mercoledì 30 aprile 2025

Di che tipo di papa ha bisogno la Chiesa ora? Intervista con George Weigel


Statua di San Pietro in Piazza San Pietro, Vaticano, Roma

Di seguito alcuni stralci dell’intervista concessa da George Weigel a Carl E. Olson, pubblicata su Catholic World Report, nella traduzione curata da Sabino Paciolla, 29 Aprile 2025.



Carl E. Olson

Il libro Il prossimo Papa, scritto da George Weigel – biografo di Papa Giovanni Paolo II e autore di oltre venti libri– vuole essere una guida politica al prossimo conclave papale? Un vaglio dei possibili candidati papali? O è qualcosa di completamente diverso?
Ho avuto una corrispondenza con Weigel quando il libro è stato pubblicato per la prima volta nel 2020 da Ignatius Press, ponendogli varie domande sul papato, sul Vaticano II e sulle sfide attuali all’interno e all’esterno della Chiesa.
L’intervista, pubblicata originariamente su CWR nel luglio 2020, viene riproposta qui con alcune piccole modifiche apportate alla luce della morte di Papa Francesco e della situazione attuale.

[…]

CWR: Un punto fondamentale di questo libro è la sua affermazione che stiamo vivendo la “turbolenza di [un] momento di transizione” come parte di quella che lei identifica come la quinta grande transizione storica nella vita della Chiesa. In che cosa consiste questa transizione? E come si inserisce il papato, se vuole, in questa transizione?

Weigel:
Come ho notato in forma molto telegrafica ne Il prossimo Papa, siamo nella quinta grande epoca di transizione nei duemila anni di storia della Chiesa.
La prima è stata la transizione dal Movimento di Gesù (o, se preferite, dalla Chiesa primitiva descritta negli Atti e nelle epistole del Nuovo Testamento) alla “Chiesa primitiva”, una transizione accelerata dalla prima guerra giudaico-romana (70 d.C. circa); la Chiesa primitiva ha convertito tra un terzo e metà del mondo mediterraneo in 250 anni circa.
La “Chiesa primitiva” ha poi dato vita, anche se ha ceduto il passo, al cristianesimo patristico, plasmato dall’incontro della Chiesa con la cultura classica; questo modo di essere cattolici ha sostenuto concili ecumenici cruciali come Nicea I, Efeso e Calcedonia e ha nutrito grandi pensatori come Ambrogio, Agostino, i Padri Cappadoci e Massimo il Confessore.
Poi, verso la fine del primo millennio, il cristianesimo patristico ha dato vita – e allo stesso tempo ha lasciato il posto – alla cristianità medievale: forse la sintesi più stretta mai raggiunta tra Chiesa, società e cultura. La cristianità medievale andò in frantumi nel XVI secolo e dai cataclismi di quell’epoca nacque il cattolicesimo in cui ogni cattolico di 55 o 60 anni è cresciuto: Il cattolicesimo della Controriforma.
Ora siamo in una fase di transizione dal cattolicesimo della Controriforma alla Chiesa della Nuova Evangelizzazione, una transizione in cui le istituzioni faticosamente costruite, difese e ricostruite tra la fine del XVI secolo e la fine del XX secolo devono ora essere trasformate in piattaforme per la missione. Questi momenti di transizione creano sempre turbolenze e quello attuale, iniziato con il pontificato di Leone XIII alla fine del XIX secolo, non fa eccezione.

CWR: All’inizio, lei tocca un tema sviluppato in modo più dettagliato nel suo libro L’ironia della storia cattolica moderna, ovvero che dal 1878 e dal papato di Leone XIII, la Chiesa ha cercato di “impegnarsi nel mondo moderno per convertire il mondo moderno”. Quali sono state alcune delle sfide e degli ostacoli principali a questo lavoro e come questo influenzerà il prossimo papato?

