Chiedere agli uomini se sono incinti. È questo ciò che dovrebbero fare medici e personale sanitario al Walton Center NHS Trust di Liverpool. L'indifferentismo sessuale dei moduli, dove non c'è più maschio e femmina, porta a questi ibridi assurdi.
Tommaso Scandroglio, 07-04-2022
Chiedere agli uomini se sono incinti. È questo ciò che dovrebbero fare medici e personale sanitario al Walton Center NHS Trust di Liverpool. L’ossimoro in forma di domanda nasce da una procedura burocratica gender friendly, ossia “rispettosa della differenze di genere” come il ben pettinato eloquio arcobaleno impone di esprimersi oggidì. Infatti nei moduli in cui si pone tale quesito, al fine di sapere se la paziente può sottoporsi a radiografie e risonanze magnetiche dato che questi esami potrebbero nuocere al feto, il termine “femmina”, posta nella sezione anagrafica, è stato sostituito con quello sessualmente neutro di “individuo”. Inoltre l’espressione "donne in età fertile" è diventata "persone in età fertile". E così l’ospedale chiede a "tutti i pazienti di età inferiore ai 60 anni, indipendentemente dall’identificazione del genere ", se possono avere un bambino. In sintesi, l’indeterminatezza di alcune parole o espressioni legate al sesso ha fatto sì che anche i pazienti maschi avessero in mano un documento in cui si chiede loro se possono rimanere incinti. Le donne hanno dovuto quindi lasciare il passo al gender, al sessualmente corretto.
Per paradosso l’ambiguità grammaticale determina con precisione l’ideologia, che risulta essere quella gender, la neutralità lessicale fa prendere posizione a favore dell’utopia egualitaria e contro il buon senso e il fraintendimento comunicativo apre alla piena e chiara comprensione che in ballo non c’è tanto la salute delle future puerpere bensì quella delle dottrine LGBT. L’ermafroditismo fattosi idioma ha reso possibile che un uomo possa partorire – notizia che renderà entusiasti i transessuali – illude i rivoluzionari che l’impossibile sia possibile, che la natura possa piegarsi ai ghiribizzi dell’uomo e contraddire se stessa, che le leggi di Dio siano opinioni del tutto rispettabili, ma anche non sempre condivisibili (se il catechismo, secondo il cardinal Marx, può essere oggetto di dubbio così dovrebbe essere con Dio a cui s’ispira).
La maternità mascolina germinata negli anfratti nel mondo dell’antilingua di genere schiude scenari inediti e inaspettati per i cultori dell’indifferentismo sessuale: uomini che allattano (legga qui il terrapiattista cattolico che crede ancora che uomo e donna siano diversi); donne che usufruiscono degli orinatoi a muro nei bagni dei signori; figli di madri e padri uniti nella stessa persona. Gli uomini d’ora in poi potranno essere gravidi proprio perché, come è noto, la madre dei cretini è sempre incinta.
Ammettiamolo, la gender theory ha avuto il coraggio di usare con efficacia la fantasia e l’estro creativo al servizio delle idee e si è spinta laddove nemmeno i futuristi avevano avuto l’ardire di arrivare con la parola. E così oggi abbiamo le “X” sulle carte d’identità e passaporti per certificare che il sesso è davvero un’incognita, un viaggio al buio nella direzione della follia; vocali sottosopra, come lo schwa (ə), le quali testimoniano visivamente che esistono persone che ragionano a rovescio, e asterischi al posto delle tante invise vocali conservatrici o-i/a-e le quali giocano a fare la resistenza al progresso che avanza in direzione opposta alla verità.
L’artista transfilo ha usato la grammatica come matita per disegnare l’uomo nuovo chiamato transgender e la gomma da cancellare per eliminare le differenze che adornano uomini e donne, l’ha usata come pistola puntata alla tempia dei bigotti renitenti alla leva gender per indurli a chinare il capo alla nuova antropologia, che plasticamente vediamo rappresentata durante i gay pride, altrimenti costoro avrebbero perso posti di lavoro, soldi, buona fama e onorabilità. Ha impugnato la penna come una baionetta per infilzare il passato con i suoi stantii vocaboli, retaggio di un’epoca divisiva e non inclusiva.
