Statua di San Pietro in Piazza San Pietro, Vaticano, Roma
Di seguito alcuni stralci dell’intervista concessa da George Weigel a Carl E. Olson, pubblicata su Catholic World Report, nella traduzione curata da Sabino Paciolla, 29 Aprile 2025.
Carl E. Olson
Il libro Il prossimo Papa, scritto da George Weigel – biografo di Papa Giovanni Paolo II e autore di oltre venti libri– vuole essere una guida politica al prossimo conclave papale? Un vaglio dei possibili candidati papali? O è qualcosa di completamente diverso?
Ho avuto una corrispondenza con Weigel quando il libro è stato pubblicato per la prima volta nel 2020 da Ignatius Press, ponendogli varie domande sul papato, sul Vaticano II e sulle sfide attuali all’interno e all’esterno della Chiesa.
L’intervista, pubblicata originariamente su CWR nel luglio 2020, viene riproposta qui con alcune piccole modifiche apportate alla luce della morte di Papa Francesco e della situazione attuale.
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CWR: Un punto fondamentale di questo libro è la sua affermazione che stiamo vivendo la “turbolenza di [un] momento di transizione” come parte di quella che lei identifica come la quinta grande transizione storica nella vita della Chiesa. In che cosa consiste questa transizione? E come si inserisce il papato, se vuole, in questa transizione?
Weigel: Come ho notato in forma molto telegrafica ne Il prossimo Papa, siamo nella quinta grande epoca di transizione nei duemila anni di storia della Chiesa.
La prima è stata la transizione dal Movimento di Gesù (o, se preferite, dalla Chiesa primitiva descritta negli Atti e nelle epistole del Nuovo Testamento) alla “Chiesa primitiva”, una transizione accelerata dalla prima guerra giudaico-romana (70 d.C. circa); la Chiesa primitiva ha convertito tra un terzo e metà del mondo mediterraneo in 250 anni circa.
La “Chiesa primitiva” ha poi dato vita, anche se ha ceduto il passo, al cristianesimo patristico, plasmato dall’incontro della Chiesa con la cultura classica; questo modo di essere cattolici ha sostenuto concili ecumenici cruciali come Nicea I, Efeso e Calcedonia e ha nutrito grandi pensatori come Ambrogio, Agostino, i Padri Cappadoci e Massimo il Confessore.
Poi, verso la fine del primo millennio, il cristianesimo patristico ha dato vita – e allo stesso tempo ha lasciato il posto – alla cristianità medievale: forse la sintesi più stretta mai raggiunta tra Chiesa, società e cultura. La cristianità medievale andò in frantumi nel XVI secolo e dai cataclismi di quell’epoca nacque il cattolicesimo in cui ogni cattolico di 55 o 60 anni è cresciuto: Il cattolicesimo della Controriforma.
Ora siamo in una fase di transizione dal cattolicesimo della Controriforma alla Chiesa della Nuova Evangelizzazione, una transizione in cui le istituzioni faticosamente costruite, difese e ricostruite tra la fine del XVI secolo e la fine del XX secolo devono ora essere trasformate in piattaforme per la missione. Questi momenti di transizione creano sempre turbolenze e quello attuale, iniziato con il pontificato di Leone XIII alla fine del XIX secolo, non fa eccezione.
CWR: All’inizio, lei tocca un tema sviluppato in modo più dettagliato nel suo libro L’ironia della storia cattolica moderna, ovvero che dal 1878 e dal papato di Leone XIII, la Chiesa ha cercato di “impegnarsi nel mondo moderno per convertire il mondo moderno”. Quali sono state alcune delle sfide e degli ostacoli principali a questo lavoro e come questo influenzerà il prossimo papato?
Weigel: La sfida fondamentale per la Chiesa in Occidente è capire che non viviamo più in “tempi di cristianità”, tempi in cui la cultura aiuta a trasmettere la fede, ma in tempi apostolici: tempi in cui il Vangelo deve essere attivamente proclamato e proposto. Non c’è bisogno di spiegarlo alle giovani e vibranti Chiese dell’Africa subsahariana: lo stanno vivendo.
Bisogna invece spiegarlo in Europa, in America Latina e in gran parte del Nord America. Ogni leader della Chiesa, chierico o laico, ma soprattutto il Successore di Pietro, deve riconoscere questo fatto fondamentale della nostra situazione. Ci sono molte altre sfide e ostacoli, naturalmente, tra cui l’insistenza di alcuni sul fatto che il Cattolicesimo Lite (cioè il cattolicesimo senza identità, non pronunciato, eterodosso, “lite” come la Coca Cola Lite, per intenderci, ndr) sia la strada per la “rilevanza”, cosa che chiaramente non è.
E poi c’è la sfida del cinismo diffuso, nato da una sorta di noia spirituale nichilista, in gran parte della cultura occidentale d’élite. Tuttavia, la sfida fondamentale è comprendere che stiamo vivendo in tempi apostolici e trarre le conclusioni appropriate da questo fatto.
CWR : Lei critica fortemente la “Catholic Lite” in tutto il libro. Quali sono le caratteristiche essenziali della “Catholic Lite”? E cosa dovrebbe fare, secondo lei, il prossimo Papa per affrontarla?
