Torino. Donna “diventa” uomo e vuole la Cresima. Il parroco chiede in curia e il responso della Diocesi è favorevole: “Ok a cresimare col nome nuovo, ma nel registro scrivere quello di battesimo e registrare il cambiamento”. La Bussola racconta l’imbarazzo del parroco, la mail della curia che dà il via libera e la nuova tappa nella demolizione del Catechismo: se la natura non conta più nulla, ma solo i “diritti” della persona, allora crolla tutto.
di Andrea Zambrano, 08-04-2022
“Io ti battezzo femmina… e ti cresimo maschio”. Non è una gag di Checco Zalone, ma potrebbe essere l’ultimo capitolo della saga “E la Chiesa si rinnova…”, per parafrasare una celebre canzone di Gaber.
Chiesa e trans. Nel già ricco carnet di episodi poteva mancare anche quello relativo alla concessione del Sacramento della Cresima? Sembra di no, e a non negarlo con tanto di cambio di nome di colui che prima era una lei e ora si fa chiamare lui, potrebbe essere – come apripista – la diocesi di Torino che ha autorizzato nei giorni scorsi un parroco a celebrare il Sacramento della Confermazione a queste condizioni.
Autorizzato, non vuol dire che il Sacramento verrà certamente celebrato, perché come la Bussola ha potuto verificare direttamente, il parroco, il quale dovrebbe comunque essere delegato dal vescovo, non se la sente di spingere l’acceleratore su un sacrilegio di un rito che dà per scontato il cambio di sesso che la Chiesa ancora condanna, però, come disordine morale. Ma i fatti dicono che dalla diocesi e quindi dal vescovo, arriva un sostanziale e formale via libera a cresimare col nome “nuovo”, contraddicendo così quello del battesimo.
I fatti, così come sono stati verificati personalmente dalla Bussola, sono i seguenti:
Nella parrocchia della Stimmate di San Francesco d’Assisi arriva una richiesta di Cresima. A farla è una donna che dopo un intervento cosiddetto di riassegnazione del sesso ora si fa chiamare come un maschio.
Battezzato donna e cresimato maschio? Possibile? Il parroco don Antonio Borio chiede aiuto alla curia e la curia, con solerzia, risponde così: cresimare col nuovo nome e registrare il nome di battesimo naturale, ma apponendo in calce data e numero di protocollo della sentenza del tribunale civile che certifica l’avvenuta riassegnazione sessuale.
Dopo la risposta, il parroco ne ha parlato con diversi collaboratori parrocchiali e con altri confratelli, per confrontarsi sul da farsi. Un po’ titubante «perché coi Sacramenti non si scherza», un po’ «desideroso a dare una risposta a questo/a fedele». E di bocca in bocca, di commento in commento, alla luce della risposta della curia, la cosa ha travalicato anche i confini del Piemonte.
Un via libera ai Sacramenti per i trans? La materia è delicata, ma fondamentalmente, una volta che si riconosce il nuovo nome, in questo caso maschile, la frittata è fatta e a questa si aggiungono anche tutte le aggravanti di tipo morale che non possono certo passare in secondo piano.
Per ricevere la Cresima, infatti, o Confermazione, il candidato dev’essere ammonito di presentarsi in stato di grazia, sennò si compie un sacrilegio. Accettando il cambio di nome, invece, la Chiesa accetterebbe anche la sua condizione di vita disordinata che contraddice la creazione. (…)
Ma per sapere come è avvenuto il via libera è bene tornare a Torino. Il parroco, più e più volte contattato dalla Bussola, prima ha negato («non nella mia parrocchia»), poi ha minimizzato («se ne parlava tra confratelli genericamente») e finalmente ha ammesso che una richiesta c’è stata: “Sì, è vero, c’è stata una richiesta di una donna che ora è maschio, ma non è mia parrocchiana, mi è stata presentata. Ho chiesto in curia e la risposta che mi è stata data fa riferimento a una nota della presidenza CEI del 2003 (presidenza Ruini ndr) che trattava però la registrazione dei battesimi delle persone che successivamente hanno fatto la cosiddetta riassegnazione di sesso”.
