REGNO UNITO
VITA E BIOETICA
Patricia Gooding-Williams, 09-11-2023
La speranza che un tribunale permettesse il trasferimento di Indi Gregory in Italia si è probabilmente infranta ieri pomeriggio, quando il giudice Peel ha consegnato ai genitori di Indi la decisione finale su dove la bambina di 8 mesi avrebbe dovuto trascorrere le sue ultime ore di vita: «Il supporto vitale della piccola Indi deve essere rimosso alle 14 (ora inglese, le 15 in Italia, ndr) di domani, giovedì 9 novembre, al Queen's Medical Centre o in un hospice».
Non potrà dunque essere trasferita nella sua casa di Ilkeston, Derbyshire, come avevano chiesto i genitori, si legge nel comunicato stampa di Christian Concern, l’associazione che sta assistendo la famiglia. I genitori hanno già annunciato il ricorso contro la decisione. Vogliono chiedere ancora una volta che a Indi, nata con la malattia mitocondriale, sia permesso di tornare a casa in questo tragico momento della sua breve vita. La decisione del tribunale di accettare o rifiutare la loro richiesta sarà comunicata oggi.
La vita di Indi è appesa a un filo da quando, lo scorso settembre, è iniziato il contenzioso tra il Nottingham Hospital Trust e i genitori, Dean Gregory e Claire Staniforth, su quale sia “il miglior interesse” della bambina che oggi ha otto mesi. Lo scorso 16 ottobre Il giudice Peel ha autorizzato il ritiro del supporto vitale di Indi. Sarebbe stata la prima di una serie di sentenze che condannano di fatto la bambina a una morte prematura. Una nuova speranza di salvare Indi, tuttavia, è arrivata quando l'Italia si è interessata al suo caso e dopo che la famiglia aveva esaurito tutte le possibili vie legali nel Regno Unito e presso la CEDU. La disponibilità offerta dall'Ospedale pediatrico vaticano Bambin Gesù di accogliere Indi e continuare le sue cure, compresa un'operazione al cuore che le avrebbe permesso di respirare autonomamente, sembrava dare a Indi un'altra insperata possibilità. Ma con grande sgomento della famiglia e dell'opinione pubblica, il giudice Peel, in due sentenze dell'Alta Corte, ha bloccato il trasferimento di Indi in Italia per le cure specialistiche e ha nuovamente stabilito che la morte di Indi è nel suo "miglior interesse".
Per non essere sconfitta al primo ostacolo, l'Italia ha risposto alla sentenza di Peel concedendo a Indi la cittadinanza italiana il 6 novembre con una riunione d’emergenza del Consiglio dei ministri presieduto da Giorgia Meloni. Inoltre il governo ha garantito il pagamento delle cure a Roma e ha emesso un provvedimento d'urgenza che autorizza il trasferimento della bambina al Bambin Gesù. Dean Gregory ha dichiarato alla Bussola di aver già «raccolto i soldi necessari per finanziare l'aereo-ambulanza che porterà la piccola Indi in Italia e le darà una possibilità di vita».
Non potrà dunque essere trasferita nella sua casa di Ilkeston, Derbyshire, come avevano chiesto i genitori, si legge nel comunicato stampa di Christian Concern, l’associazione che sta assistendo la famiglia. I genitori hanno già annunciato il ricorso contro la decisione. Vogliono chiedere ancora una volta che a Indi, nata con la malattia mitocondriale, sia permesso di tornare a casa in questo tragico momento della sua breve vita. La decisione del tribunale di accettare o rifiutare la loro richiesta sarà comunicata oggi.
La vita di Indi è appesa a un filo da quando, lo scorso settembre, è iniziato il contenzioso tra il Nottingham Hospital Trust e i genitori, Dean Gregory e Claire Staniforth, su quale sia “il miglior interesse” della bambina che oggi ha otto mesi. Lo scorso 16 ottobre Il giudice Peel ha autorizzato il ritiro del supporto vitale di Indi. Sarebbe stata la prima di una serie di sentenze che condannano di fatto la bambina a una morte prematura. Una nuova speranza di salvare Indi, tuttavia, è arrivata quando l'Italia si è interessata al suo caso e dopo che la famiglia aveva esaurito tutte le possibili vie legali nel Regno Unito e presso la CEDU. La disponibilità offerta dall'Ospedale pediatrico vaticano Bambin Gesù di accogliere Indi e continuare le sue cure, compresa un'operazione al cuore che le avrebbe permesso di respirare autonomamente, sembrava dare a Indi un'altra insperata possibilità. Ma con grande sgomento della famiglia e dell'opinione pubblica, il giudice Peel, in due sentenze dell'Alta Corte, ha bloccato il trasferimento di Indi in Italia per le cure specialistiche e ha nuovamente stabilito che la morte di Indi è nel suo "miglior interesse".
