domenica 1 maggio 2022

L’ultima primavera cattolica è sfiorita prima del Concilio, e della prossima non si vede traccia. Una rilettura storica




di Sandro Magister
28 apr 22

Nel precedente post di Settimo Cielo, Roberto Pertici, professore di storia contemporanea all’università di Bergamo, ha ripercorso gli ultimi secoli di storia della Chiesa cattolica, dal concilio di Trento al primo Ottocento, per scovarvi le stagioni di rinascita religiosa.

Ne ha individuate e descritte due. E una terza la tratteggia in questa seconda e conclusiva parte della sua rilettura storica, da metà Ottocento ai giorni nostri.

Una quarta rifioritura era certamente nei propositi del concilio Vaticano II. Ma è rimasta incompiuta, mentre nello stesso tempo avanza l’onda della scristianizzazione, all’apparenza inesorabile.

Il saggio di Pertici si chiude senza poter dire che cosa accadrà nel prossimo futuro. Ma nemmeno può escludere che una rinascita religiosa avvenga di nuovo, magari inattesa e per impulsi esterni all’autorità ecclesiastica, come già accaduto più volte in passato.

In un futuro conclave, anche su questo potrebbero riflettere i cardinali.

Nella foto sopra, lo scrittore Giovanni Papini (1881-1956), uno dei grandi convertiti del “Renouveau catholique” della prima metà del Novecento.

Buona lettura!

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È POSSIBILE UNA “RINASCITA RELIGIOSA”?



II - Da metà Ottocento a oggi




di Roberto Pertici

4. La “rinascita religiosa” del primo Ottocento si esaurisce col fallimento delle rivoluzioni del 1848-49, che provocò una delusione storica dagli effetti difficilmente sopravvalutabili nella cultura europea dei decenni a seguire.

La successiva restaurazione, la seconda dopo quella del 1814-1815, fu largamente sostenuta dalle Chiese: in ambito cattolico la sterzata a destra di Pio IX provocata dalla “paura” della rivoluzione e la nuova politica del pontefice e di Giacomo Antonelli, suo segretario di Stato, segnano la rottura del binomio cattolicesimo-libertà su cui molti cattolici liberali si erano affaticati nel ventennio precedente e, in Italia, del cattolicesimo come religione civile della causa nazionale. In Francia la gran parte del mondo cattolico sostiene per tutto il decennio successivo la svolta autoritaria di Luigi Napoleone Bonaparte e del secondo impero. Juan Donoso Cortés teorizza la dittatura come diga verso l’ondata rivoluzionaria. Si inizia il processo che porterà al “Sillabo” del 1864.

Questo irrigidimento, che riguarda anche le altre Chiese cristiane, provoca una nuova ondata di anticlericalismo intellettuale, ma anche popolare: non solo in Francia, dove si fonde con la resistenza contro il colpo di Stato napoleonico, ma anche in Inghilterra (le origini del movimento secolarista di George Holyoake) e in Germania (il grande dibattito degli anni Cinquanta sul materialismo, così carico di significati politici). Dal 1859 al 1863 vengono pubblicati nell’ordine: “On the Origin of Species” di Charles Darwin, “On liberty” di John Stuart Mill (1859), “La Sorcière” di Jules Michelet e “Les Misérables” di Victor Hugo (1862), “Vie de Jésus” di Ernest Renan (1863). Insomma la cultura europea diserta la Chiesa cattolica e più in generale il cristianesimo.

Un discorso analogo si può fare anche riguardo alla cultura italiana, compresa quella letteraria. Uno sguardo, anche superficiale, ci mostra una serie di circoli letterari (dagli “scapigliati” ai “veristi”, agli “esteti” dei primi anni Novanta) nei quali la sensibilità religiosa è completamente assente. L’eclissi della stella di Alessandro Manzoni, evidente dopo il 1870, la debolezza dei suoi epigoni (da Ruggiero Bonghi a Giacomo Zanella), la fortuna crescente della poesia tutta classica e pagana di Giosuè Carducci (che nel decennio precedente era stato il poeta dell’anticlericalismo italiano) sono fra gli indicatori più significativi del nuovo clima. È tutta una generazione che si stacca dal cristianesimo: non si può essere colti e, al tempo stesso, cristiani in epoca di darwinismo e scientismo laicista. Da qui il carattere eccezionale e controcorrente di alcune conversioni, come quella di Antonio Fogazzaro e, più tardi, nella Roma degli anni Ottanta, di Giulio Salvadori. Si assiste insomma a un nuovo cambio di paradigma: si apre l’età del positivismo.

5. Qualcosa di nuovo comincia a cambiare verso la fine degli anni Ottanta: a cominciare dalla Francia. Anche qui possiamo indicare una data simbolica: la pubblicazione a Parigi nel 1886 di “Le roman russe” di Melchior de Vogüé. Mentre in Francia imperversa da decenni una letteratura realista basata sul materialismo e sul determinismo più opprimente, in Russia – questo più o meno l’annuncio di quel brillante diplomatico – si è sviluppata invece una cultura letteraria che affronta i grandi problemi metafisici, spirituali e religiosi dell’uomo contemporaneo.

