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by Aldo Maria Valli
di Casey Chalk
Come possiamo assicurarci che la nostra fede cattolica sarà abbracciata con successo dalla prossima generazione? Questa è una delle domande più cruciali e fastidiose che i cattolici americani devono affrontare in un periodo di declino dell’appartenenza alla Chiesa e della frequenza alla Messa e ai sacramenti. Un sondaggio dell’anno scorso ha rilevato che più di un terzo dei giovani cattolici ha pianificato di partecipare alla Messa meno regolarmente dopo la pandemia (sempre che lo sia).
Gran parte della risposta dipende dal modo in cui siamo genitori. È l’argomento di monsignor José H. Gomez, arcivescovo di Los Angeles, che in un recente articolo ha osservato che “trasmettere la fede è una delle sfide più importanti che affrontiamo oggi nella Chiesa”. Si tratta dello stesso arcivescovo Gomez che, in qualità di presidente della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, ha rilasciato una controversa dichiarazione sull’aborto in occasione dell’insediamento del presidente Joe Biden, una dichiarazione che ha suscitato le ire del cardinale Blase Cupich.
L’arcivescovo Gomez ha cercato strenuamente di difendere l’integrità dell’Eucaristia, in un’epoca in cui i politici (come il signor Biden) si presentano per la Santa Comunione mentre contrastano pubblicamente l’insegnamento della Chiesa sull’aborto. Forse, in parte guardando all’esempio morale dell’arcivescovo José Gomez – così come ai suoi stessi commenti nel suo recente articolo – possiamo discernere alcune soluzioni a questa crisi di trasmissione della fede.
L’arcivescovo Gomez si affida alla ricerca di Christian Smith e Amy Adamczyk, il cui libro Handing Down the Faith: How Parents Pass Their Religion on to the Next Generation [Tramandare la fede: come i genitori trasmettono la loro religione alla prossima generazione] si occupa degli effetti dannosi del secolarismo, dell’individualismo, del consumismo e del relativismo sulla nostra nazione e sulla sua gioventù.
Come osserva giustamente Gomez, più il nostro modo di vivere abbraccia queste tendenze, più erode “l’identità religiosa dei nostri figli e la loro capacità di esprimere giudizi morali”. Prendiamo ciascuno di questi quattro elementi e consideriamo come erodono la nostra capacità di trasmettere la nostra fede alla generazione successiva.
Laicità. Certamente la minaccia dell’educazione laica incombe sui giovani di oggi, data la promozione sempre più aggressiva e intollerante dei principi della rivoluzione sessuale. Il consiglio scolastico della contea di Loudoun, la contea più ricca degli Stati Uniti, ha recentemente votato per consentire ai maschi biologici di competere negli sport femminili (un’altra diocesi, quella di Arlington, poco dopo ha indirettamente rimproverato questo abbraccio all’”ideologia transgender” con un documento che spiega l’insegnamento della Chiesa sull’argomento). Ma non si tratta solo di sesso nelle scuole: molte istituzioni laiche (anche le biblioteche pubbliche) sono sempre più ostili nei confronti della fede cattolica.
Individualismo. Una delle manifestazioni più visibili dei danni dell’individualismo è l’accresciuta dipendenza dai dispositivi tecnologici che, pur promettendo connessione digitale e vita di comunità, in realtà ci rendono più soli e disconnessi. Molti bambini americani sono incapaci di intrattenersi con i tipi di giochi e attività che un tempo erano tipici dei quartieri urbani e suburbani, e invece sono costantemente legati ai loro dispositivi. Inoltre, queste comunità digitali non riescono a promuovere relazioni reali, in carne e ossa con altri bambini, e incoraggiano una celebrazione narcisistica del sé (curato con cura).
Consumismo. La nostra era digitale esacerba anche le tendenze consumistiche americane, perché ci vengono costantemente alimentate bugie sul fatto che abbiamo bisogno di maggiori e migliori proprietà. Come genitore di quattro bambini piccoli, sono stupito di come anche sotto i miei occhi attenti si vadano accumulando cose che catturano l’attenzione dei miei figli solo per brevi momenti. Non solo le cose, ma anche le persone sono sempre più mercificate. La proliferazione della pornografia tramite smartphone insegna ai bambini che il sesso (e le persone) si possono comprare e vendere.
