Qui l'indice degli articoli su Traditionis custodes e Responsa.
Papa Francesco ha firmato l'11 febbraio 2022 un decreto che esonera i sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pietro dalle disposizioni del motu proprio Traditionis custodes (16 luglio 2021), che limitava notevolmente le possibilità di celebrare la Messa tridentina [qui].
lunedì 4 aprile 2022
L'incertezza che aleggiava da diversi mesi è stata sollevata dopo un'udienza privata di quasi un'ora concessa dal Papa, il 4 febbraio, ai padri Benoît Paul-Joseph, superiore del distretto di Francia della Fraternità San Pietro, e Vincent Ribeton, direttore del seminario San Pietro di Wigratzbad, Germania.
Durante questa udienza, il Papa ha chiarito che istituti come la Fraternità San Pietro non erano interessati dalle disposizioni generali di Traditionis custodes, essendo previsto nelle loro costituzioni l'uso dei libri liturgici in vigore nel 1962.
Il decreto dell'11 febbraio specifica che i membri della Fraternità San Pietro "possono usare questa facoltà nelle loro chiese e oratori; altrove la useranno solo con il consenso dell’ordinario del luogo, eccetto che per la celebrazione della messa privata."
Per aggiungere subito: "Fermo restando quanto detto sopra, il Santo Padre suggerisce che, per quanto possibile, si tenga conto anche delle disposizioni del motu proprio Traditionis Custodes."
Su Le Figaro del 21 febbraio, il giornalista Jean-Marie Guénois si chiede "perché il Papa stia addolcendo la sua posizione" sulla messa tradizionale. Secondo lui, il fatto che Francesco "suggerisca, per quanto possibile, che si tenga conto anche delle disposizioni del motu proprio Traditionis custodes", equivale a chiedere che i sacerdoti della Fraternità San Pietro "possano eventualmente concelebrare, nel nuovo rito, di volta in volta, con gli altri sacerdoti della diocesi, ma non come obbligo per essere riconosciuti."
Quello che sembra un passo indietro di papa Francesco è piuttosto una risposta indirizzata, sicuramente, alla Fraternità San Pietro, ma altrettanto ai suoi servizi in Vaticano e ai vescovi più papisti del Papa sul motu proprio di luglio."
Jean-Marie Guénois precisa: "Sebbene intenda rispettare coloro che vivono questo 'carisma' tradizionalista, come ha appena dimostrato, l'obiettivo di papa Francesco è di evitare che una Chiesa diocesana 'parallela', tradizionalista, si stabilisca al fianco di una Chiesa conciliare nel senso del Vaticano II. Su questo punto, non ci si inganni, Francesco combatte apertamente i 'tradizionalisti' e chiede chiaramente ai vescovi di vigilare."
Durante questa udienza, il Papa ha chiarito che istituti come la Fraternità San Pietro non erano interessati dalle disposizioni generali di Traditionis custodes, essendo previsto nelle loro costituzioni l'uso dei libri liturgici in vigore nel 1962.
Il decreto dell'11 febbraio specifica che i membri della Fraternità San Pietro "possono usare questa facoltà nelle loro chiese e oratori; altrove la useranno solo con il consenso dell’ordinario del luogo, eccetto che per la celebrazione della messa privata."
Per aggiungere subito: "Fermo restando quanto detto sopra, il Santo Padre suggerisce che, per quanto possibile, si tenga conto anche delle disposizioni del motu proprio Traditionis Custodes."
Su Le Figaro del 21 febbraio, il giornalista Jean-Marie Guénois si chiede "perché il Papa stia addolcendo la sua posizione" sulla messa tradizionale. Secondo lui, il fatto che Francesco "suggerisca, per quanto possibile, che si tenga conto anche delle disposizioni del motu proprio Traditionis custodes", equivale a chiedere che i sacerdoti della Fraternità San Pietro "possano eventualmente concelebrare, nel nuovo rito, di volta in volta, con gli altri sacerdoti della diocesi, ma non come obbligo per essere riconosciuti."
Quello che sembra un passo indietro di papa Francesco è piuttosto una risposta indirizzata, sicuramente, alla Fraternità San Pietro, ma altrettanto ai suoi servizi in Vaticano e ai vescovi più papisti del Papa sul motu proprio di luglio."