Weigel:
La sfida fondamentale per la Chiesa in Occidente è capire che non viviamo più in “tempi di cristianità”, tempi in cui la cultura aiuta a trasmettere la fede, ma in tempi apostolici: tempi in cui il Vangelo deve essere attivamente proclamato e proposto. Non c’è bisogno di spiegarlo alle giovani e vibranti Chiese dell’Africa subsahariana: lo stanno vivendo.
Bisogna invece spiegarlo in Europa, in America Latina e in gran parte del Nord America. Ogni leader della Chiesa, chierico o laico, ma soprattutto il Successore di Pietro, deve riconoscere questo fatto fondamentale della nostra situazione. Ci sono molte altre sfide e ostacoli, naturalmente, tra cui l’insistenza di alcuni sul fatto che il Cattolicesimo Lite (cioè il cattolicesimo senza identità, non pronunciato, eterodosso, “lite” come la Coca Cola Lite, per intenderci, ndr) sia la strada per la “rilevanza”, cosa che chiaramente non è.
E poi c’è la sfida del cinismo diffuso, nato da una sorta di noia spirituale nichilista, in gran parte della cultura occidentale d’élite. Tuttavia, la sfida fondamentale è comprendere che stiamo vivendo in tempi apostolici e trarre le conclusioni appropriate da questo fatto.

CWR : Lei critica fortemente la “Catholic Lite” in tutto il libro. Quali sono le caratteristiche essenziali della “Catholic Lite”? E cosa dovrebbe fare, secondo lei, il prossimo Papa per affrontarla?

Weigel:
Il “Catholic Lite” è l’ammutolimento del credo e della pratica cattolica in conformità alle tendenze culturali e agli shibboleth prevalenti. E come l’esperienza dovrebbe averci insegnato, Il “Catholic Lite” porta inesorabilmente allo zero cattolico, che è ciò che sta accadendo, ad esempio, in Germania. Gran parte del cattolicesimo tedesco oggi è un involucro istituzionale massiccio e ben finanziato, senza potere evangelico o un serio impatto sulla società; questo è ciò che cinquant’anni di “Catholic Lite” faranno a una Chiesa locale, per quanto venerabile o benestante.
Ero solito pensare che Il “Catholic Lite” fosse una forma di scisma psicologico: “Guardate, siamo più intelligenti di voi ortodossi/conservatori”. Ora non lo penso più. Il “Catholic Lite” è una forma di apostasia, una tacita negazione che Gesù Cristo sia l’unico salvatore dell’umanità e il centro della storia e del cosmo.
Le parti vive della Chiesa mondiale sono quelle che abbracciano pienamente il cattolicesimo. Il prossimo Papa può sottolinearlo, incoraggiare il cattolicesimo vivente nella sua opera di evangelizzazione e chiamare quelle parti della Chiesa mondiale intrappolate nelle sabbie mobili del “Catholic Lite” a riscoprire l’avventura dell’ortodossia prima che si decompongano nel cattolicesimo zero.

CWR: Lei scrive che oggi ci sono alcuni cattolici che “negano che la rivelazione di Dio giudichi la storia e suggeriscono che il flusso della storia e la nostra esperienza attuale giudichino le verità della rivelazione…”. Quali sono alcuni esempi di questo approccio alla rivelazione divina di influenza hegeliana? E che tipo di problemi ne derivano?

Weigel:
Abbiamo visto questi problemi nei Sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015, quando eminenti uomini di Chiesa hanno insistito sul fatto che la nostra esperienza delle sfide del matrimonio e della vita familiare oggi ci permette di “aggiustare” l’insegnamento di Gesù stesso – la rivelazione – su tali questioni.
Naturalmente, questo porta esattamente dove ha portato il protestantesimo liberale a partire dal XIX secolo: a un cristianesimo senza timone che alla fine diventa indistinguibile dalla società e dalla cultura circostanti, e quindi diventa comatoso, evangelicamente e nel suo impatto sulla società. Il Concilio Vaticano II ha affermato con forza il fatto e l’autorità vincolante della rivelazione divina, e ogni Papa dovrebbe ricordarlo regolarmente alla Chiesa.
Non siamo senza timone, grazie alla Scrittura e alla Tradizione che, come insegna il Concilio, formano un unico deposito della Parola di Dio.