Relativismo. È ormai un ritornello comune: tutte le tradizioni religiose sono più o meno le stesse, poiché tutte insegnano un potere superiore, la necessità della preghiera o della meditazione e l’importanza di essere gentili con gli altri. Questo poi si estende anche all’etica: finché non fai del male a un’altra persona, tutti i comportamenti sono accettabili. Certo, c’è anche una certa incoerenza nel pensiero relativistico, dato che molti dei suoi sostenitori ora affermano che questo non si applica ai propri nemici ideologici (che hanno semplicemente bisogno di essere cancellati e messi ai margini).
Non è difficile identificare come queste quattro tendenze stiano minando la trasmissione della fede cattolica. Il secolarismo incoraggia i giovani cattolici a considerare le loro credenze ereditate come antiquate e non al passo con la società in generale. L’individualismo insegna loro che soddisfare i propri desideri e celebrare se stessi è la cosa più importante nella vita. Il consumismo genera egoismo e considera le relazioni esclusivamente transazionali. E il relativismo vizia la fede nella verità assoluta.
Quindi, come osserva l’arcivescovo Gomez, “i giovani di oggi tendono a non pensare in termini di antichi credi o verità immutabili. Considerano invece Dio come un creatore benevolo che non giudica ma vuole solo che le persone siano felici e si sentano bene con se stesse; il loro ‘Dio’ chiede solo di non essere cattivi con gli altri”.
Se questo è il tipo di Dio predicato ai nostri giovani cattolici nelle nostre chiese e nei gruppi giovanili, dovremmo sorprenderci se non si preoccupano di tornare in chiesa per sposarsi o per battezzare i loro figli? Gesù e l’Eucaristia non sono la Via, la Verità, ma solo una possibile verità o via tra tante.
Cosa dobbiamo fare allora?
In primo luogo, afferma l’arcivescovo Gomez, dobbiamo riconoscere che “i genitori hanno la più grande influenza sulle identità, le credenze e le pratiche religiose dei loro figli, e sono molto più importanti dei coetanei, degli insegnanti, dei gruppi giovanili o persino dell’educazione religiosa”. Così tutto ciò che facciamo con e per i nostri figli serve come catechesi, che lo si voglia o no. Se siamo costantemente sui nostri dispositivi o indugiamo nello stile di vita consumistico, non dovremmo sorprenderci se i nostri figli vedono tali attività come la via per la felicità e la realizzazione.
In alternativa, se determiniamo coscienziosamente di essere i “primi insegnanti nella fede” dei nostri figli, essi capiranno che questo è qualcosa di inestimabile per la nostra identità. Se incorporiamo la preghiera nelle nostre attività familiari quotidiane, i nostri figli la vivranno come “normale abitudine di persone sane”. E se noi stessi ci sforziamo di essere santi, riconoscendo i nostri fallimenti e le nostre colpe, e perseguendo la rettitudine, i nostri figli saranno più inclini a fare lo stesso.
So di avere una lunga strada da percorrere in questo senso. In più di otto anni da genitore, ho fatto la mia giusta dose di errori e continuo a farne. Ma so anche che i miei figli si sono abituati a papà che si scusa con loro, forse per aver perso la pazienza o essere troppo duro, e spero che vedano il suo pentimento e la sua ammenda come una prova che il loro padre sta cercando, per quanto imperfettamente, di amare e servirli. E sanno che prega per loro (e con loro) ogni giorno. La testimonianza quotidiana della fede cristiana di mio padre mi ha certamente ispirato a preservare quel dono inestimabile. Dobbiamo pregare nostro Signore che dia a noi (e ai nostri figli) la grazia di fare lo stesso.
Fonte: crisismagazine.com
Titolo originale: How to Raise a Warrior of Faith
Casey Chalk è un collaboratore senior di The Federalist. Ha conseguito un master in Teologia presso il Christendom College
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