Ha adoperato le vocali maschili e femminili per chiamare da un universo parallelo forme di vita fantastiche, ibride, centauri mitologici in bilico tra il mascolino e il femmineo con lo scopo di essere tutto e quindi niente; per costruire una Terra di mezzo dove trovi mezzi uomini e mezze donne al fine di togliere di mezzo l’uomo intero. Un mondo fantasy popolato solo di uomini e donne senza nome che hanno barattato la propria identità con un alias, con un nom de plum, uno pseudonimo che deve occultare chi sia veramente questa creatura chiamata essere umano e in cui una Lei diventa un Lui e un Lui diventa una Lei, così tanto Lei che può concepire un figlio.
Per paradosso l’ambiguità grammaticale determina con precisione l’ideologia, che risulta essere quella gender, la neutralità lessicale fa prendere posizione a favore dell’utopia egualitaria e contro il buon senso e il fraintendimento comunicativo apre alla piena e chiara comprensione che in ballo non c’è tanto la salute delle future puerpere bensì quella delle dottrine LGBT. L’ermafroditismo fattosi idioma ha reso possibile che un uomo possa partorire – notizia che renderà entusiasti i transessuali – illude i rivoluzionari che l’impossibile sia possibile, che la natura possa piegarsi ai ghiribizzi dell’uomo e contraddire se stessa, che le leggi di Dio siano opinioni del tutto rispettabili, ma anche non sempre condivisibili (se il catechismo, secondo il cardinal Marx, può essere oggetto di dubbio così dovrebbe essere con Dio a cui s’ispira).
La maternità mascolina germinata negli anfratti nel mondo dell’antilingua di genere schiude scenari inediti e inaspettati per i cultori dell’indifferentismo sessuale: uomini che allattano (legga qui il terrapiattista cattolico che crede ancora che uomo e donna siano diversi); donne che usufruiscono degli orinatoi a muro nei bagni dei signori; figli di madri e padri uniti nella stessa persona. Gli uomini d’ora in poi potranno essere gravidi proprio perché, come è noto, la madre dei cretini è sempre incinta.
Ammettiamolo, la gender theory ha avuto il coraggio di usare con efficacia la fantasia e l’estro creativo al servizio delle idee e si è spinta laddove nemmeno i futuristi avevano avuto l’ardire di arrivare con la parola. E così oggi abbiamo le “X” sulle carte d’identità e passaporti per certificare che il sesso è davvero un’incognita, un viaggio al buio nella direzione della follia; vocali sottosopra, come lo schwa (ə), le quali testimoniano visivamente che esistono persone che ragionano a rovescio, e asterischi al posto delle tante invise vocali conservatrici o-i/a-e le quali giocano a fare la resistenza al progresso che avanza in direzione opposta alla verità.
L’artista transfilo ha usato la grammatica come matita per disegnare l’uomo nuovo chiamato transgender e la gomma da cancellare per eliminare le differenze che adornano uomini e donne, l’ha usata come pistola puntata alla tempia dei bigotti renitenti alla leva gender per indurli a chinare il capo alla nuova antropologia, che plasticamente vediamo rappresentata durante i gay pride, altrimenti costoro avrebbero perso posti di lavoro, soldi, buona fama e onorabilità. Ha impugnato la penna come una baionetta per infilzare il passato con i suoi stantii vocaboli, retaggio di un’epoca divisiva e non inclusiva.
Ha adoperato le vocali maschili e femminili per chiamare da un universo parallelo forme di vita fantastiche, ibride, centauri mitologici in bilico tra il mascolino e il femmineo con lo scopo di essere tutto e quindi niente; per costruire una Terra di mezzo dove trovi mezzi uomini e mezze donne al fine di togliere di mezzo l’uomo intero. Un mondo fantasy popolato solo di uomini e donne senza nome che hanno barattato la propria identità con un alias, con un nom de plum, uno pseudonimo che deve occultare chi sia veramente questa creatura chiamata essere umano e in cui una Lei diventa un Lui e un Lui diventa una Lei, così tanto Lei che può concepire un figlio.
Nessun commento:
Posta un commento