Per non essere sconfitta al primo ostacolo, l'Italia ha risposto alla sentenza di Peel concedendo a Indi la cittadinanza italiana il 6 novembre con una riunione d’emergenza del Consiglio dei ministri presieduto da Giorgia Meloni. Inoltre il governo ha garantito il pagamento delle cure a Roma e ha emesso un provvedimento d'urgenza che autorizza il trasferimento della bambina al Bambin Gesù. Dean Gregory ha dichiarato alla Bussola di aver già «raccolto i soldi necessari per finanziare l'aereo-ambulanza che porterà la piccola Indi in Italia e le darà una possibilità di vita».
Nel frattempo, i medici responsabili delle cure di Indi hanno continuato a sottoporre la famiglia a forti pressioni per interrompere il supporto vitale. Ieri i medici dell'ospedale, approfittando di un errore nel documento dei giudici hanno minacciato di avviare il protocollo immediatamente e in assenza del padre di Indi. Dean Gregory ha quindi dichiarato alla Bussola: «La minaccia dell'ospedale di rimuovere il supporto vitale prima dell'invio della sentenza ufficiale mi ha causato un grande stress, mi è sembrato che stessi per avere un attacco di cuore, il pensiero di rimuovere il supporto vitale quando non ero presente è una cosa assolutamente vergognosa e senza cuore da suggerire».
Forse i medici dell'ospedale di Nottingham stanno diventando sempre più nervosi davanti alla eventualità che, continuando gli avvocati a guadagnare tempo, si possano creare le condizioni per il trasferimento di Indi in Italia. Il 7 novembre «il console italiano a Manchester, Matteo Corradini, in qualità di tutore di Indi Gregory, ha emesso un provvedimento d'urgenza, riconoscendo l'autorità dei tribunali italiani e la sentenza su questo caso. La sentenza autorizza il trasferimento del minore all'ospedale Bambin Gesù di Roma e l'adozione del piano terapeutico proposto. Il console italiano ha inoltre nominato un tutore speciale per gestire la situazione. Il decreto è stato comunicato dal tutore al direttore generale dell'ospedale britannico per favorire una collaborazione ordinata e costruttiva tra le autorità sanitarie italiane e inglesi, al fine di evitare questioni legali di conflitto di giurisdizione», ha annunciato Tom Allen a nome del Christian Concern.
Dean Gregory, da parte sua, ha ringraziato il presidente, il governo e il popolo italiano con una dichiarazione pubblica: «Vi ringraziamo dal profondo del cuore e vi vediamo come l'angelo custode di Indi per la compassione e l'amore che avete, cercando di aiutare nostra figlia a ricevere le cure di cui ha bisogno e per la devozione che avete per Indi, questo ci rende felici". Ma è ancora urgente fare appello al governo britannico affinché permetta a Indi di venire in Italia, prima che sia troppo tardi. Come padre, non ho mai chiesto o implorato nulla in vita mia, ma vi prego di aiutarci a evitare che la vita di nostra figlia venga portata via".
Sulla vicenda di Indy sono intervenuti anche i vescovi cattolici: il 7 novembre, Patrick McKinney, vescovo di Nottingham, e John Sherrington, responsabile Vita della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, hanno pubblicato una dichiarazione congiunta a sostegno del diritto alla vita. «La sospensione di terapie sproporzionate non può giustificare la sospensione delle cure di base, che comprendono i trattamenti necessari per mantenere le funzioni fisiologiche essenziali finché l'organismo ne può beneficiare (come l'idratazione, la nutrizione, il supporto respiratorio proporzionato, la termoregolazione e la gestione del dolore) (...) Non dovremmo mai agire con l'intenzione deliberata di porre fine a una vita umana, compresa la rimozione delle cure di base per raggiungere la morte», si legge nella dichiarazione.
Hollie Dance, madre di Archie Battersbee, che ha combattuto e perso la sua battaglia per difendere il diritto alla vita del figlio, compreso il diritto di portarlo all'estero per le cure, ha dichiarato alla Bussola: «Sono al fianco di Dean e Claire nella loro lotta per salvare Indi. Non credo che la gente si renda conto che in questi casi si è prigionieri dello Stato. Se non si vivono queste situazioni, non si ha idea di quanto sia cupa e solitaria questa lotta».