Jean-Marie Guénois precisa: "Sebbene intenda rispettare coloro che vivono questo 'carisma' tradizionalista, come ha appena dimostrato, l'obiettivo di papa Francesco è di evitare che una Chiesa diocesana 'parallela', tradizionalista, si stabilisca al fianco di una Chiesa conciliare nel senso del Vaticano II. Su questo punto, non ci si inganni, Francesco combatte apertamente i 'tradizionalisti' e chiede chiaramente ai vescovi di vigilare."
Dalla concessione al contenimento
Su Le Forum Catholique, lo studioso francese Luc Perrin ha commentato lo stesso giorno, 21 febbraio: "Quello che Benedetto XVI ha confermato come un diritto universale inalienabile [il diritto riconosciuto a ogni sacerdote di celebrare la Messa tridentina, nel Summorum Pontificum] non persiste più [con Traditionis custodes] che come diritto particolare, in stato di deroga e quindi revocabile in qualsiasi momento."
E aggiunge che il decreto dell'11 febbraio "s'inscrive in Traditionis custodes prima di tutto a questo titolo: è un'eccezione, un diritto particolare che può essere esteso in linea di principio ad altri istituti [ex Ecclesia Dei], secondo quanto il Papa ha riferito durante l'udienza, ma caso per caso."
"Lungi dall'essere 'nella spazzatura', il meccanismo di abrogazione [revoca del diritto riconosciuto da Benedetto XVI] di Traditionis custodes è esplicitamente confermato nel decreto poiché la Fraternità San Pietro è invitata ad entrare nella sua logica da un comma che non è decorativo: 'Fermo restando quanto detto sopra, il Santo Padre suggerisce che, per quanto possibile, si tenga conto anche delle disposizioni del motu proprio Traditionis custodes'."
Ciò che Luc Perrin traduce così: "La Fraternità San Pietro conserva per il momento il suo diritto particolare, ma il Papa 'suggerisce' che applichi la Traditionis custodes e si converta alla neoliturgia per gradi, per diventare infine un istituto ordinario di rito romano ordinario, come gli altri. Il decreto continua Traditionis custodes e opta per un'assimilazione più lenta degli istituti tradizionali, mentre per le diocesi il ritmo è più sostenuto."
Dal 22 febbraio si può leggere questo amaro commento di Fabio Battiston, corrispondente di Aldo Maria Valli, che lo ha pubblicato sul suo blog Duc in altum: "L’atteggiamento di soddisfazione della Fssp di fronte all’evoluzione di questa vicenda mi lascia oltremodo perplesso poiché sembra non considerare l’aspetto fondamentale di ciò che è realmente in gioco."
"A mio avviso, infatti, non si può gioire se tutte le nefandezze espresse nel Traditions custodes “non sono destinate alla Fraternità”."
"Siamo di fronte ad un diktat con il quale la stragrande maggioranza delle chiese, delle parrocchie e del clero viene formalmente diffidata, per sempre, dal celebrare le liturgie cattoliche in forme plurisecolari mai abrogate." "Si fa a pezzi la Tradizione e al tempo stesso si accetta e promuove – in ossequio a una “ecumenica e multiculturale” contaminazione – l’introduzione nelle messe novus ordo di elementi neopagani e spesso tribali. È sufficiente che gli ukase del motu proprio non vengano applicati alle ormai sparute “enclave” tradizionali per manifestare un’esultanza a mio avviso totalmente fuori luogo?"
"Possibile che i responsabili della Fssp non si rendano conto di essere avviati a una realtà da “riserva indiana”, nella quale non sarà data loro nessuna possibilità di crescere e in cui nessuna nuova istituzione tradizionale potrà più essere fondata?"
"Dietro l’apparente mantenimento delle proprie specificità, tradizioni e cultura liturgica, la Fraternità e tutte le altre simili istituzioni vengono avviate a una morte lenta attraverso un progressivo e inesorabile processo di consunzione."
Anche sul sito Riposte catholique, vicino ai circoli degli ex-Ecclesia Dei, questa osservazione del 21 febbraio dava preoccupazioni:
"Dividi e governa? Purtroppo questo decreto non presume niente dal contenuto del testo che sarà pubblicato a marzo dalla Congregazione per i Religiosi, che potrebbe obbligare i sacerdoti di questi istituti a celebrare anche la nuova liturgia, poiché il decreto pontificio non parla di uso “esclusivo” [della Messa Tridentina]."
