martedì 13 dicembre 2022

In occasione della festa di Santa Lucia, Giovannino Guareschi ci parla della Tradizione






da “Ridateci don Camillo!” di Corrado Gnerre

Shakespeare lo fa dire chiaramente ad Amleto: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.” La mente umana per quanto possa lavorare e produrre immaginazione su immaginazione non riuscirà mai a “comprendere” il reale, nel senso letterale del termine: comprendere come “mettere dentro”. La mente umana, anche quella che funziona meglio e che è capace di inventare cose straordinarie, non ha la possibilità di “esaurire” il reale, di spiegarlo totalmente, di venirne a capo scoprendone il senso più nascosto.

Questa è un’evidenza, è un fatto, non lo si deve certo dimostrare; piuttosto sarebbe il contrario a dover essere dimostrato, ma ovviamente è indimostrabile. Ed è un’evidenza che costringe moralmente l’uomo ad un atto che dovrebbe essere una sorta di “riflesso condizionato spirituale”. Come esistono i riflessi condizionati fisiologici (la salivazione nel pensare a cibi gustosi o la gamba che si alza se si dà il colpetto sul ginocchio), così esistono anche i riflessi condizionati spirituali; in questo caso mi riferisco al riflesso condizionato spirituale dell’umiltà. L’uomo che prende davvero coscienza che la sua mente può conoscere ma non comprendere, è un uomo umile che riuscirà a strutturare sull’umiltà, e con l’umiltà, l’intera sua esistenza. L’uomo, invece, che non vuole riconoscere tale dato, s’illuderà di porre se stesso come criterio di giudizio di tutto … e, quasi sempre, diventerà schiavo di una lettura ideologica della realtà che poi promuoverà, questa, a criterio di giudizio di ogni cosa.

L’ideologia nasce proprio a causa della dimenticanza di ciò che il buon Shakespeare fa dire ad Amleto, nasce dalla dimenticanza che sono molte di più le cose che esistono in cielo e in terra che non quelle che può pensare la mente umana. In un certo qual modo si potrebbe propriamente utilizzare quella famosa frase che dice che la realtà facilmente supera la fantasia; sì la realtà supera -di molto- la fantasia. I folli filosofi della postmodernità (prima fra tutti Nietzsche, che folle divenne davvero) dicono che la realtà non è comprensibile perché è irrazionale, perché non può essere spiegata con la logica. Non si tratta di questo, anzi. La realtà non può essere compresa dalla mente umana non perché è irrazionale, non perché è illogica, ma perché è misteriosa. Il mistero è oltre ma non contro la ragione. Il mistero segna razionalmente l’incapacità dell’uomo che, non essendo creatore della realtà, non può stravolgerla o annullarla.

Guareschi queste cose le diceva eccome. Per esempio, nel racconto Il dono mancato (inserito nella raccolta L’anno di don Camillo) si narra del figlio del Tarocci (uno dei compagni comunisti di Peppone) che non riceve i giocattoli da parte di Santa Lucia, a causa del papà che vuole che il bambino (Gigino, così si chiama il piccolo) non cresca con le “fantasie della reazione clericale”. Il bambino ne soffre, tant’è che decide di scappare di casa, ma viene ritrovato dal genitore.

Tarocci rifece la strada percorsa chiamando a gran voce il bambino ma nessuno gli rispose. Finalmente quando il Padreterno volle, trovò Gigino addormentato sulla paglia umida, dentro la capannuccia di melicacci. Il Tarocci era imbestialito e, tirato su il bambino ancora addormentato, lo svegliò con due sberle. (…). –Due ore, mi hai fatto cercare! – lo rimproverò aspro quando furono in casa. –Perché invece di venire a casa diritto, ti sei andato a perdere in mezzo ai campi? Perché non sei tornato assieme agli altri?

-Gli altri avevano tutti la roba e io no- sussurrò il bambino.

-Che roba?

-La roba di Santa Lucia – spiegò il bambino.

Al Tarocci venne un mezzo colpo: Santa Lucia! La raccomandazione della moglie… Ma anziché placarsi a quel pensiero, venne preso da un’ira furibonda:

-Ma che Santa Lucia! –urlò- Sono tutte stupidaggini. Santa Lucia non c’è.

-C’è –replicò Gigino- Ho visto io la roba.

Per un bambino di sei anni niente può esserci che riesca a demolire questa ferrea costruzione logica.

Guareschi lo fa capire chiaramente con le semplici parole di un bambino. Santa Lucia c’è perché c’è la Tradizione. Esiste, perché –per Guareschi- non può non esistere l’attenzione alla serietà del tempo. Tempo che non è un semplice succedersi di avvenimenti, ma il riconoscimento sempre nuovo della ragione dell’esistere. Certo, un bambino non può argomentare in questo modo, ma il desiderio che ci sia tutto questo è in lui presente.