Negli anni successivi Ferdinand Brunetière, dal 1893 direttore della “Revue des deux mondes”, proclama la “bancarotta della scienza”. Inizia l’epoca dei “Grands Convertis”: Paul Bourget, J.-K. Huysmans, lo stesso Brunetière, Francis Jammes, Charles Péguy, Jacques Maritain e la moglie Raïssa, Paul Claudel. Si ha in Europa un generale ritorno al cattolicesimo, o comunque al discorso religioso, di una serie di grandi intellettuali, specie scrittori: in Francia Georges Bernanos, Julien Green, François Mauriac, Ernest Psichari; in Gran Bretagna T. S. Eliot, Graham Greene, Robert Hugh Benson, Evelyn Waugh, Hilaire Belloc, G. K. Chesterton; in Norvegia Sigrid Undset; in Austria Franz Werfel; in Polonia Henryk Sienkiewicz; in Russia Nikolaj Berdjaev; in Germania Carl Schmitt, Romano Guardini.

È il composito movimento che si è chiamato di “Renouveau catholique”. Mentre la Chiesa, con la persecuzione anti-modernista, riduce al silenzio e all’obbedienza le parti culturalmente più dinamiche del clero, paradossalmente lascia più spazio a questo laicato intellettuale, giudicandolo meno pericoloso sul piano dottrinale: anzi capace di veicolare con maggiore larghezza il suo messaggio religioso in una società in cui la tradizionale presenza cattolica si è andata sempre più restringendo, fino a diventare minoritaria. La posizione della maggior parte di questi intellettuali è critica verso la “modernità”, il suo materialismo, il declino dei valori morali tradizionali, la massificazione che sta emergendo: si avverte in essi un’esigenza di “ritorno all’ordine” e alla “tradizione”, tipica di un paradigma conservatore.

Nella cultura storica e letteraria italiana il “Renouveau catholique” è stato poco tematizzato, eppure questo fenomeno si è presentato anche in Italia: Agostino Gemelli, il fondatore dell’Università Cattolica, era stato socialista e positivista e aveva fatto studi di medicina a Parigi e di psicologia in Germania: ma si era convertito al cattolicesimo ed era entrato nell’ordine francescano. La sua fu la prima di una serie di conversioni di uomini di cultura e di “intellettuali”, che si verificò anche in Italia negli anni della vigilia, poi della guerra e del dopoguerra. I nuovi “convertiti” appartenevano al mondo delle riviste, delle case editrici, dei quotidiani d’opinione, insomma alla letteratura militante; si muovevano cioè in ambienti in cui pressoché totale era stata nei decenni precedenti l’irreligiosità e parvero il sintomo di un’inversione di tendenza. Giosuè Borsi, Domenico Giuliotti, Federigo Tozzi, Giuseppe Fanciulli, Ferdinando Paolieri, Guido Battelli, più tardi Clemente Rebora e perfino ex seguaci del filosofo neoidealista Giovanni Gentile come Mario Casotti e Armando Carlini riproposero, in modi talora risentiti e aggressivi, il problema di una cultura cattolica.

Ma fu la conversione di Giovanni Papini, con la sua “Storia di Cristo” apparsa nell’aprile del 1921 che costituì subito uno dei casi letterari del dopoguerra, a segnare l’”uscita dalle catacombe” di una cultura nuova, che si venne organizzando negli anni successivi, senza attendere (come talora stancamente si ripete) il nuovo clima concordatario tra Stato e Chiesa. Dello stesso periodo è la nascita dell’Università Cattolica di Milano, l’istituzione più significativa nata dal “Renouveau catholique” italiano. Si tratta di un movimento culturale molto variegato e differenziato al suo interno, che – in non pochi dei suoi esponenti – poté scorgere nel fascismo degli anni Venti un nemico di molti dei suoi nemici e una qualche realizzazione di alcune delle sue attese, ma senza mai identificarsi del tutto con esso, restando sempre qualcosa d’altro, sia nei presupposti culturali che negli orizzonti spirituali. Lo stesso può ripetersi per molti esponenti del “Renouveau catholique” europeo.

Per molti decenni sono stati questi autori, non i teologi, coloro che hanno veicolato la cultura cattolica, non solo in vasti settori del laicato cattolico, ma anche fra il pubblico colto. Per fare un esempio: lo scrittore francese Joseph Malègue, tanto caro all’attuale pontefice, era tutto interno a questo mondo.