Non propriamente lo stesso caso, ma una traccia – così è parso alla diocesi di Torino che si appresta prossimamente ad accogliere sotto la Mole il nuovo vescovo Roberto Repole –, per poter autorizzare la Cresima col nuovo nome. Nella mail scritta dal Cancelliere arcivescovile don Alessandro Giraudo — di cui la Bussola è a conoscenza –, infatti, si autorizza il parroco a celebrare il Sacramento chiamando il cresimando “col suo nome attuale”.
Questo significa, per andare nel concreto, dare il via libera ai sacramenti per i trans e accettare il cambiamento di sesso come un qualcosa di naturale.
Va detto che il parroco ha poi riferito alla Bussola che non sa se in queste condizioni celebrerà il Sacramento, anche perché lui non è il parroco della cresimanda (oggi autodefinitosi cresimando).
Ma il vero punto su cui riflettere è un altro: con questo via libera la diocesi di Torino avvalora il fatto che si possa vivere in stato di grazia anche avendo rinnegato la natura. È il grave errore della modernità, che fa precedere la persona alla natura, ma se la natura non conta più nulla, ma solo la persona con i suoi “diritti inalienabili”, allora salta tutto.
Se anche alle Stimmate non si concretizzasse nulla, però, perché in fondo prevarrà il buon senso (e il timor di Dio), la risposta della diocesi sta lì a ricordare che un precedente c’è già quindi alla prossima richiesta sarà tutto più facile. E di precedente in precedente, la prassi si confermerà perché il “processo” di demolizione del Catechismo è ormai avviato e sembra inarrestabile. Certe picconate non si danno solo in Germania, ma anche nella cattolicissima Italia.
(Fonte: La Nuova BQ)
L’ipocrisia e l’accettazione dello scandalo
di Luisella Scrosati (09-04-2022)
Il caso che si è presentato nell’arcidiocesi di Torino non è il primo e purtroppo non sarà l’ultimo. La posizione della Curia locale risulta come minimo lacunosa e non esente da ipocrisia.
Partiamo da quest’ultimo aspetto. Sappiamo che la Curia di Torino ha dato indicazione di scrivere sugli appositi registri il nome di Battesimo della persona che ha richiesto la Cresima e non invece quello “nuovo” presente nello Stato Civile. L’indicazione seguirebbe una Notificazione della Presidenza della CEI del 21 gennaio 2003, nella quale vengono fornite indicazioni su eventuali variazioni da apportare nel caso di «fedeli che si sono sottoposti a interventi di cambiamento di sesso e hanno ottenuto il relativo riconoscimento agli effetti civili delle avvenute modifiche anatomiche e anagrafiche». Nella Notificazione vengono genericamente richiamate presunte indicazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Congregazione per il Clero, le quali vanno nella direzione di non apportare «alcuna variazione anagrafica sui Libri parrocchiali», perché la condizione canonica del fedele è definita dalla nascita, e non dalle autorità civili.
Tuttavia, la Presidenza della CEI, «a motivo delle eventuali situazioni che si potrebbero presentare in futuro per tali fedeli», ritiene di annotare a margine l’avvenuto «intervento» unicamente per quanto attiene agli effetti civili della mutata condizione del fedele, indicando al riguardo la data e il numero di protocollo della Sentenza del Tribunale Civile competente e/o del documento rilasciato dall’Ufficio dello Stato Civile. Questa annotazione — si precisa — «non potrà essere fatta valere dalla persona interessata per avviare l’istruttoria ai fini di un eventuale futuro matrimonio da celebrare nella forma concordataria».
Non si capisce però perché la Curia indichi nel contempo al parroco di chiamare la persona interessata, durante il Rito della Confermazione, con il nome civile mutato. Se infatti, come riportato nella Notificazione, «l’identità anagrafica non ne modifica la condizione canonica – maschile o femminile», che è «definita al momento della nascita», rispettando così l’identità sessuale che Dio ha voluto per quella determinata persona, all’interno del Rito si deve utilizzare il nome di Battesimo.
L’utilizzo di questo nome è altresì importante per sottolineare il legame strettissimo tra questo sacramento ed il Battesimo, poiché la Cresima, per sua natura, conferma la consacrazione battesimale.
