Pubblichiamo la prima parte dell'articolo apparso ieri sulla rivista online Disputationes Theologicae, su un argomento attualmente molto dibattuto
La necessità teologica ed ecclesiale di una “terza via”: né vortice "scismatico" né conformismo "allineato"
Nel quadro della disputa sollevata dal nostro recente editoriale siamo in dovere, come la nostra rivista si prefigge, di dare risposta ad alcuni interrogativi ed ad alcune obiezioni, violente, violentissime a volte - probabile segno che il problema denunciato era reale -, ma sempre prive di nome e cognome. Infatti né l’amor di verità degli strenui difensori di un tradizionalismo “duro”, né il desiderio d’ unità dei fautori d’un liberale “ecumenismo della Tradizione” sono stati capaci d’infondere il coraggio d’una firma. Si noti anche la strana convergenza dei due poli apparentemente opposti, ma in realtà uniti dall’avversione alla linea teologico-ecclesiale, chiara e dichiarata, da noi espressa. Davanti a questa strana attitudine vogliamo attirare l’attenzione su una “terza via”. Si può essere “romani”, e nutrire un rispetto – anche verbale – nei confronti dell’autorità ecclesiastica, ma al tempo stesso esprimere anche pubblicamente il proprio dissenso quando un pericolo per la dottrina della fede lo richieda.
Nell’intento di essere sintetici, riassumeremo i differenti interventi, alcuni d’ordine teologico, altri di tipo pratico-politico, ma con connessioni teologiche, cercando al tempo stesso di illustrare questa “terza via” di cui nel titolo di fa menzione.
Obiezioni teologiche:
1) La posizione della vostra rivista si è appiattita, come ormai quella di tutti gli istituti Ecclesia Dei, sulla difesa del testo conciliare, sostenendo che tutto, nei testi del Vaticano II, è assolutamente e indistintamente vincolante ed è da interpretare nell’ermeneutica della continuità.
2) Avete attaccato il neotomismo degli anni ’30 perché ormai anche la vostra linea teologica è quella del nuovo corso, che disprezza il rigore di quella linea di pensiero, mescolandovi le novità moderniste.
3) Voi siete sottomessi visibilmente e canonicamente ad un’autorità che indice l’incontro d’Assisi, quindi voi siete implicitamente favorevoli all’attuale ecumenismo; l’unica soluzione fedele sarebbe la vostra rottura con le autorità ecclesiastiche.
4) Non denunciate con sufficiente convinzione l’ecumenismo e soprattutto “Assisi III”.
Obiezioni d’ordine pratico-politico:
5) Avete accusato la Fraternità d’essere scismatica in ragione delle sue posizioni.
6) I colloqui dottrinali tra i teologi romani e quelli d’Êcone vanno bene, i responsabili ne sono soddisfatti.
7) La prova ne è il fatto che presto ci sarà un ordinariato personale.
8) Gli Istituti dell’Ecclesia Dei, scordando la parabola del figliol prodigo, non vogliono l’accordo di Roma con la Fraternità.
Risponderemo basandoci prima sul dato teologico, poi su quello pratico. In una prospettiva realista terremo conto del primato del vero sull’utile, senza per questo disprezzare l’ “arte politica”, nel senso aristotelico del termine, e soprattutto - come disse anche Mons. Lefebvre alla fine degli anni ’70 - tenendo conto delle varie sfumature della realtà che è irriducibile ad una sorta di “impazzimento ideologista”.
1) Le norme teologiche di valutazione cui ci atteniamo sono quelle classiche; su questo noi ci fondiamo per esprimere una posizione di assenso o dissenso su un argomento teologico non infallibilmente definito o comunque suscettibile di approfondimenti. E’ anche il Codice di diritto canonico che sottolinea la “giusta libertà di investigare e di manifestare con prudenza”, in ossequio al Magistero della Chiesa, le proprie opinioni (can. 218). La Pontificia Commissione Ecclesia Dei è infatti un organismo canonico-giuridico e non un organismo che avrebbe “sue” posizioni teologiche, come ideologicamente sostenuto dal tradizionalismo “intransigente” e dall’Osservatore Romano... Inoltre è ben noto, anche dagli statuti dell’Istituto del Buon Pastore cui appartiene il direttore di questo libero sito, che non sosteniamo l’assoluta intangibilità dei testi di tale Concilio pastorale. Essi possono essere rivisti da chi detiene la somma autorità nella Chiesa. Si tratta infatti di testi che non godono dell’infallibilità del Magistero straordinario infallibile, né di quella dell’ordinario infallibile in ogni loro frase. Sulla possibilità di tale prospettiva è sufficiente la “Nota teologica” del Concilio stesso del 16 novembre 1964 (Denz. 4350 e ss.) e su queste pagine si è espressa con sufficiente chiarezza anche l’autorevole voce di Mons. Gherardini. Ci preme tuttavia aggiungere che limitare il discorso ai documenti del Concilio, in maniera peraltro fortemente esasperata e smisuratamente ideologica, è assai riduttivo, il problema essendo ben più ampio.