"In ogni caso, Roma sembra così ridurre la celebrazione della liturgia romana tradizionale, sebbene universale, a un carisma particolare. Non si fa menzione degli altri istituti Ecclesia Dei, né di diritto pontificio (Cristo Re, Buon Pastore, Oratorio di Berlino), né di diritto diocesano (ad esempio in Francia, la Comunità della Divina Misericordia), ma queste comunità non sono neppure escluse, e la presentazione del superiore della Fraternità San Pietro le equipara alla concessione, in virtù delle espresse parole del Papa."
"D'altra parte, è chiaro che il favore concesso sostiene – in confronto – le drastiche disposizioni in forma di condanna a morte dell'uso della liturgia tradizionale: ad eccezione di alcuni sacerdoti ai quali è conferito uno status particolare, la totalità sacerdoti di rito latino, religiosi e diocesani, non hanno più il diritto originario di celebrare la liturgia tradizionale riconosciuta dal Summorum Pontificum." Questa preoccupazione generale fa sì che vengano mantenute le diverse manifestazioni organizzate dall'ex Ecclesia Dei per la libertà della Messa tradizionale: il raduno davanti alla nunziatura di Parigi, ogni sabato, nonché la marcia de La Voie Romaine (qui - qui) [vedi DICI n. ° 417, febbraio 2022], decisa ufficialmente il 18 febbraio e messa in pratica il 6 marzo nella chiesa di Saint-Roch a Parigi. Le madri dei sacerdoti che marciano verso Roma devono portare al Papa, il 30 aprile, le lettere che hanno ricevuto a favore della libertà della messa tridentina.
Esigenze conciliari e benevolenza pastorale
Due recenti dichiarazioni non possono che alimentare la paura degli ambienti dell'ex Ecclesia Dei.
Il 24 febbraio mons. Arthur Roche, prefetto della Congregazione per il culto divino, ha concesso un'intervista a Christopher Lamb, del quotidiano cattolico britannico The Tablet. Le sue osservazioni sono riportate sul blog di Jeanne Smits del 26 febbraio [da noi ripreso qui con alcune chiose, diversi link e alcune polpose note, che sostanzialmente sono diventate un altro articolo -ndr].
Il prelato afferma che l'obiettivo del suo dicastero è "perseguire l'attuazione del documento del Concilio Vaticano II sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium. (…) Questa è la sua Magna Carta", dice riferendosi alla Magna Carta d'Inghilterra del 1215.
Poi afferma che "sebbene sia ancora possibile utilizzare il Messale del 1962, esso non è la norma. È una concessione pastorale". E aggiunge senza mezzi termini che non è in grado di sapere se la vecchia forma della Messa finirà per cadere in disuso, ma che l'obiettivo di Traditionis custodes è proprio quello di avvicinare "alla comprensione di ciò che il Concilio ha preteso".
Il prelato britannico sottolinea poi che la costituzione dogmatica del Vaticano II sulla Chiesa, Lumen gentium, si è allontanata dal modello della Chiesa come "società perfetta" per avvicinarsi – secondo lui – alla nozione biblica di Chiesa come popolo di Dio in pellegrinaggio.
Nel primo modello, dice, era il sacerdote che "presentava le intenzioni del popolo" e le trasmetteva a Dio nella liturgia. Il Vaticano II lo ha cambiato. "Attraverso la comprensione del sacerdozio di tutti i battezzati, non è più solo il sacerdote che celebra l'Eucaristia, ma tutti i battezzati che celebrano con lui", spiega.
"È certamente la comprensione più profonda di cosa significhi 'partecipazione'. Non solo leggiamo, cantiamo, spostiamo oggetti nel santuario o ci occupiamo dei bambini [sic] o altro, ma entriamo in profondità nella vita divina, che ci è stata manifestata nel mistero pasquale. – La posizione modernista sulla Messa e sul sacerdozio dei laici non potrebbe riassumersi meglio.