[…]

CWR: L’attuale crisi “della civiltà mondiale è una crisi dell’idea di persona umana” e, secondo lei, la risposta è “la rivitalizzazione dell’umanesimo cristiano”. È giusto dire che troppi leader cattolici, anche quelli che desiderano affrontare questa crisi, non comprendono abbastanza a fondo la natura profonda di questa crisi? E come affrontarla praticamente? In che modo il prossimo Papa dovrebbe cercare di rivitalizzare l’umanesimo cristiano?

Weigel:
Negli Stati Uniti è impossibile negare la natura della crisi, grazie alla recente sentenza Bostock della Corte Suprema. Bostock ha detto, in poche parole, che l’idea biblica di persona umana è contraria alla legge statunitense sui diritti civili. Secondo la legge sui diritti civili, così come interpretata dalla maggioranza nella sentenza Bostock, siamo tutti semplici pacchetti di desideri moralmente equivalenti, la cui soddisfazione è lo scopo della legge sui diritti civili; e qualsiasi sfida a questa visione della persona umana è per definizione un atto di discriminazione o di bigottismo. Ecco come sono andate le cose.
Qual è la risposta? Sono essenziali strategie legali che consentano una buona difesa fino a quando il panorama giuridico non cambierà e sarà riportato alla realtà. A lungo termine, però, l’unica risposta a questo degrado della persona umana è l’elevazione di una visione più nobile di chi siamo noi esseri umani. I cristiani credono che la verità su chi siamo e su quale sia il nostro nobile destino sia stata definitivamente mostrata in Gesù Cristo, che rivela sia il volto del Padre delle misericordie sia la verità su di noi. Gesù non è un avatar della decenza umana o della “spiritualità”. È ciò che ha detto di essere: “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Pertanto, un rinnovamento radicalmente cristocentrico dell’evangelizzazione è imperativo sia per il bene della Chiesa sia per il bene della società.
Come può il prossimo Papa sostenere quello che dovrà essere un massiccio sforzo di conversione e rinnovamento culturale da parte di tutta la Chiesa? Può farlo essendo completamente, persino implacabilmente, cristocentrico nella sua predicazione e nel suo insegnamento. E in questo può prendere spunto da Giovanni Paolo II. Quando si pensa alla grande omelia inaugurale di Giovanni Paolo il 22 ottobre 1978, si ricorda la frase “Non abbiate paura!”. L’omelia iniziava, però, con la confessione di fede cristologica di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16,16).
Giovanni Paolo II poteva vivere al di là della paura e poteva sfidare in modo persuasivo gli altri a fare lo stesso, grazie alla sua fede radicale e cristocentrica. È un modello potente per il papato del futuro, in questi tempi apostolici.
[…]





martedì 29 aprile 2025

"Chieti" e non ti sarà dato: Forte nega la comunione in bocca



Nell'arcidiocesi abruzzese è obbligatorio ricevere l'Eucaristia sulle mani. L'arcivescovo si scaglia contro l'uso tradizionale e ammanta di obbedienza la pretesa di imporre la sua personale visione, forzando le norme e anche la lingua greca.


Diktat
Ecclesia 



È una vera crociata quella di mons. Bruno Forte sulla comunione in mano, che nell’arcidiocesi di Chieti-Vasto continua a restare obbligatoria, malgrado anche la Cei abbia decretato la fine dello stato di emergenza già tre anni fa, nella lettera del 1° aprile 2022, ribadendo il ritorno alla normalità con una nuova lettera dell’8 maggio 2023. Una sua crociata personale, benché ammantata di richiami all’obbedienza alla Chiesa. L’ultima sortita del presule risale al giorno di Pasqua, domenica 20 aprile, quando mons. Forte ha pensato bene di strigliare i fedeli che desiderano ricevere l’Eucaristia sulla lingua, forzando le norme e persino la lingua greca.