2) Non abbiamo sconfessato il “neotomismo”, continuando a nutrire grande rispetto per la “Scuola”, anche quella detta “dei commentatori”. Verrebbe da chiedersi se l’obiettante sa leggere con attenzione e soprattutto con obiettività i nostri editoriali. Abbiamo riportato il facile giudizio della parte vaticana. E’ tuttavia nostro avviso che la prospettiva vada ampliata, senza assolutizzare il “neotomismo”, proprio per evitare il gioco facile di alcuni teologi moderni, che vorrebbero chiamare “disputa di scuola” ciò che meriterebbe semplicemente il nome di “errore di dottrina”. Se questi problemi e queste facili accuse, da una parte e dall’altra, si sono prodotte è perché questi “colloqui dottrinali” sono stati impostati male.
3) Essere canonicamente, quindi visibilmente, sottomessi al Romano Pontefice e ai Vescovi in comunione con Lui, non significa condividere tutti e singoli gli atti non infallibili che l’autorità fa o subisce, propone o sembra proporre. Significa rispettare la Divina Costituzione della Chiesa, pur riservandosi la facoltà di esprimere rispettosamente un dissenso teologicamente compatibile con le materie in oggetto. Soprattutto affermiamo un principio teologico, e di legge naturale: ciò che regola, ed eventualmente permette, la resistenza alla piena sottomissione alla gerarchia è l’imposizione di un ordine moralmente inaccettabile, al contrario la circostanza che la gerarchia faccia o dica cose non condivisibili non autorizza ad estendere la resistenza ad una dimensione abituale o universale.
4) In merito alla denuncia delle derive ecumeniche, quando l’Osservatore Romano ha scritto, con firma di Renzo Gattegna, che la Chiesa Cattolica deve rinunciare a convertire gli ebrei, la nostra rivista ha sottoscritto una pubblica denuncia presentata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, già nel dicembre 2010 (un mese prima dell’annuncio d’Assisi III) e ha in seguito pubblicato un articolo in merito. Su un avvenimento tanto grave, poiché in aperta e dichiarata opposizione al magistero ecclesiastico, il dissenso s’impone ad ogni cattolico, benché non consti che una chiara voce si sia levata da quanti hanno attaccato la nostra testata di complice silenzio. Nell’evidenza di un’affermazione in contrasto aperto con la dottrina cattolica, è nostra posizione che tali errori in materia di fede siano da denunciare senza reticenze. In merito ad Assisi III restiamo in linea di principio fortemente avversi agli incontri interreligiosi, posizione pubblica e nota sia al Santo Padre sia alla Chiesa in generale, ma conoscendo il pensiero dell’allora card. Ratzinger e le sue passate affermazioni sull’impatto disastroso di questi avvenimenti, aspettiamo gli eventi per conoscere a fondo quale sia, nella “mens” del Papa, il motivo di un tale incontro. Forse legato, più di quanto si creda, all’attuale equilibrio internazionale o ad equilibri interni al mondo ecclesiastico. Vista la complessità della situazione non ci sembrano opportuni i rapidissimi commenti, e comunque gli epiteti, che sono stati riservati al successore di Pietro su siti d’area tradizionale. Impossibile poi capire la logica di chi, affermando l’indicibile gravità dell’incontro Assisi III, vuole al tempo stesso sostenere che i colloqui teologici Êcone-Roma vadano bene; in effetti, vista l’impostazione “dottrinale” che si è voluto dare a tali incontri, se vanno bene allora vorrà dire che di fatto l’attuale ecumenismo non pone problemi agli interlocutori.