Mons. Roche lamenta che il ragionamento alla base delle riforme conciliari non è ancora "completamente compreso". La formazione, dice, è stata "molto insufficiente" in alcuni ambiti della vita cattolica, e questo è ancor più vero nei seminari che altrove, dove forti correnti spingono per un ritorno agli stili vestimentari e liturgici di prima del Vaticano II.
Christopher Lamb esprime lo sgomento del suo interlocutore osservando che non è raro che sacerdoti neo-ordinati, usciti dai seminari del mondo occidentale, inizino quasi subito a celebrare la messa tridentina.
Per questo la Congregazione guidata da Mons. Roche chiede ai seminari di insegnare "la ricchezza della riforma liturgica richiesta dal Concilio Vaticano II", e ogni sacerdote neo-ordinato che desidera celebrare la Messa utilizzando i libri liturgici pre-Vaticano II dovrà ottenere l'autorizzazione della Santa Sede.
E il prefetto della liturgia afferma un'ultima volta che, quella che inizialmente era una concessione, si è trasformata in una "promozione di un ritorno a ciò che esisteva prima del Concilio Vaticano II". Questo "non poteva essere tollerato perché il Concilio ha cambiato il modo in cui noi progrediamo. È una questione semplice."
– È su questa questione semplice che devono ponderare i beneficiari di un'esenzione dai provvedimenti di Traditionis custodes, perché la loro esenzione non li esonera, secondo lo stesso papa Francesco, dal tener conto delle disposizioni di questo motu proprio.
Il 1° marzo l'agenzia svizzera cath.ch ha pubblicato un'intervista concessa dal religioso domenicano Henry Donnaud. Per spiegare il decreto dell'11 febbraio ha fatto un paragone sorprendente: "Credo che questa decisione debba essere letta come significativa del suo modo di porsi [quello del Papa]."
"Se mi permettete un parallelo che forse sorprenderà, direi che Francesco agisce nel campo della liturgia un po' come in quello della morale familiare. C'è da un lato la questione dei principi (su cui è severo) e dall'altro l'attuazione di questi principi (in cui è possibile una certa flessibilità)."
– In altre parole, il decreto va letto come Amoris lætitia (2016) [qui] che riafferma l'indissolubilità del matrimonio e autorizza, appunto e pastoralmente, la comunione ai divorziati risposati che si sono affrancati da tale indissolubilità.
Poco dopo, P. Donnaud dichiara: "La Fraternità San Pietro afferma di non criticare e quindi contestare la Messa di Paolo VI. Si tratta di una grande differenza che contrasta con i commenti di alcuni tradizionalisti, i quali affermano che la Messa di Paolo VI è una Messa "dozzinale" o "che non onora la dimensione del sacrificio".
"Avendo la Fraternità San Pietro preso le distanze da queste affermazioni inaccettabili, il Papa non ha voluto pretendere troppo dalle persone legate alla liturgia tridentina, costringendole a cambiare le loro pratiche dall'oggi al domani. Ha dimostrato quindi benevolenza pastorale verso la Fraternità."
Va notato che l'assenza di critiche alla nuova messa è, secondo P. Donneaud, ciò che ha permesso alla Fraternità San Pietro di beneficiare della benevolenza pastorale, mantenendo nel loro principio le esigenze dottrinali conciliari. Ma dopo la benevolenza, i requisiti dovranno essere soddisfatti concretamente, ed ecco cosa propone:
"È quindi opportuno continuare a lavorare affinché la liturgia del Vaticano II sia accolta ovunque. Dopo questo Concilio, i campi si sono un po' cristallizzati. Ma i cambiamenti potrebbero essere possibili. Ad esempio, nelle celebrazioni in cui si usa ancora il messale tridentino, si potrebbero introdurre elementi che consentano la partecipazione attiva dei fedeli promossa dal Concilio Vaticano II."