«Permettete che chiarisca un punto. Ci sono state tre persone che non hanno voluto la comunione in mano»: un problema dato che ricevere la comunione sulla lingua, secondo l'uso tradizionale, è permesso in tutta la Chiesa tranne a Chieti. Ecco il suo personale chiarimento: «Allora, prima di tutto nel Nuovo Testamento Gesù dice: labete [λάβετε]. Il verbo lambano [λαμβάνω] in greco significa “prendere in mano”. Per secoli sempre la Chiesa ha preso in mano la comunione. Solo in alcuni secoli oscuri, temendo la mancanza di igiene, si è sostituito questo gesto con quello del prenderla in bocca, ma grazie a Dio oggi siamo tutti cresciuti, le mani ce le laviamo, per cui la comunione si prende in mano, col gesto umile di stendere la mano e di accoglierla. Chi non lo fa, fa un atto di orgoglio, si crede più saggio e più esperto del papa e dei vescovi che hanno deciso che la comunione si prende in mano. Per piacere, siate umili e obbedienti alla Chiesa. Almeno nel momento in cui fate la comunione, ricevete Gesù, facendo la sua volontà che è quella espressa nella Chiesa, dal papa e dai vescovi» (qui il video della strigliata pasquale).

Prima di tutto chiariamo a nostra volta che, a cinque anni dal 2020, la preoccupazione dell’arcivescovo non è più legata a protocolli sanitari. E infatti non se ne fa alcun riferimento nella nota più recente dell’arcidiocesi in merito, datata 12 aprile 2024. Casomai la pandemia ha costituito per alcuni settori del mondo cattolico l’occasione per imporre ovunque (anche a emergenza finita) l’obbligo di comunicarsi sulle mani. Al riguardo è eloquente un articolo del maggio 2020 apparso su Religion Digital e riportato in italiano da Adista, intitolato: La comunione in bocca è un’abitudine che (a causa di forza maggiore) potremmo (finalmente) abbandonare. E visto che mons. Forte si appella all’obbedienza, è opportuno ricordare che quell’uso nacque nel post-concilio proprio come “disobbedienza legittimata”: una moda invalsa nella smania di desacralizzare l’Eucaristia e allora criticata da San Paolo VI, che tuttavia lasciò la facoltà di sanare l'abuso alle singole conferenze episcopali (cosa che in Italia avvenne nel 1989). E di fatto si diffuse, finendo per offrire il destro a qualche presule per scoraggiare l’uso tradizionale di ricevere la comunione in bocca, considerato un’usanza medievale poco adatta ai cattolici “adulti”. Ma mai vietata da nessun papa.

La situazione attuale è chiarita dall’istruzione Redemptionis Sacramentum del 2004, per la quale «benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca, se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra ostia». Ricapitolando: il fedele ha «sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca»: esattamente il contrario di quanto afferma mons. Forte. Semmai l’eccezione è costituita dall’altro uso, ammesso («se un comunicando, nelle regioni in cui ecc.») e peraltro con alcune cautele: «Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli» (n. 92).

A volerne sapere più della Chiesa è proprio mons. Forte, che scomoda la lingua greca a suo uso e consumo. Peccato che il significato del verbo greco λαμβάνω sia ambivalente: sia prendere (ma da nessuna parte è scritto “con le mani”) sia ricevere, accogliere. Volendo fare un confronto con la versione latina della Bibbia i relativi passi di Matteo (26,26) e Marco (14,22) sono tradotti rispettivamente con «accipite» (come peraltro nel Messale: «accipite et manducate...») e «sumite»: il primo indica «ricevere», il secondo «prendere» nel senso di assumere (un farmaco, un cibo...). Il verbo è presente anche nel prologo di Giovanni: «ὅσοι δὲ ἔλαβον αὐτόν» (1,12) e «ὅτι ἐκ τοῦ πληρώματος αὐτοῦ ἡμεῖς πάντες ἐλάβομεν» (1,16), che la Bibbia Cei 2008 traduce con: «A quanti però lo hanno accolto» e «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto». Le varie possibili sfumature di significato non autorizzano la lettura di mons. Forte sul prendere in mano. E se anche così fosse conviene ricordare che in quel momento Gesù si stava rivolgendo agli apostoli, ovvero ai primi sacerdoti della storia.