L’indicazione della Curia che è trapelata assume così, a tutti gli effetti, la connotazione dell’ipocrisia, un modo per accontentare la CEI e, nel contempo, non avere grane con il fedele. Decisione che però finisce di fatto per avallare pubblicamente, all’interno del Rito, lo scandalo che la persona che ha deciso di “cambiare sesso” ha suscitato nella comunità.
La seconda domanda che ci si pone è la seguente: una persona che ha scelto di ricorrere alla chirurgia transessuale può legittimamente chiedere il sacramento della Confermazione?
La Chiesa cattolica ha sempre insegnato che i cosiddetti sacramenti “dei vivi” – Confermazione, Eucaristia, Unzione dei malati, Ordine e Matrimonio – devono essere ricevuti da chi è nello stato della grazia santificante. Chi al contrario vi si accosta consapevole di essere in peccato mortale lì riceve sì validamente, ma non riceve il frutto del sacramento e commette il grave peccato di sacrilegio. A differenze dei due sacramenti “dei morti” – Battesimo e Penitenza – che vengono ricevuti da coloro che sono nel peccato per ricondurli alla vita della grazia, questi sacramenti richiedono pertanto lo stato di grazia e quindi, normalmente, la confessione sacramentale previa. A proposito della Cresima, il Catechismo della Chiesa Cattolica (§ 1310) conferma che «per ricevere la Confermazione si deve essere in stato di grazia».
San Tommaso d’Aquino ne spiega la ragione: «La confermazione si dà per confermare ciò che trova già esistente. Quindi non dev’essere data a coloro che non hanno la grazia. Perciò come non si conferisce ai non battezzati, così non si deve conferire agli adulti peccatori, se non quando siano stati ricondotti dalla penitenza allo stato di grazia. È la norma del Concilio di Orleans: «Si accostino alla confermazione digiuni, si ammoniscano di fare prima la confessione, perché nella mondezza siano in grado di ricevere il dono dello Spirito Santo» (Decretum Gratiani, III, 5, can. 6)» (Summa Theologiae, III, q. 72, a. 7 ad 2).
Una persona che ha chiesto di mutare la propria condizione sessuale si è chiaramente posta in opposizione alla volontà di Dio, che l’ha creata maschio o femmina, in modo oggettivamente grave. E’ pertanto dovere del parroco far presente alla persona che per poter ricevere la grazia propria del Sacramento, dunque affinché il sacramento sia fruttuoso, è necessaria la confessione sacramentale, che porta con sé il rifiuto dell’atto commesso e la volontà, per quanto possibile, di porvi rimedio. Diversamente, essa riceverebbe validamente il sacramento – e dunque, per la Cresima, riceverebbe il carattere -, ma non la grazia sacramentale (la quale può reviviscere una volta recuperato lo stato di grazia); inoltre, come si è detto, bisogna ammonirla che commetterebbe il peccato gravissimo del sacrilegio.
Tuttavia, il Codice di Diritto Canonico, che al can. 916 prescrive la confessione sacramentale per accostarsi alla Santa Comunione e al can. 915 interdice l’amministrazione della Santa Comunione ad alcune categorie ben precise, tra cui quelli «che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto», non fa lo stesso per la Confermazione. Il Codex del 1917, al can. 786, a sua volta, dopo aver ricordato la necessità ad validitatem che il candidato abbia ricevuto il Battesimo – che costituisce l’unica condizione relativa alla capacità di ricevere questo Sacramento, oltre al fatto che la persona non esprima volontà contraria ad essere cresimata — indica il dovere di essere in stato di grazia «affinché si venga confermati lecitamente e fruttuosamente», ma non aggiunge nulla sulla proibizione di amministrare questo sacramento a chi vive in peccato pubblico manifesto.
E’ chiaro che non si può nascondere il serio pericolo di scandalo, soprattutto se, nel caso in questione, è risaputa la decisione della persona di “cambiare sesso”… In una situazione come questa, la Curia avrebbe dovuto prospettare il seguente scenario: se, dopo che il parroco ha ammonito la persona in questione, questa rifiuta il pentimento, è possibile differire il sacramento. In questo caso, non vi sarebbe un rifiuto vero e proprio, ma un rinvio motivato da autentiche ragioni pastorali, per permettere alla persona di riflettere seriamente sulle conseguenze della sua scelta.
Fonte: La Nuova BQ
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