"La liturgia è etimologicamente un “atto del popolo”; leggere le letture in francese, chiedere ai fedeli di recitare il “Padre nostro” potrebbero essere delle strade da esplorare in queste celebrazioni. O ancora, abbiamo visto di recente una certa comunità tradizionalista ricorrere alla concelebrazione…"
Padre Donneaud non è solo un intellettuale, è anche un uomo pratico. Nel settembre 2021 è stato nominato dal Papa Assistente Apostolico, per "accompagnare" le domenicane dello Spirito Santo, le religiose di Pontcalec (Morbihan). Alla luce delle sue parole, possiamo intuire in quale direzione avverrà questo sostegno.(Fonti: cath.ch/Figaro/Forum catholique/Duc in altum/Riposte catholique/Voie Romaine/J. Smits/DICI n°418 – FSSPX.Actualités)
Su Le Forum Catholique, lo studioso francese Luc Perrin ha commentato lo stesso giorno, 21 febbraio: "Quello che Benedetto XVI ha confermato come un diritto universale inalienabile [il diritto riconosciuto a ogni sacerdote di celebrare la Messa tridentina, nel Summorum Pontificum] non persiste più [con Traditionis custodes] che come diritto particolare, in stato di deroga e quindi revocabile in qualsiasi momento."
E aggiunge che il decreto dell'11 febbraio "s'inscrive in Traditionis custodes prima di tutto a questo titolo: è un'eccezione, un diritto particolare che può essere esteso in linea di principio ad altri istituti [ex Ecclesia Dei], secondo quanto il Papa ha riferito durante l'udienza, ma caso per caso."
"Lungi dall'essere 'nella spazzatura', il meccanismo di abrogazione [revoca del diritto riconosciuto da Benedetto XVI] di Traditionis custodes è esplicitamente confermato nel decreto poiché la Fraternità San Pietro è invitata ad entrare nella sua logica da un comma che non è decorativo: 'Fermo restando quanto detto sopra, il Santo Padre suggerisce che, per quanto possibile, si tenga conto anche delle disposizioni del motu proprio Traditionis custodes'."
Ciò che Luc Perrin traduce così: "La Fraternità San Pietro conserva per il momento il suo diritto particolare, ma il Papa 'suggerisce' che applichi la Traditionis custodes e si converta alla neoliturgia per gradi, per diventare infine un istituto ordinario di rito romano ordinario, come gli altri. Il decreto continua Traditionis custodes e opta per un'assimilazione più lenta degli istituti tradizionali, mentre per le diocesi il ritmo è più sostenuto."
Dal 22 febbraio si può leggere questo amaro commento di Fabio Battiston, corrispondente di Aldo Maria Valli, che lo ha pubblicato sul suo blog Duc in altum: "L’atteggiamento di soddisfazione della Fssp di fronte all’evoluzione di questa vicenda mi lascia oltremodo perplesso poiché sembra non considerare l’aspetto fondamentale di ciò che è realmente in gioco."
"A mio avviso, infatti, non si può gioire se tutte le nefandezze espresse nel Traditions custodes “non sono destinate alla Fraternità”."
"Siamo di fronte ad un diktat con il quale la stragrande maggioranza delle chiese, delle parrocchie e del clero viene formalmente diffidata, per sempre, dal celebrare le liturgie cattoliche in forme plurisecolari mai abrogate." "Si fa a pezzi la Tradizione e al tempo stesso si accetta e promuove – in ossequio a una “ecumenica e multiculturale” contaminazione – l’introduzione nelle messe novus ordo di elementi neopagani e spesso tribali. È sufficiente che gli ukase del motu proprio non vengano applicati alle ormai sparute “enclave” tradizionali per manifestare un’esultanza a mio avviso totalmente fuori luogo?"
"Possibile che i responsabili della Fssp non si rendano conto di essere avviati a una realtà da “riserva indiana”, nella quale non sarà data loro nessuna possibilità di crescere e in cui nessuna nuova istituzione tradizionale potrà più essere fondata?"
"Dietro l’apparente mantenimento delle proprie specificità, tradizioni e cultura liturgica, la Fraternità e tutte le altre simili istituzioni vengono avviate a una morte lenta attraverso un progressivo e inesorabile processo di consunzione."
Anche sul sito Riposte catholique, vicino ai circoli degli ex-Ecclesia Dei, questa osservazione del 21 febbraio dava preoccupazioni:
"Dividi e governa? Purtroppo questo decreto non presume niente dal contenuto del testo che sarà pubblicato a marzo dalla Congregazione per i Religiosi, che potrebbe obbligare i sacerdoti di questi istituti a celebrare anche la nuova liturgia, poiché il decreto pontificio non parla di uso “esclusivo” [della Messa Tridentina]."