Risibile per non dire dozzinale la spiegazione sui «secoli oscuri» in cui la gente non si lavava le mani. L’istruzione Memoriale Domini del 1969, che pure autorizzava l’indulto per la comunione sulle mani, oltre a raccomandare di conservare il modo tradizionale di ricevere la comunione sulla lingua, ne spiegava diversamente l’origine: «È vero che in antico era abitualmente consentito ai fedeli di ricevere in mano il cibo eucaristico e di portarselo direttamente alla bocca (...). Però le prescrizioni della Chiesa e gli scritti dei padri documentano con ricchezza grande di testi quale venerazione e quale attento rispetto si avesse per la Santa Eucaristia». A introdurre «la consuetudine che fosse il ministro stesso a deporre la particola del pane consacrato sulla lingua dei comunicandi» non fu questione di igiene, come pretende il presule, ma di «progressivo approfondimento della verità del mistero eucaristico, della sua efficacia e della presenza in esso del Cristo, unitamente al senso accentuato di riverenza verso questo Santissimo Sacramento e ai sentimenti di umiltà con cui ci si deve accostare a riceverlo».

Mons. Bruno Forte è costretto forzare il greco e la storia, non potendo più invocare ragioni sanitarie, e ammanta di obbedienza alla Chiesa la pretesa di imporre obbedienza alla sua sola volontà e alla sua personale visione della liturgia. E se le norme della Chiesa lo smentiscono, peggio per loro: “L’Eglise c’est moi!”. Che è poi la peggiore forma di clericalismo.





L'encomio post-mortem della Massoneria al Papa






Di Don Marco Begato, 28 Apr 2025

Papa Francesco era un massone? Era affiliato a qualche loggia? Era un fratello? Uno dei loro?

Ecco alcune domande che da anni rimbalzano nella rete, ma che sono riemerse in questi giorni, quando la Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori (ALAM) ha pubblicato una lettera di cordoglio e di stima per il Pontefice.

È la prova inequivocabile che il Papa ha lavorato per la Massoneria e con la Massoneria? O al contrario, come mi ha personalmente scritto un amico, è il tentativo della Massoneria di tendere un ultimo agguato, meschino, strumentalizzando gesti e testi del Papa defunto fino a farne uno dei loro?

Due cose sono sicure.

La prima è che il Papa ora non potrà in nessun modo rispondere e replicare all’ALAM.

La seconda è che il Papa da vivo non ha mai replicato né preso le distanze da quegli esponenti di area non cattolica, che ne raccoglievano e forse manipolavano interviste o dichiarazioni. Si pensi agli incontri con Eugenio Scalfari, Emma Bonino e Fabio Fazio, per restare in ambito italiano.

Ma c’è altro che possiamo dire con assoluta sicurezza e riguarda il commento che si può fare al testo dell’ALAM, mettendo da parte le interrogazioni circa i rapporti effettivi tra Papa Francesco e la Massoneria.

Il Gran Maestro Luciano Romoli elenca alcuni valori, che a detta sua emergono dal Pontificato appena concluso:

“i valori della fratellanza, dell’umiltà e della ricerca di un umanesimo planetario”,

“una profonda risonanza con i principi della Massoneria: la centralità della persona, il rispetto per la dignità di ogni individuo, la costruzione di una comunità solidale, il perseguimento del bene comune”,

“Libertà, Uguaglianza e Fratellanza è il triplice asset valoriale della Massoneria”,

“Superare le divisioni, le ideologie, il pensiero unico per riconoscere la ricchezza delle differenze e costruire un’umanità unita nella diversità”,

“Una fede capace di interrogarsi, di accogliere il dubbio e di dialogare, che troviamo anche nel metodo iniziatico massonico, fondato su un cammino libero da dogmi, sostanziato dalla ricerca incessante della verità”,

“costruzione massonica del “Tempio interiore”, basata su tolleranza, solidarietà e resistenza contro l’odio e l’ignoranza”,

“una “coscienza planetaria”, che riconosca l’umanità come una comunità di destino”,

Assonanze tra cristianesimo cattolico e massoneria ne possiamo trovare, come se ne possono trovare con approccio comparativo tra cattolicesimo e pressoché ogni altra visione religiosa o filosofica. L’elemento fondamentale da mettere in luce è però un altro: cosa contraddistingue effettivamente la visione cattolica?

La differenza specifica del cattolicesimo sta nel suo essere completamente rivolto a Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, di cui segue e tramanda con interezza l’insegnamento e il comandamento, specialmente l’invito del Risorto di andare nel mondo e insegnare alle genti la verità rivelata e battezzare nel nome della SS. Trinità.

