C’è ancora qualcosa da dire sulle manie ermeneutiche, di cui al precedente articolo.
Di Silvio Brachetta, 2 NOV 2023
Per giustificare l’evoluzione dei dogmi e della verità, il progressismo teologico cita spesso e stravolge il senso di due brani del Vangelo secondo Giovanni. Si tratta di due affermazioni di Gesù Cristo:
«Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»[1].
«Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future»[2].
Leggendo in superficie, sembra che Gesù Cristo non abbia detto tutto e che ci siano verità nascoste. Un’esegesi imprecisa sostiene – oramai da troppo tempo – che la verità sulla salvezza sia incompleta e, per questo, il senso della Sacra Scrittura e della dogmatica sarebbe soggetto a mutamento, nella proporzione in cui lo Spirito di Verità parla nella storia.
Non c’è allora che vedere se le cose stanno veramente come le presenta il progressismo teologico o, al contrario, se il senso delle scritture è stato forzato per l’ennesima volta. Con non troppa fatica, vediamo brevemente come interpretano questi brani sant’Agostino d’Ippona e san Tommaso d’Aquino, Dottori della Chiesa. E ci darà una mano anche Giovanni Paolo II.
Quanto a Gv 16 – cioè quanto alla «verità tutta intera» – Agostino scrive[3] che lo Spirito Santo «in questa vita ammaestra parzialmente» e soltanto «dopo questa vita condurrà alla verità tutta intera». Gesù, quindi, non sta parlando solo della vicenda umana storica, ma di quella totale, eternità compresa. E questo accade non per una debolezza dello Spirito, ma dell’uomo, il quale, finché è «in questa vita, non può ottenere tutte le conoscenze».
Agostino è supportato da Giovanni Paolo II, in una sua Enciclica[4], che spiega più in profondità. L’uomo non può subito conoscere tutto anche per un altro motivo. E il motivo è spiegato da Gesù: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso»[5].
L’uomo, cioè, non può sapere tutto subito, non solo per la sua condizione di creatura imperfetta, ma anche perché lo scandalo della Croce è accettabile solo per mezzo della fede – e la fede prevede un cammino nel tempo.
Però attenzione: «diventa chiaro – dice sempre Giovanni Paolo II – che quel «guidare alla verità tutta intera» si ricollega, oltre che allo scandalum Crucis, anche a tutto ciò che Cristo “fece ed insegnò”».
È dunque erronea quell’interpretazione che giudica incompleta la dottrina insegnata dal Cristo e vede nell’azione dello Spirito Santo un’aggiunta posteriore di cose non dette. Uno dei motivi su cui si fonda quest’errore sta nel fatto di non considerare che con Gesù Cristo la Rivelazione si compie in modo definitivo – non vi è nulla di vero da aggiungere.
Altre argomentazioni sono portate da san Tommaso, in una delle sue opere[6]. E le riassumo di seguito:
1) Secondo Agostino – scrive Tommaso – è stoltezza cercare di capire di quali cose gli apostoli non erano in grado di portare il peso. Poiché se gli apostoli «non erano in grado di portarne il peso, molto meno lo potremo portare noi».
2) E dunque «non si deve pensare che ci siano dei segreti nella dottrina cristiana che vengono taciuti ai fedeli meno progrediti e insegnati a quelli più perfetti». Il Signore «propose ai discepoli tutte le cose della fede, ma non nel modo in cui le rivelò loro in seguito, specialmente nella vita eterna». Essi, infatti, non potevano avere, ad esempio, la piena conoscenza dell’uguaglianza del Figlio e del Padre: mistero poi intuito ed espresso a parole su ispirazione dello Spirito Santo, ma già presente nella predicazione del Cristo.
3) Ci sono, difatti, le medesime verità espresse in modo più o meno sublime, come dice san Paolo. Non si tratta di un difetto in Dio, ma dell’intelligenza umana delle Scritture che ancora essi non avevano, come i discepoli di Emmaus («[Gesù] aprì loro la mente a intendere le Scritture»).
4) E dunque la «verità tutta intera» è la verità di fede. Ma lo Spirito, dice Gesù, «non parlerà da sé», perché dev’essere chiaro che lo Spirito insegna «con la virtù del Padre e del Figlio», poiché da essi procede.
5) In particolare, lo Spirito Santo, dice sempre Gesù, «vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» («vi ricorderà», non «aggiungerà a suo piacere») e «prenderà del mio e ve l’annunzierà»[7].
La verità tutta intera, allora, non è l’interpretazione tutta intera: c’è un senso eterno nelle parole della Rivelazione. Il progresso non è da cercare nella verità, ma nella capacità umana di comprensione.
Al contrario, il progressismo teologico pretende di porre un principio temporale in Dio, per il quale la verità non sarebbe mai pronunciata in modo completo, ma a pezzi, durante i secoli della storia. Dio stesso, secondo questo schema assurdo, non presenterebbe mai la verità completa, ma sempre parziale, fino alla fine dei secoli.
Per questo motivo la teologia eterodossa prevede l’evoluzione dei dogmi e l’incessante rincorsa ad una verità, che sarebbe di proposito occultata da Dio all’uomo.
Silvio Brachetta
[1] «Paraclitus autem, Spiritus Sanctus, quem mittet Pater in nomine meo, ille vos docebit omnia et suggeret vobis omnia, quae dixi vobis» (Gv 14, 26).
[2] «Cum autem venerit ille, Spiritus veritatis, deducet vos in omnem veritatem; non enim loquetur a semetipso, sed quaecumque audiet, loquetur et, quae ventura sunt, annuntiabit vobis» (Gv 16, 13).
[3] Agostino d’Ippona, Contro Felice Manicheo, Libro I, n. 11.
[4] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Dominus et Vivificantem, 18/05/1986.
[5] Gv 16, 12.
[6] Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo di san Giovanni/3. XIII-XXI, Tito Centi (a cura di), Città Nuova, 1992, pp. 213-215.
[7] Gv 16, 14.
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