"In ogni caso, Roma sembra così ridurre la celebrazione della liturgia romana tradizionale, sebbene universale, a un carisma particolare. Non si fa menzione degli altri istituti Ecclesia Dei, né di diritto pontificio (Cristo Re, Buon Pastore, Oratorio di Berlino), né di diritto diocesano (ad esempio in Francia, la Comunità della Divina Misericordia), ma queste comunità non sono neppure escluse, e la presentazione del superiore della Fraternità San Pietro le equipara alla concessione, in virtù delle espresse parole del Papa."
"D'altra parte, è chiaro che il favore concesso sostiene – in confronto – le drastiche disposizioni in forma di condanna a morte dell'uso della liturgia tradizionale: ad eccezione di alcuni sacerdoti ai quali è conferito uno status particolare, la totalità sacerdoti di rito latino, religiosi e diocesani, non hanno più il diritto originario di celebrare la liturgia tradizionale riconosciuta dal Summorum Pontificum." Questa preoccupazione generale fa sì che vengano mantenute le diverse manifestazioni organizzate dall'ex Ecclesia Dei per la libertà della Messa tradizionale: il raduno davanti alla nunziatura di Parigi, ogni sabato, nonché la marcia de La Voie Romaine (qui - qui) [vedi DICI n. ° 417, febbraio 2022], decisa ufficialmente il 18 febbraio e messa in pratica il 6 marzo nella chiesa di Saint-Roch a Parigi. Le madri dei sacerdoti che marciano verso Roma devono portare al Papa, il 30 aprile, le lettere che hanno ricevuto a favore della libertà della messa tridentina.
Esigenze conciliari e benevolenza pastorale
Due recenti dichiarazioni non possono che alimentare la paura degli ambienti dell'ex Ecclesia Dei.
Il 24 febbraio mons. Arthur Roche, prefetto della Congregazione per il culto divino, ha concesso un'intervista a Christopher Lamb, del quotidiano cattolico britannico The Tablet. Le sue osservazioni sono riportate sul blog di Jeanne Smits del 26 febbraio [da noi ripreso qui con alcune chiose, diversi link e alcune polpose note, che sostanzialmente sono diventate un altro articolo -ndr].
Il prelato afferma che l'obiettivo del suo dicastero è "perseguire l'attuazione del documento del Concilio Vaticano II sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium. (…) Questa è la sua Magna Carta", dice riferendosi alla Magna Carta d'Inghilterra del 1215.
Poi afferma che "sebbene sia ancora possibile utilizzare il Messale del 1962, esso non è la norma. È una concessione pastorale". E aggiunge senza mezzi termini che non è in grado di sapere se la vecchia forma della Messa finirà per cadere in disuso, ma che l'obiettivo di Traditionis custodes è proprio quello di avvicinare "alla comprensione di ciò che il Concilio ha preteso".
Il prelato britannico sottolinea poi che la costituzione dogmatica del Vaticano II sulla Chiesa, Lumen gentium, si è allontanata dal modello della Chiesa come "società perfetta" per avvicinarsi – secondo lui – alla nozione biblica di Chiesa come popolo di Dio in pellegrinaggio.
Nel primo modello, dice, era il sacerdote che "presentava le intenzioni del popolo" e le trasmetteva a Dio nella liturgia. Il Vaticano II lo ha cambiato. "Attraverso la comprensione del sacerdozio di tutti i battezzati, non è più solo il sacerdote che celebra l'Eucaristia, ma tutti i battezzati che celebrano con lui", spiega.
"È certamente la comprensione più profonda di cosa significhi 'partecipazione'. Non solo leggiamo, cantiamo, spostiamo oggetti nel santuario o ci occupiamo dei bambini [sic] o altro, ma entriamo in profondità nella vita divina, che ci è stata manifestata nel mistero pasquale. – La posizione modernista sulla Messa e sul sacerdozio dei laici non potrebbe riassumersi meglio.
Mons. Roche lamenta che il ragionamento alla base delle riforme conciliari non è ancora "completamente compreso". La formazione, dice, è stata "molto insufficiente" in alcuni ambiti della vita cattolica, e questo è ancor più vero nei seminari che altrove, dove forti correnti spingono per un ritorno agli stili vestimentari e liturgici di prima del Vaticano II.
