Rupnik: Franciscus P.M.A.X. Come se fossero quattro parole. Persino il latino non conoscono più! Tenuto conto che anche la risposta ai Dubia e altro ancora viene scritto in spagnolo: la nuova lingua ufficiale della Chiesa?
5 novembre 2023
L’errore nell’epigrafe dei nuovi manufatti installati a Santa Maria Maggiore per il giubileo sono solo il punto di arrivo nel lungo declino dell’arte sacra. A cui oggi si aggiunge la complicata gestione delle opere realizzate da Marko Rupnik -- Presumibilmente in vista del giubileo, a Santa Maria Maggiore sono stati collocati, davanti all’altare maggiore, due nuovi manufatti marmorei di un bianco squillante. Sulla destra, affiancato da un alto candelabro destinato a sorreggere il cero pasquale, un ambone – il podio utilizzato per le letture liturgiche – è decorato con bassorilievi in metallo dorato e fregi in mosaico che riecheggiano il pavimento cosmatesco, tipico del medioevo romano.
A sinistra una cattedra bianchissima si innalza su una gradinata grigia circolare a tre livelli. Su una placca sormontata dallo stemma papale – la triplice corona sopra le chiavi incrociate – si legge l’attuale denominazione latina dell’antichissima chiesa, «sacrosancta papalis basilica Liberiana». Sul secondo gradino è inciso invece, in latino, il nome del papa, seguito da quattro lettere inframezzate da punti, un’assoluta novità epigrafica: «Franciscus P.M.A.X.».
Dato il contesto, non è difficile capire che la sigla vorrebbe indicare la qualifica di Francesco, ovviamente «pontifex maximus». In origine la denominazione indicava nell’antica Roma il capo del collegio sacerdotale incaricato del culto pagano. Con Augusto il titolo di pontefice massimo venne assunto dagli imperatori e fu mantenuto da quelli cristiani – iniziando da Costantino – finché Graziano lo rifiutò una quarantina d’anni più tardi, probabilmente nel 375. Come titolo papale «pontifex maximus» entra invece nell’uso dopo oltre un millennio, in età umanistica. Abbreviato «pontif. max.» si trova nella porta bronzea eseguita per la basilica vaticana dal Filarete tra il 1433 e il 1445, divenendo comune con l’abbreviazione «pont. max.» che prevale in moltissime iscrizioni. Così, sulla facciata di San Pietro a lettere gigantesche si legge che la basilica fu completata «in onore del principe degli apostoli» da «Paulus V Burghesius Romanus pont. max.», il cui nome spicca al centro con più risalto di quello del pescatore di Betsaida.
Unico è il contesto della nuova sigla. La basilica dedicata alla Vergine – detta liberiana da papa Liberio e dove si mescolano almeno tredici secoli di arte e di storia – è infatti la più bella delle quattro basiliche «papali» (che erano «patriarcali» fino al 2006, quando Benedetto XVI ha lasciato cadere il titolo di «patriarca d’occidente» [Ora Bergoglio è andato oltre: Nuovo Annuario Vaticano: Vicario di Cristo è solo un “titolo storico” qui ): oltre Santa Maria, la basilica vaticana di San Pietro, l’ostiense di San Paolo fuori le Mura e la lateranense di San Giovanni, cattedrale di Roma.
A sinistra una cattedra bianchissima si innalza su una gradinata grigia circolare a tre livelli. Su una placca sormontata dallo stemma papale – la triplice corona sopra le chiavi incrociate – si legge l’attuale denominazione latina dell’antichissima chiesa, «sacrosancta papalis basilica Liberiana». Sul secondo gradino è inciso invece, in latino, il nome del papa, seguito da quattro lettere inframezzate da punti, un’assoluta novità epigrafica: «Franciscus P.M.A.X.».
Dato il contesto, non è difficile capire che la sigla vorrebbe indicare la qualifica di Francesco, ovviamente «pontifex maximus». In origine la denominazione indicava nell’antica Roma il capo del collegio sacerdotale incaricato del culto pagano. Con Augusto il titolo di pontefice massimo venne assunto dagli imperatori e fu mantenuto da quelli cristiani – iniziando da Costantino – finché Graziano lo rifiutò una quarantina d’anni più tardi, probabilmente nel 375. Come titolo papale «pontifex maximus» entra invece nell’uso dopo oltre un millennio, in età umanistica. Abbreviato «pontif. max.» si trova nella porta bronzea eseguita per la basilica vaticana dal Filarete tra il 1433 e il 1445, divenendo comune con l’abbreviazione «pont. max.» che prevale in moltissime iscrizioni. Così, sulla facciata di San Pietro a lettere gigantesche si legge che la basilica fu completata «in onore del principe degli apostoli» da «Paulus V Burghesius Romanus pont. max.», il cui nome spicca al centro con più risalto di quello del pescatore di Betsaida.
Unico è il contesto della nuova sigla. La basilica dedicata alla Vergine – detta liberiana da papa Liberio e dove si mescolano almeno tredici secoli di arte e di storia – è infatti la più bella delle quattro basiliche «papali» (che erano «patriarcali» fino al 2006, quando Benedetto XVI ha lasciato cadere il titolo di «patriarca d’occidente» [Ora Bergoglio è andato oltre: Nuovo Annuario Vaticano: Vicario di Cristo è solo un “titolo storico” qui ): oltre Santa Maria, la basilica vaticana di San Pietro, l’ostiense di San Paolo fuori le Mura e la lateranense di San Giovanni, cattedrale di Roma.
Il declino
Il grottesco incidente della sigla P.M.A.X. si aggiunge alla stridente collocazione di ambone, candelabro e trono – più adatti a un film ambientato nel medioevo – ai due lati del baldacchino, retto da quattro meravigliose colonne di porfido, che sormonta l’altare maggiore. Cioè in una zona dove gli importanti interventi settecenteschi e ottocenteschi avevano dimostrato di sapersi confrontare con l’assetto precedente della millenaria basilica, a conferma che l’antico può armoniosamente convivere con il moderno.
Del tutto incongrue appaiono dunque a Santa Maria Maggiore le nuove aggiunte, di un livello certo non all’altezza dello scenario circostante. Ma stupefatti lasciano tanto la sigla – più surreale che maccheronica – quanto la trascuratezza o la distrazione dei committenti, davvero imperdonabili. Quelli che avrebbero dovuto sorvegliare sono anch’essi così a digiuno di un minimo di latino e di storia da non essersi finora accorti dello sfondone?
I maldestri interventi nella basilica liberiana sono l’ennesima manifestazione di un innegabile declino della committenza artistica, ma più in generale del livello culturale, nella chiesa cattolica. Almeno nella città papale. Anche se a Roma proprio gli anni santi – da quello del 1450 e nei tre secoli successivi – sono all’origine di trasformazioni artistiche e urbanistiche spesso magnifiche, ma seguite da una decadenza che negli ultimi decenni si è accentuata.
Fino a tollerare in piazza San Pietro, spezzettata da transenne, la collocazione nel periodo natalizio di presepi, giganteschi e sempre più brutti, dal pontificato di Giovanni Paolo II in poi. Ma nel 2019 è stato aggiunto nell’emiciclo un monumento ai migranti [vedi]. Per la verità il manufatto avrebbe dovuto essere poi spostato nei giardini vaticani – che da quasi un secolo e mezzo ospitano opere di modesto valore donate ai pontefici – ma per il momento resta, accostato al colonnato di sinistra, a cimentarsi con il capolavoro di Bernini. (...)
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