Weigel: Il “Catholic Lite” è l’ammutolimento del credo e della pratica cattolica in conformità alle tendenze culturali e agli shibboleth prevalenti. E come l’esperienza dovrebbe averci insegnato, Il “Catholic Lite” porta inesorabilmente allo zero cattolico, che è ciò che sta accadendo, ad esempio, in Germania. Gran parte del cattolicesimo tedesco oggi è un involucro istituzionale massiccio e ben finanziato, senza potere evangelico o un serio impatto sulla società; questo è ciò che cinquant’anni di “Catholic Lite” faranno a una Chiesa locale, per quanto venerabile o benestante.
Ero solito pensare che Il “Catholic Lite” fosse una forma di scisma psicologico: “Guardate, siamo più intelligenti di voi ortodossi/conservatori”. Ora non lo penso più. Il “Catholic Lite” è una forma di apostasia, una tacita negazione che Gesù Cristo sia l’unico salvatore dell’umanità e il centro della storia e del cosmo.
Le parti vive della Chiesa mondiale sono quelle che abbracciano pienamente il cattolicesimo. Il prossimo Papa può sottolinearlo, incoraggiare il cattolicesimo vivente nella sua opera di evangelizzazione e chiamare quelle parti della Chiesa mondiale intrappolate nelle sabbie mobili del “Catholic Lite” a riscoprire l’avventura dell’ortodossia prima che si decompongano nel cattolicesimo zero.
CWR: Lei scrive che oggi ci sono alcuni cattolici che “negano che la rivelazione di Dio giudichi la storia e suggeriscono che il flusso della storia e la nostra esperienza attuale giudichino le verità della rivelazione…”. Quali sono alcuni esempi di questo approccio alla rivelazione divina di influenza hegeliana? E che tipo di problemi ne derivano?
Weigel: Abbiamo visto questi problemi nei Sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015, quando eminenti uomini di Chiesa hanno insistito sul fatto che la nostra esperienza delle sfide del matrimonio e della vita familiare oggi ci permette di “aggiustare” l’insegnamento di Gesù stesso – la rivelazione – su tali questioni.
Naturalmente, questo porta esattamente dove ha portato il protestantesimo liberale a partire dal XIX secolo: a un cristianesimo senza timone che alla fine diventa indistinguibile dalla società e dalla cultura circostanti, e quindi diventa comatoso, evangelicamente e nel suo impatto sulla società. Il Concilio Vaticano II ha affermato con forza il fatto e l’autorità vincolante della rivelazione divina, e ogni Papa dovrebbe ricordarlo regolarmente alla Chiesa.
Non siamo senza timone, grazie alla Scrittura e alla Tradizione che, come insegna il Concilio, formano un unico deposito della Parola di Dio.
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CWR: L’attuale crisi “della civiltà mondiale è una crisi dell’idea di persona umana” e, secondo lei, la risposta è “la rivitalizzazione dell’umanesimo cristiano”. È giusto dire che troppi leader cattolici, anche quelli che desiderano affrontare questa crisi, non comprendono abbastanza a fondo la natura profonda di questa crisi? E come affrontarla praticamente? In che modo il prossimo Papa dovrebbe cercare di rivitalizzare l’umanesimo cristiano?
Weigel: Negli Stati Uniti è impossibile negare la natura della crisi, grazie alla recente sentenza Bostock della Corte Suprema. Bostock ha detto, in poche parole, che l’idea biblica di persona umana è contraria alla legge statunitense sui diritti civili. Secondo la legge sui diritti civili, così come interpretata dalla maggioranza nella sentenza Bostock, siamo tutti semplici pacchetti di desideri moralmente equivalenti, la cui soddisfazione è lo scopo della legge sui diritti civili; e qualsiasi sfida a questa visione della persona umana è per definizione un atto di discriminazione o di bigottismo. Ecco come sono andate le cose.
Qual è la risposta? Sono essenziali strategie legali che consentano una buona difesa fino a quando il panorama giuridico non cambierà e sarà riportato alla realtà. A lungo termine, però, l’unica risposta a questo degrado della persona umana è l’elevazione di una visione più nobile di chi siamo noi esseri umani. I cristiani credono che la verità su chi siamo e su quale sia il nostro nobile destino sia stata definitivamente mostrata in Gesù Cristo, che rivela sia il volto del Padre delle misericordie sia la verità su di noi. Gesù non è un avatar della decenza umana o della “spiritualità”. È ciò che ha detto di essere: “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Pertanto, un rinnovamento radicalmente cristocentrico dell’evangelizzazione è imperativo sia per il bene della Chiesa sia per il bene della società.
Come può il prossimo Papa sostenere quello che dovrà essere un massiccio sforzo di conversione e rinnovamento culturale da parte di tutta la Chiesa? Può farlo essendo completamente, persino implacabilmente, cristocentrico nella sua predicazione e nel suo insegnamento. E in questo può prendere spunto da Giovanni Paolo II. Quando si pensa alla grande omelia inaugurale di Giovanni Paolo il 22 ottobre 1978, si ricorda la frase “Non abbiate paura!”. L’omelia iniziava, però, con la confessione di fede cristologica di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16,16).
Giovanni Paolo II poteva vivere al di là della paura e poteva sfidare in modo persuasivo gli altri a fare lo stesso, grazie alla sua fede radicale e cristocentrica. È un modello potente per il papato del futuro, in questi tempi apostolici.
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