Il dialogo, la tolleranza, la capacità di interrogarsi, la coscienza planetaria e gli altri elementi su elencati possono essere, nel migliore dei casi, funzionali a introdurre l’insegnamento e ad avvicinare al battesimo. In tal senso possono essere accolti. Nella misura in cui invece lo scopo di evangelizzazione si trova da essi impedito, quegli elementi decadono e perdono interesse.

Abbiamo esempio di questo nella condotta stessa del Salvatore. Il Signore Gesù per tre anni ha incontrato persone e dialogato con esse, senza evitare contesti dottrinalmente o moralmente ambigui. Ricordiamo per esempio i dialoghi notturni con Nicodemo (Gv 3), quello scandaloso con la Samaritana (Gv 4), nonché gli svariati momenti di confronto con sconosciuti o discepoli. Ma in certi momenti il Signore non ha dialogato, e generalmente ciò avveniva quando gli interlocutori volevano solo metterlo alla prova e quando non erano disposti ad accogliere la verità: nell’episodio dell’adultera Gesù si china silenzioso a scrivere sulla sabbia (Gv 8); evade le domande dei farisei tendenziosi (Lc 20); ai discepoli increduli dice “volete andarvene anche voi?” (Gv 6); davanti a Erode e a Pilato tace (Mc 15). E ordinariamente ricorre a parabole affinché gli uditori “ascoltando non comprendano” (Mc 4).

In definitiva la lezione di Gesù in termini di accoglienza e dialogo dimostra che questi aspetti non sono assoluti, né prioritari. Essi sono finalizzati all’annuncio della verità e all’instaurazione del nuovo Regno spirituale, quel Regno che ha soppiantato il culto del Tempio di Gerusalemme (Gv 4) e ci ha messo di divenire Tempio dello Spirito Santo (1Cor 6), che è l’opposto del massonico “Tempio interiore” (Eb 7).

Qual è dunque l’unica sicurezza che possiamo trarre dalle parole del Gran Maestro Luciano Romoli?

Possiamo dire con certezza che il Papa ha voluto allinearsi ai valori massonici? Non possiamo.

Possiamo dire che il Papa abbia appiattito l’insegnamento cattolico al livello della visione massonica? Non poteva farlo, il Papa è custode e non proprietario del depositum fidei.

Possiamo negare che il Papa volesse cercare effettivamente un dialogo con la Massoneria e il Mondo, al fine di preparare un terreno a una più efficace evangelizzazione? Non possiamo negarlo.

Possiamo dire, accogliendo la precedente, che tale progetto sia riuscito? Per rispondere bisognerà rilevare quanti uomini abbiano maturato o matureranno autentiche conversioni cristiane cattoliche a partire dalla strategia di Papa Francesco.

Cosa possiamo dire con assoluta certezza? Che per i cattolici la strategia di dialogo, tanto cara al Romoli, è per sua natura temporanea e strumentale; quindi essa è destinata a passare; potrebbe forse estendersi ancora per brevi periodi, ma non potrà mai rappresentare il CREDO della Chiesa Cattolica, né la sua identità, né la sua missione. La congiuntura tra Cattolicesimo e Massoneria è per definizione accidentale e transeunte.

Cosa ci auguriamo con passione? Che il dialogo tra Papa Francesco e la Massoneria, di cui si è intravista una assonanza, porti alla conversione autentica di molti fratelli dell’ALAM e degli altri riti nel mondo.

Di cosa non ci dimenticheremo? Delle condanne autorevoli espresse dalla Chiesa contro la Massoneria (da Clemente XII 1738, al CJC 1917, al card. Ratzinger 1983).

Chi non tradiremo? Il Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.

