C’è chi ha descritto Filippo Turetta come «narcisista». Ma c’è un legame tra il narcisismo, l’ansia diffusa tra gli studenti e l’educazione odierna? Una risposta si può rinvenire nella denuncia di Wojtyła sulla «mentalità contraccettiva».
Roberto Marchesini, 28-11-2023
Forse anche per il film «della Cortellesi», in realtà soltanto l’interprete principale; forse per la «Giornata contro la violenza sulle donne»; sta di fatto che l’omicidio di Giulia Cecchettin continua a tenere banco. Sappiamo veramente poco di Filippo Turetta, ma qualcuno si è spinto a descriverlo come «narcisista». Questo del narcisismo è un fenomeno diffuso, generazionale, frutto dell’educazione contemporanea? Ha qualcosa a che fare con l’ansia che avvelena la vita agli studenti italiani, con la pressione e le aspettative che essi percepiscono?
La mia opinione, ovviamente eccepibile, è questa: i fenomeni descritti qui sopra sono la conseguenza della «mentalità contraccettiva» denunciata da Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae, del 25 marzo 1995. Secondo papa Wojtyła, la diffusione di aborto e contraccezione ha portato a una «mentalità contraccettiva» che porta a considerare il figlio come frutto delle proprie libere decisioni, più che un dono divino. L’uomo e la donna non sono più strumenti del progetto divino; essi diventano gli unici artefici della nascita del figlio che, a sua volta, diventa frutto di una libera decisione dei genitori. Aborto e contraccezione, scrive il pontefice, «sono molto spesso in intima relazione, come frutti di una medesima pianta. È vero che non mancano casi in cui alla contraccezione e allo stesso aborto si giunge sotto la spinta di molteplici difficoltà esistenziali, che tuttavia non possono mai esonerare dallo sforzo di osservare pienamente la Legge di Dio. Ma in moltissimi altri casi tali pratiche affondano le radici in una mentalità edonistica e deresponsabilizzante nei confronti della sessualità e suppongono un concetto egoistico di libertà che vede nella procreazione un ostacolo al dispiegarsi della propria personalità. La vita che potrebbe scaturire dall'incontro sessuale diventa così il nemico da evitare assolutamente e l'aborto l'unica possibile risposta risolutiva di fronte ad una contraccezione fallita» (§ 13).
Ok, ma che c’entra con il narcisismo, con l’ansia scolastica e le aspettative? Semplicissimo. Se un figlio non «arriva» ma è frutto di un progetto… chi progetterebbe un quidam de populo, lo «scemo del villaggio»? Se si deve progettare un figlio, bisogna che sia un essere speciale, un superuomo, dalle caratteristiche uniche e superiori alla media: una top model, un premio Nobel, un luminare… Così, il figlio della libera e autonoma scelta, il figlio voluto, cercato e progettato – il figlio cioè della «mentalità contraccettiva» – ha sulle spalle, fin dal momento del concepimento, aspettative altissime, con le quali si dovrà confrontare tutta la vita. Il suo «ideale dell’io», per dirla con Freud, sarà tanto elevato e perfetto da essere irraggiungibile; e lo condannerà, quindi, al fallimento, alla frustrazione, alla delusione delle aspettative altrui.
Ma che razza di ragionamento: tutti i genitori si creano una immagine del figlio, fanno dei progetti, sognano un futuro per la prole… sì e no.
Penso alla mia generazione, quella del millennio scorso. A quel tempo i figli non erano progettati: capitavano. Due si sposavano e, se Dio voleva, i figli arrivavano. E le aspettative? Le aspettative sui nati nella mia generazione erano qualcosa del genere: «Speriamo non diventi un drogato». In ogni altro caso sarebbe stato un successo. Mia mamma ancora non si capacita di come io non sia mai stato bocciato. La frase che abbiamo sentito più spesso è stata: «Non vuoi studiare? Nessun problema, vai a lavorare...»; anzi, forse è meglio, così porti a casa qualche soldino.