6. Se le cose stanno così, si capisce allora quando questa “rinascita religiosa” si sia venuta esaurendo: col tramonto del “paradigma conservatore”, del quale mi è già capitato di scrivere su Settimo Cielo il 31 agosto 2020. “Dopo il 1945 – scrivevo – il paradigma ‘conservatore’ sembra travolto dalla fine violenta dei regimi di destra radicale (fascismo, nazionalsocialismo). Il rapporto fra il conservatorismo e codesti regimi è storicamente controverso. Non sono pochi gli studiosi (fra i quali il sottoscritto) che ne sottolineano, accanto alle innegabili compromissioni, anche le forse maggiori distanze e conflitti. Ma nel dopoguerra viene prevalendo la tesi che i totalitarismi di destra fossero stati sostanzialmente lo sviluppo e il pieno svolgimento della cultura conservatrice e che quindi questa meritasse di scomparire con quelli”.

Questo mutamento non fu immediato: ancora per tutti gli anni Cinquanta i cataloghi dell’editoria cattolica continuavano a riproporre gli autori del “Renouveau catholique”; finché nei primi anni Sessanta (per la Chiesa gli anni del Concilio), con l’attenuazione della guerra fredda e il tramonto della generazione prebellica, quella costellazione culturale si inabissa definitivamente. Chi rilegge più oggi Mauriac o Bernanos o Claudel? Quale letteratura o cultura cattolica di alto livello ha preso il loro posto e si offre a un catechista o a un insegnante cattolico?

Possiamo individuare nel Vaticano II il maggiore tentativo di riforma cattolica operato dalla Chiesa negli ultimi secoli. Ancora su Settimo Cielo del 14 settembre 2020 ho cercato di spiegare i motivi per cui, contrariamente alle speranze e all’impegno di tanti uomini di Chiesa e anche del laicato intellettuale, questo concilio non abbia finora prodotto una “rinascita religiosa”, come era certamente nei suoi intenti; anzi, abbia contribuito – contrariamente alle sue aspettative – a un processo di “scristianizzazione cristiana”, come l’ha definito efficacemente Michel Onfray, che dura fino a oggi.

Molti osservatori pensarono, sperarono o temettero che la decomposizione del marxismo e la fine del comunismo in Europa (i nemici storici delle Chiese e della cultura religiosa del Novecento) potessero determinare una nuova “rinascita religiosa”. La grande personalità di Giovanni Paolo II, il suo straordinario impatto mediatico e la sua statura culturale ne sembrarono l’emblema, i movimenti ecclesiali (a cui quel pontefice stava dando ampio spazio) i possibili veicoli: ma le gigantesche esequie di Karol Wojtyla furono un po’ anche le esequie di quel sogno. Il progetto di Benedetto XVI di rilanciare una cultura cattolica che rispondesse criticamente alle sfide della modernità è stato sconfitto da “fuoco amico”, oltre che dalla reazione di rigetto dei dominatori del mondo mediatico italiano e internazionale: è stato avvertito come una “restaurazione” piuttosto che come un tentativo di “rinascita”. Quanto all’attuale pontificato, un suo bilancio è ancora prematuro, ma si ha l’impressione che esso non si ponga nemmeno lo scopo di una “rinascita religiosa” nel senso che qui ho cercato di illustrare: semmai di una rinascita “politica”, anche perché questo è il solo linguaggio che il sistema mediatico dominante riesce a capire.

7. Concludendo: le “rinascite religiose” che si sono avute nella cultura europea degli ultimi secoli non si sono sviluppate per un impulso diretto della Chiesa-istituzione e della gerarchia, se non la prima, quella del Cinquecento, che tuttavia ha prodotto i suoi frutti culturalmente più maturi nell’età del classicismo francese seicentesco, con esiti che la Chiesa ha parzialmente condannati e anche combattuti. Quella promossa e sperata dalla Chiesa del Vaticano II finora non ha dato i frutti sperati.

Le altre rinascite si sono prodotte dopo grandi eventi epocali che hanno rilanciato l’immagine della Chiesa come istituzione capace di sfidare le tempeste della storia, nell’età del romanticismo, o profonde cesure culturali, come la crisi del positivismo e la rinascita del sentimento religioso fra Otto e Novecento. C’è da chiedersi se in entrambi i casi la Chiesa che avevano in mente Joseph de Maistre o Bernanos o Eliot non fosse una “comunità immaginata” piuttosto che un’entità storica reale. In tutti questi casi, comunque, tali rinascite si sono accompagnate ad atteggiamenti critici verso la marcia inesorabile della “modernità”, talvolta contrapponendosi ad essa, in altri casi cercando di innestarvi lo spirito cristiano (il cattolicesimo liberale), ma senza mai accettarla completamente: mantenendo uno scarto di fondo di fronte a essa.

La Chiesa ha variamente cercato di gestire, temperare, istituzionalizzare, talvolta anche reprimere questi movimenti, che si sviluppavano al di fuori del suo impulso e in definitiva anche del suo controllo.

Saranno ancora tentate “rinascite religiose”? Spetterà ancora a laici, a singole individualità o gruppi e correnti, vista l’atrofia spirituale della Chiesa istituzionale, tentare di promuoverle? E con quali contenuti? O stavolta sarà la Chiesa che cercherà di riaprire un discorso religioso? E con quale atteggiamento verso l’ipermodernità che ci circonda?

Per lo storico, queste restano domande inevitabilmente senza risposta.







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