Di cosa non avremo timore? Del fatto che durante la storia qualche Pontefice possa eventualmente rinnegare nostro Signore; quand’anche dovesse accadere, il Signore stesso risanerà il suo Vicario con uno sguardo (“il Signore guardò Pietro” Lc 22), una domanda (“mi ami tu?”, Gv 21) e con una promessa (“un altro ti porterà dove tu non vuoi”, Idem).

don Marco Begato

(Foto: Pixabay)



lunedì 28 aprile 2025

Cardinal Müller: “Il nuovo Papa deve essere ortodosso e unire la Chiesa”




lunedì 28 aprile 2025

Cardinale Müller “Chiesa rischia scisma con un altro Papa Francesco”


Un'analisi sul prossimo Conclave.



Silvana Palazzo, Il Sussidiario, 25-04-2025

L’ombra di un ipotetico scisma si allunga su San Pietro nelle ore in cui il mondo cattolico si appresta a dare l’ultimo saluto a Papa Francesco prima di avere una nuova guida. Ma è proprio su quest’ultimo aspetto che emergono timori e preoccupazioni, come quelle del cardinale Gerhard Müller, esponente di spicco dell’ala conservatrice, le cui parole evidenziano le tensioni tra le correnti conservatrici e progressiste nella Chiesa cattolica, soprattutto in vista del prossimo Conclave per l’elezione del nuovo pontefice.
Per il tedesco la Chiesa cattolica rischia uno scisma se sceglie un altro leader liberale come Papa Francesco, di cui non condivide alcune riforme e aperture, come la benedizione delle coppie omosessuali e la comunione per i divorziati risposati, ritenendole in contrasto con la dottrina tradizionale della Chiesa. Ma muove critiche anche in merito all’apertura al dialogo interreligioso e l’accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi.

Ne parla in due interviste, una al Times e l’altra a Repubblica, in cui sottolinea l’importanza di eleggere un papa che rispetti le Scritture e la Tradizione, evitando di trattare l’elezione papale come un gioco politico.​ L’auspicio di Müller è che le discussioni pre-conclave possano orientare la Chiesa verso l’unità dottrinale, ma teme l’influenza dei media sulla leadership della Chiesa. Pur riconoscendo Papa Francesco come una persona buona, Müller sottolinea l’importanza di resistere all’eresia e invita lo Spirito Santo a guidare i cardinali nella scelta di un papa che unifichi la Chiesa.​


“LA DOTTRINA DEL MATRIMONIO NON VA RELATIVIZZATA”


Quando gli viene chiesto se intende promuovere il suo marchio di cattolicesimo dottrinale in questi incontri, che inizieranno seriamente dopo il funerale di Francesco sabato, Müller risponde che sente di doverlo fare, perché l’alternativa è una Chiesa che rischia di dividersi in due se non viene eletto un Papa “ortodosso”. Per il cardinale tedesco, “il cattolicesimo non consiste nell’obbedire ciecamente al Papa senza rispettare le sacre Scritture, la Tradizione e la dottrina della Chiesa”.

In merito alle sue divergenze con Francesco, il tedesco parte dalla decisione del 2023 di consentire la benedizione delle coppie dello stesso sesso, ribaltando un divieto precedente. Müller a tal proposito ricorda che “Dio ha istituito il matrimonio tra un uomo e una donna e noi non possiamo cambiarlo”. Quindi, sollecita il prossimo Papa a chiarire la questione, perché “non si deve relativizzare la dottrina cattolica del matrimonio”.


IL DIALOGO INTERRELIGIOSO E L’ACCORDO CON LA CINA


Ma contesta anche il discorso sulla “fratellanza” tra cattolici e musulmani, sostenendo che “i cattolici sono fratelli e sorelle in Cristo”. Pur favorevole al dialogo, invita a evitare il relativismo e invita a porsi una domanda, a chiedersi “come è possibile che uno che crede in Dio, creatore di tutti gli uomini, possa uccidere nel nome di Dio”. Lo storico accordo con la Cina impone poi una riflessione: sì ai compromessi con i dittatori, ma senza tradire i principi della fede. “Non possiamo accettare che i comunisti atei, nemici dell’umanità, scrivano i nostri libri del catechismo o portino nelle chiese l’immagine di Xi Jinping. Non possiamo accettare che i comunisti nominino i vescovi”.