Certamente questo non sarà l’unico fattore che ha creato l’attuale situazione esistenziale dei nostri ragazzi; però magari, almeno un poco, ha contribuito. È uno di quei casi nei quali alcune encicliche papali si rivelano, nel tempo, molto più profonde e lungimiranti di quanto siano apparse al momento della loro pubblicazione; altri esempi sono la Humanae Vitae di Paolo VI o la Rerum Novarum di Leone XIII. Certo, l’impostazione del dibattito pubblico attuale e i media che lo diffondono non aiutano a riflettere, contemplare, visualizzare le cose in prospettiva; però è uno sforzo che nessuno (almeno finora) ci impedisce di fare.
La mia opinione, ovviamente eccepibile, è questa: i fenomeni descritti qui sopra sono la conseguenza della «mentalità contraccettiva» denunciata da Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae, del 25 marzo 1995. Secondo papa Wojtyła, la diffusione di aborto e contraccezione ha portato a una «mentalità contraccettiva» che porta a considerare il figlio come frutto delle proprie libere decisioni, più che un dono divino. L’uomo e la donna non sono più strumenti del progetto divino; essi diventano gli unici artefici della nascita del figlio che, a sua volta, diventa frutto di una libera decisione dei genitori. Aborto e contraccezione, scrive il pontefice, «sono molto spesso in intima relazione, come frutti di una medesima pianta. È vero che non mancano casi in cui alla contraccezione e allo stesso aborto si giunge sotto la spinta di molteplici difficoltà esistenziali, che tuttavia non possono mai esonerare dallo sforzo di osservare pienamente la Legge di Dio. Ma in moltissimi altri casi tali pratiche affondano le radici in una mentalità edonistica e deresponsabilizzante nei confronti della sessualità e suppongono un concetto egoistico di libertà che vede nella procreazione un ostacolo al dispiegarsi della propria personalità. La vita che potrebbe scaturire dall'incontro sessuale diventa così il nemico da evitare assolutamente e l'aborto l'unica possibile risposta risolutiva di fronte ad una contraccezione fallita» (§ 13).
Ok, ma che c’entra con il narcisismo, con l’ansia scolastica e le aspettative? Semplicissimo. Se un figlio non «arriva» ma è frutto di un progetto… chi progetterebbe un quidam de populo, lo «scemo del villaggio»? Se si deve progettare un figlio, bisogna che sia un essere speciale, un superuomo, dalle caratteristiche uniche e superiori alla media: una top model, un premio Nobel, un luminare… Così, il figlio della libera e autonoma scelta, il figlio voluto, cercato e progettato – il figlio cioè della «mentalità contraccettiva» – ha sulle spalle, fin dal momento del concepimento, aspettative altissime, con le quali si dovrà confrontare tutta la vita. Il suo «ideale dell’io», per dirla con Freud, sarà tanto elevato e perfetto da essere irraggiungibile; e lo condannerà, quindi, al fallimento, alla frustrazione, alla delusione delle aspettative altrui.
Ma che razza di ragionamento: tutti i genitori si creano una immagine del figlio, fanno dei progetti, sognano un futuro per la prole… sì e no.
Penso alla mia generazione, quella del millennio scorso. A quel tempo i figli non erano progettati: capitavano. Due si sposavano e, se Dio voleva, i figli arrivavano. E le aspettative? Le aspettative sui nati nella mia generazione erano qualcosa del genere: «Speriamo non diventi un drogato». In ogni altro caso sarebbe stato un successo. Mia mamma ancora non si capacita di come io non sia mai stato bocciato. La frase che abbiamo sentito più spesso è stata: «Non vuoi studiare? Nessun problema, vai a lavorare...»; anzi, forse è meglio, così porti a casa qualche soldino.
Certamente questo non sarà l’unico fattore che ha creato l’attuale situazione esistenziale dei nostri ragazzi; però magari, almeno un poco, ha contribuito. È uno di quei casi nei quali alcune encicliche papali si rivelano, nel tempo, molto più profonde e lungimiranti di quanto siano apparse al momento della loro pubblicazione; altri esempi sono la Humanae Vitae di Paolo VI o la Rerum Novarum di Leone XIII. Certo, l’impostazione del dibattito pubblico attuale e i media che lo diffondono non aiutano a riflettere, contemplare, visualizzare le cose in prospettiva; però è uno sforzo che nessuno (almeno finora) ci impedisce di fare.
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