La necessità teologica ed ecclesiale di una “terza via”: né vortice "scismatico" né conformismo "allineato"
Nel quadro della disputa sollevata dal nostro recente editoriale siamo in dovere, come la nostra rivista si prefigge, di dare risposta ad alcuni interrogativi ed ad alcune obiezioni, violente, violentissime a volte - probabile segno che il problema denunciato era reale -, ma sempre prive di nome e cognome. Infatti né l’amor di verità degli strenui difensori di un tradizionalismo “duro”, né il desiderio d’ unità dei fautori d’un liberale “ecumenismo della Tradizione” sono stati capaci d’infondere il coraggio d’una firma. Si noti anche la strana convergenza dei due poli apparentemente opposti, ma in realtà uniti dall’avversione alla linea teologico-ecclesiale, chiara e dichiarata, da noi espressa. Davanti a questa strana attitudine vogliamo attirare l’attenzione su una “terza via”. Si può essere “romani”, e nutrire un rispetto – anche verbale – nei confronti dell’autorità ecclesiastica, ma al tempo stesso esprimere anche pubblicamente il proprio dissenso quando un pericolo per la dottrina della fede lo richieda.
Nell’intento di essere sintetici, riassumeremo i differenti interventi, alcuni d’ordine teologico, altri di tipo pratico-politico, ma con connessioni teologiche, cercando al tempo stesso di illustrare questa “terza via” di cui nel titolo di fa menzione.
Obiezioni teologiche:
1) La posizione della vostra rivista si è appiattita, come ormai quella di tutti gli istituti Ecclesia Dei, sulla difesa del testo conciliare, sostenendo che tutto, nei testi del Vaticano II, è assolutamente e indistintamente vincolante ed è da interpretare nell’ermeneutica della continuità.
2) Avete attaccato il neotomismo degli anni ’30 perché ormai anche la vostra linea teologica è quella del nuovo corso, che disprezza il rigore di quella linea di pensiero, mescolandovi le novità moderniste.
3) Voi siete sottomessi visibilmente e canonicamente ad un’autorità che indice l’incontro d’Assisi, quindi voi siete implicitamente favorevoli all’attuale ecumenismo; l’unica soluzione fedele sarebbe la vostra rottura con le autorità ecclesiastiche.
4) Non denunciate con sufficiente convinzione l’ecumenismo e soprattutto “Assisi III”.
Obiezioni d’ordine pratico-politico:
5) Avete accusato la Fraternità d’essere scismatica in ragione delle sue posizioni.
6) I colloqui dottrinali tra i teologi romani e quelli d’Êcone vanno bene, i responsabili ne sono soddisfatti.
7) La prova ne è il fatto che presto ci sarà un ordinariato personale.
8) Gli Istituti dell’Ecclesia Dei, scordando la parabola del figliol prodigo, non vogliono l’accordo di Roma con la Fraternità.
Risponderemo basandoci prima sul dato teologico, poi su quello pratico. In una prospettiva realista terremo conto del primato del vero sull’utile, senza per questo disprezzare l’ “arte politica”, nel senso aristotelico del termine, e soprattutto - come disse anche Mons. Lefebvre alla fine degli anni ’70 - tenendo conto delle varie sfumature della realtà che è irriducibile ad una sorta di “impazzimento ideologista”.
1) Le norme teologiche di valutazione cui ci atteniamo sono quelle classiche; su questo noi ci fondiamo per esprimere una posizione di assenso o dissenso su un argomento teologico non infallibilmente definito o comunque suscettibile di approfondimenti. E’ anche il Codice di diritto canonico che sottolinea la “giusta libertà di investigare e di manifestare con prudenza”, in ossequio al Magistero della Chiesa, le proprie opinioni (can. 218). La Pontificia Commissione Ecclesia Dei è infatti un organismo canonico-giuridico e non un organismo che avrebbe “sue” posizioni teologiche, come ideologicamente sostenuto dal tradizionalismo “intransigente” e dall’Osservatore Romano... Inoltre è ben noto, anche dagli statuti dell’Istituto del Buon Pastore cui appartiene il direttore di questo libero sito, che non sosteniamo l’assoluta intangibilità dei testi di tale Concilio pastorale. Essi possono essere rivisti da chi detiene la somma autorità nella Chiesa. Si tratta infatti di testi che non godono dell’infallibilità del Magistero straordinario infallibile, né di quella dell’ordinario infallibile in ogni loro frase. Sulla possibilità di tale prospettiva è sufficiente la “Nota teologica” del Concilio stesso del 16 novembre 1964 (Denz. 4350 e ss.) e su queste pagine si è espressa con sufficiente chiarezza anche l’autorevole voce di Mons. Gherardini. Ci preme tuttavia aggiungere che limitare il discorso ai documenti del Concilio, in maniera peraltro fortemente esasperata e smisuratamente ideologica, è assai riduttivo, il problema essendo ben più ampio.