Ma torniamo al racconto. Dopo aver apostrafato ben bene la madre che vuole perpetuare quella dannosa tradizione, Tarocci dice a Gigino che deve aver pazienza e il giorno dopo i doni glieli avrebbe portati Stalin, perché –ovviamente- Santa Lucia non esiste, ma Stalin sì.

-E allora, per avere il regalo chi bisogna pregare? –domandò Gigino con voce piena d’ansia.

A Tarocci era venuta in mente una storia che aveva letto o sentito da qualche parte, e s’era regolato in modo da attirare nella trappola il bambino.

-Secondo me bisognerebbe pregare Stalin- rispose.

-Stalin?- si informò il bambino. –E’ un santo?

-E’ uno che fa delle cose straordinarie- spiegò il Tarocci. –Tu stasera devi pregare Stalin di portarti il regalo perché sei stato buono. Se stasera ti porta il regalo vuol dire che esiste per te, mentre se Santa Lucia non ti ha portato niente, significa che per te non esiste.

Il bambino si rasserenò.

E Tarocci continua il suo maldestro progetto…

Tarocci spiegò a Peppone tutta la storia e il trucchetto combinato per democratizzare Santa Lucia.

-Capo- concluse- non è stata un’idea in gamba?

-Certo- borbottò Peppone.

-Bisogna agire senza sentimentalismi- continuò il Tarocci. –Alle donne si può dar retta fino a un certo punto. Dopo, occorre intervenire decisi. Incominciamo a snebbiare pian piano i cervelli. Incominciamo a sloggiare i Santi dall’animo dei nostri bambini mettendo al loro posto qualcosa di più sostanzioso. Incominciamo a sfatare le leggende. Non ti pare?

Ma cosa avviene? Che malgrado il Tarocci avesse preparato i doni affinché Gigino potesse trovare le sorprese portate da Stalin, la mattina seguente il bambino non trovò un bel nulla. Tarocci non si meravigliò più di tanto, anzi tutto sommato una latente soddisfazione colpì il suo animo … e disse a Gigino, piangente per questa nuova delusione, che Natale era vicino e Gesù Bambino avrebbe sistemato tutto. Era passato anche lui alla speranza “clericale”. Ma perché Gigino non aveva trovato nulla malgrado il papà avesse preparato i doni di Stalin? Cosa era successo? Leggiamo il finale del racconto.

A onor del vero non ci fu niente di miracoloso nella scomparsa dei doni di Stalin: perché Peppone, dopo averli cavati fuori dalle scarpe di Gigino, li era andati a buttare nel fiume borbottando:

“Non è un buon servizio che faccio al compagno Stalin”.

Poi, quando l’acqua del grande fiume ebbe ingoiato tutta la merce, si consolò dicendo tra sé:

“Dio ti vede, Stalin no.”

Si accorse troppo tardi d’essere caduto come un pesce nella trappola degli slogan della propaganda clerico-americana.

E se ne dolse.

Ma fino a un certo punto.

Dunque, Peppone se ne dolse, ma fino ad un certo punto. Aveva capito che così andava fatto. Eppure se si fosse messo a “pensare”, sarebbe certamente arrivato a tutt’altra conclusione, avrebbe dato ragione al suo amico e chi si è visto se è visto. Il buon senso, invece, lo aveva portato a negare quell’invenzione: i doni di Stalin. Non perché Stalin gli stesse antipatico, per carità … ma perché, in quel caso, Stalin stava prendendo il posto di qualcun altro (meglio: di qualcun’altra), e questo, malgrado la simpatia per il sovietico con i baffoni, non poteva accadere. Lui stesso era cresciuto con i doni di santa Lucia e non con quelli di Stalin.

Qui Guareschi fa capire una cosa importante: ciò che è stato trasmesso non può essere distrutto. Chesterton amava dire che la vera democrazia è poter “far votare i morti”, cioè qualsiasi decisione debba essere presa non può mai andare contro la tradizione dei padri. Già!.. la Tradizione. Il musicista Gustav Mahler la definisce non come “il culto delle ceneri”, ma come “la custodia del fuoco”. Si racconta –non so fino a che punto sia vero- che quando gli uomini primitivi scoprirono il fuoco, lo lasciarono sempre acceso per far sì che non andasse perduto: era troppo prezioso. Ogni uomo, indipendentemente dal grado di cultura (anzi, forse un grado di cultura elevato a riguardo può essere pericoloso) coglie la necessità di perpetuare e non di distruggere, di custodire e non di stravolgere.

Anche Peppone, infischiandosene di proclami di partito e slogan ideologici, si sentì di fare lo stesso.






Nessun commento:

Posta un commento