Christopher Lamb esprime lo sgomento del suo interlocutore osservando che non è raro che sacerdoti neo-ordinati, usciti dai seminari del mondo occidentale, inizino quasi subito a celebrare la messa tridentina.
Per questo la Congregazione guidata da Mons. Roche chiede ai seminari di insegnare "la ricchezza della riforma liturgica richiesta dal Concilio Vaticano II", e ogni sacerdote neo-ordinato che desidera celebrare la Messa utilizzando i libri liturgici pre-Vaticano II dovrà ottenere l'autorizzazione della Santa Sede.
E il prefetto della liturgia afferma un'ultima volta che, quella che inizialmente era una concessione, si è trasformata in una "promozione di un ritorno a ciò che esisteva prima del Concilio Vaticano II". Questo "non poteva essere tollerato perché il Concilio ha cambiato il modo in cui noi progrediamo. È una questione semplice."
– È su questa questione semplice che devono ponderare i beneficiari di un'esenzione dai provvedimenti di Traditionis custodes, perché la loro esenzione non li esonera, secondo lo stesso papa Francesco, dal tener conto delle disposizioni di questo motu proprio.
Il 1° marzo l'agenzia svizzera cath.ch ha pubblicato un'intervista concessa dal religioso domenicano Henry Donnaud. Per spiegare il decreto dell'11 febbraio ha fatto un paragone sorprendente: "Credo che questa decisione debba essere letta come significativa del suo modo di porsi [quello del Papa]."
"Se mi permettete un parallelo che forse sorprenderà, direi che Francesco agisce nel campo della liturgia un po' come in quello della morale familiare. C'è da un lato la questione dei principi (su cui è severo) e dall'altro l'attuazione di questi principi (in cui è possibile una certa flessibilità)."
– In altre parole, il decreto va letto come Amoris lætitia (2016) [qui] che riafferma l'indissolubilità del matrimonio e autorizza, appunto e pastoralmente, la comunione ai divorziati risposati che si sono affrancati da tale indissolubilità.
Poco dopo, P. Donnaud dichiara: "La Fraternità San Pietro afferma di non criticare e quindi contestare la Messa di Paolo VI. Si tratta di una grande differenza che contrasta con i commenti di alcuni tradizionalisti, i quali affermano che la Messa di Paolo VI è una Messa "dozzinale" o "che non onora la dimensione del sacrificio".
"Avendo la Fraternità San Pietro preso le distanze da queste affermazioni inaccettabili, il Papa non ha voluto pretendere troppo dalle persone legate alla liturgia tridentina, costringendole a cambiare le loro pratiche dall'oggi al domani. Ha dimostrato quindi benevolenza pastorale verso la Fraternità."
Va notato che l'assenza di critiche alla nuova messa è, secondo P. Donneaud, ciò che ha permesso alla Fraternità San Pietro di beneficiare della benevolenza pastorale, mantenendo nel loro principio le esigenze dottrinali conciliari. Ma dopo la benevolenza, i requisiti dovranno essere soddisfatti concretamente, ed ecco cosa propone:
"È quindi opportuno continuare a lavorare affinché la liturgia del Vaticano II sia accolta ovunque. Dopo questo Concilio, i campi si sono un po' cristallizzati. Ma i cambiamenti potrebbero essere possibili. Ad esempio, nelle celebrazioni in cui si usa ancora il messale tridentino, si potrebbero introdurre elementi che consentano la partecipazione attiva dei fedeli promossa dal Concilio Vaticano II."
"La liturgia è etimologicamente un “atto del popolo”; leggere le letture in francese, chiedere ai fedeli di recitare il “Padre nostro” potrebbero essere delle strade da esplorare in queste celebrazioni. O ancora, abbiamo visto di recente una certa comunità tradizionalista ricorrere alla concelebrazione…"
Padre Donneaud non è solo un intellettuale, è anche un uomo pratico. Nel settembre 2021 è stato nominato dal Papa Assistente Apostolico, per "accompagnare" le domenicane dello Spirito Santo, le religiose di Pontcalec (Morbihan). Alla luce delle sue parole, possiamo intuire in quale direzione avverrà questo sostegno.(Fonti: cath.ch/Figaro/Forum catholique/Duc in altum/Riposte catholique/Voie Romaine/J. Smits/DICI n°418 – FSSPX.Actualités)
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