2) Non abbiamo sconfessato il “neotomismo”, continuando a nutrire grande rispetto per la “Scuola”, anche quella detta “dei commentatori”. Verrebbe da chiedersi se l’obiettante sa leggere con attenzione e soprattutto con obiettività i nostri editoriali. Abbiamo riportato il facile giudizio della parte vaticana. E’ tuttavia nostro avviso che la prospettiva vada ampliata, senza assolutizzare il “neotomismo”, proprio per evitare il gioco facile di alcuni teologi moderni, che vorrebbero chiamare “disputa di scuola” ciò che meriterebbe semplicemente il nome di “errore di dottrina”. Se questi problemi e queste facili accuse, da una parte e dall’altra, si sono prodotte è perché questi “colloqui dottrinali” sono stati impostati male.
3) Essere canonicamente, quindi visibilmente, sottomessi al Romano Pontefice e ai Vescovi in comunione con Lui, non significa condividere tutti e singoli gli atti non infallibili che l’autorità fa o subisce, propone o sembra proporre. Significa rispettare la Divina Costituzione della Chiesa, pur riservandosi la facoltà di esprimere rispettosamente un dissenso teologicamente compatibile con le materie in oggetto. Soprattutto affermiamo un principio teologico, e di legge naturale: ciò che regola, ed eventualmente permette, la resistenza alla piena sottomissione alla gerarchia è l’imposizione di un ordine moralmente inaccettabile, al contrario la circostanza che la gerarchia faccia o dica cose non condivisibili non autorizza ad estendere la resistenza ad una dimensione abituale o universale.
4) In merito alla denuncia delle derive ecumeniche, quando l’Osservatore Romano ha scritto, con firma di Renzo Gattegna, che la Chiesa Cattolica deve rinunciare a convertire gli ebrei, la nostra rivista ha sottoscritto una pubblica denuncia presentata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, già nel dicembre 2010 (un mese prima dell’annuncio d’Assisi III) e ha in seguito pubblicato un articolo in merito. Su un avvenimento tanto grave, poiché in aperta e dichiarata opposizione al magistero ecclesiastico, il dissenso s’impone ad ogni cattolico, benché non consti che una chiara voce si sia levata da quanti hanno attaccato la nostra testata di complice silenzio. Nell’evidenza di un’affermazione in contrasto aperto con la dottrina cattolica, è nostra posizione che tali errori in materia di fede siano da denunciare senza reticenze. In merito ad Assisi III restiamo in linea di principio fortemente avversi agli incontri interreligiosi, posizione pubblica e nota sia al Santo Padre sia alla Chiesa in generale, ma conoscendo il pensiero dell’allora card. Ratzinger e le sue passate affermazioni sull’impatto disastroso di questi avvenimenti, aspettiamo gli eventi per conoscere a fondo quale sia, nella “mens” del Papa, il motivo di un tale incontro. Forse legato, più di quanto si creda, all’attuale equilibrio internazionale o ad equilibri interni al mondo ecclesiastico. Vista la complessità della situazione non ci sembrano opportuni i rapidissimi commenti, e comunque gli epiteti, che sono stati riservati al successore di Pietro su siti d’area tradizionale. Impossibile poi capire la logica di chi, affermando l’indicibile gravità dell’incontro Assisi III, vuole al tempo stesso sostenere che i colloqui teologici Êcone-Roma vadano bene; in effetti, vista l’impostazione “dottrinale” che si è voluto dare a tali incontri, se vanno bene allora vorrà dire che di fatto l’attuale ecumenismo non pone problemi agli interlocutori.
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