Nel corso degli anni, il Regno Unito è stato teatro di una serie di casi di fine vita che hanno fatto rumore. Questi casi hanno diversi punti in comune, ma ce n'è uno che spicca in questo momento particolare: l'evidente disparità tra ciò che i genitori dicono essere la condizione del loro bambino in ospedale e le tragiche dichiarazioni rilasciate sotto giuramento dai medici del Servizio sanitario nazionale. Nel caso di Indi, i medici hanno detto al giudice che Indi era «chiaramente angosciata, agitata e sofferente» a causa delle cure subite.
Forse i medici dell'ospedale di Nottingham stanno diventando sempre più nervosi davanti alla eventualità che, continuando gli avvocati a guadagnare tempo, si possano creare le condizioni per il trasferimento di Indi in Italia. Il 7 novembre «il console italiano a Manchester, Matteo Corradini, in qualità di tutore di Indi Gregory, ha emesso un provvedimento d'urgenza, riconoscendo l'autorità dei tribunali italiani e la sentenza su questo caso. La sentenza autorizza il trasferimento del minore all'ospedale Bambin Gesù di Roma e l'adozione del piano terapeutico proposto. Il console italiano ha inoltre nominato un tutore speciale per gestire la situazione. Il decreto è stato comunicato dal tutore al direttore generale dell'ospedale britannico per favorire una collaborazione ordinata e costruttiva tra le autorità sanitarie italiane e inglesi, al fine di evitare questioni legali di conflitto di giurisdizione», ha annunciato Tom Allen a nome del Christian Concern.
Dean Gregory, da parte sua, ha ringraziato il presidente, il governo e il popolo italiano con una dichiarazione pubblica: «Vi ringraziamo dal profondo del cuore e vi vediamo come l'angelo custode di Indi per la compassione e l'amore che avete, cercando di aiutare nostra figlia a ricevere le cure di cui ha bisogno e per la devozione che avete per Indi, questo ci rende felici". Ma è ancora urgente fare appello al governo britannico affinché permetta a Indi di venire in Italia, prima che sia troppo tardi. Come padre, non ho mai chiesto o implorato nulla in vita mia, ma vi prego di aiutarci a evitare che la vita di nostra figlia venga portata via".
Sulla vicenda di Indy sono intervenuti anche i vescovi cattolici: il 7 novembre, Patrick McKinney, vescovo di Nottingham, e John Sherrington, responsabile Vita della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, hanno pubblicato una dichiarazione congiunta a sostegno del diritto alla vita. «La sospensione di terapie sproporzionate non può giustificare la sospensione delle cure di base, che comprendono i trattamenti necessari per mantenere le funzioni fisiologiche essenziali finché l'organismo ne può beneficiare (come l'idratazione, la nutrizione, il supporto respiratorio proporzionato, la termoregolazione e la gestione del dolore) (...) Non dovremmo mai agire con l'intenzione deliberata di porre fine a una vita umana, compresa la rimozione delle cure di base per raggiungere la morte», si legge nella dichiarazione.
Hollie Dance, madre di Archie Battersbee, che ha combattuto e perso la sua battaglia per difendere il diritto alla vita del figlio, compreso il diritto di portarlo all'estero per le cure, ha dichiarato alla Bussola: «Sono al fianco di Dean e Claire nella loro lotta per salvare Indi. Non credo che la gente si renda conto che in questi casi si è prigionieri dello Stato. Se non si vivono queste situazioni, non si ha idea di quanto sia cupa e solitaria questa lotta».
Nel corso degli anni, il Regno Unito è stato teatro di una serie di casi di fine vita che hanno fatto rumore. Questi casi hanno diversi punti in comune, ma ce n'è uno che spicca in questo momento particolare: l'evidente disparità tra ciò che i genitori dicono essere la condizione del loro bambino in ospedale e le tragiche dichiarazioni rilasciate sotto giuramento dai medici del Servizio sanitario nazionale. Nel caso di Indi, i medici hanno detto al giudice che Indi era «chiaramente angosciata, agitata e sofferente» a causa delle cure subite.
Tuttavia, è difficile far coincidere questa affermazione con i video molto recenti, girati dai genitori, in cui Indi risponde al tocco dei genitori, godendosi chiaramente la musica in sottofondo senza alcun segno visibile di dolore. Inoltre, nell'ultima sentenza dell'Alta Corte che ha negato a Indi la possibilità di tornare a casa, si legge: «Il Trust cercherà di stabilizzarla dopo l'estubazione e di valutare il passo successivo, un processo che secondo loro potrebbe richiedere una settimana o poco più». Se Indi può sopravvivere per «circa una settimana» dopo l'estubazione, ci si chiede perché Indi non possa correre il rischio di andare in Italia e magari vivere tre settimane o più?
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