“NUOVO PAPA DEVE ESSERE ORTODOSSO E UNIRE LA CHIESA”


Per quanto riguarda invece l’attenzione a migranti e ambiente, il prossimo pontefice, secondo il cardinale 77enne, non dovrebbe “cercare l’applauso del mondo secolare che vede la Chiesa come un’organizzazione umanitaria che fa lavoro sociale”. Il rischio è che i cardinali elettori, condizionati anche dai mass media, decidano di continuare sulla linea di Bergoglio.

Invece, “hanno la responsabilità di eleggere un uomo che sia in grado di unificare la Chiesa nella verità rivelata”, di nominare un Papa che “deve essere ortodosso, non liberale o conservatore”, perché il tema non è scegliere tra conservatori e liberali, “ma tra ortodossia ed eresia”. Müller rivela anche di pregare “che lo Spirito Santo illumini i cardinali, perché un Papa eretico che cambia ogni giorno a seconda di ciò che dicono i mass media sarebbe catastrofico”.


“LE AMBIGUITÀ DI PAPA FRANCESCO”


Müller ricorda che il nuovo Papa non deve essere “successore del suo predecessore ma un successore di Pietro”. Pur consapevole che l’ultimo giudizio spetti a Dio, ha le sue opinioni sul pontificato, che sono negative per alcuni aspetti. Infatti, accusa Bergoglio di ambiguità in alcuni frangenti, come quando ha parlato di resurrezione con Eugenio Scalfari, mentre Ratzinger era stato perfettamente chiaro dal punto di vista teologico.

Probabilmente ciò, secondo il cardinale tedesco, è dovuto al fatto che Bergoglio era più improntato sulla dimensione sociale. Una dimensione che lo ha spinto a nominare una donna in un dicastero vaticano, ma il punto per Müller è che sia stato chiamato un laico alla guida di una congregazione. Infine, riguardo alle sue posizioni, ribadisce che la Chiesa non è “una organizzazione internazionale umanitaria e sociale”.


Foto: Card. Gerhard Ludwig Muller al Concistoro in Vaticano nel 2014 (ANSA, Fabio Frustaci)





domenica 27 aprile 2025

Novena per il Sacro Collegio dei Cardinali riunito per il Conclave per eleggere il Romano Pontefice






Il cardinale Raymond Leo Burke ha composto una preghiera da recitare dopo la sepoltura di Papa Francesco e per i nove giorni che precedono il Conclave Papale.La novena inizia il 26 aprile e termina il 5 maggio 2025

27 aprile 2025




Novena per il Sacro Collegio dei Cardinali riunito per il Conclave per eleggere il Romano Pontefice


Mi inginocchio davanti a te, o Vergine Madre di Dio, Nostra Signora di Guadalupe, madre compassionevole di tutti coloro che ti amano, gridano a te, ti cercano e confidano in te.

Prego per la Chiesa in un momento di grande prova e pericolo per lei. Come sei venuta in soccorso della Chiesa a Tepeyac nel 1531, ti preghiamo di intercedere per il Sacro Collegio dei Cardinali riunito a Roma per eleggere il Successore di San Pietro, Vicario di Cristo, Pastore della Chiesa Universale.

In questo momento tumultuoso per la Chiesa e per il mondo, intercedi presso il tuo Divin Figlio affinché i Cardinali di Santa Romana Chiesa, Suo Corpo Mistico, obbediscano umilmente ai suggerimenti dello Spirito Santo. 

Per tua intercessione, possano scegliere l'uomo più degno per essere Vicario di Cristo sulla terra. Con te, ripongo tutta la mia fiducia in Colui che solo è il nostro aiuto e la nostra salvezza. 

Amen.

Cuore di Gesù, salvezza di coloro che confidano in Te, abbi pietà di noi!






Nostra Signora di Guadalupe, Vergine Madre di Dio e Madre della Divina Grazia, prega per noi!

sabato 26 aprile 2025

Mons. Bux: «Tanta confusione dottrinale e il testo del “Padre nostro” non doveva essere cambiato»


Mons. Nicola Bux (teologo) e Martina Pastorelli (giornalista)


Di seguito l’intervista rilasciata da Mons. Nicola Bux, teologo, alla giornalista Martina Pastorelli. L’intervista è stata pubblicata sul quotidiano La Verità il 24.04.2025.

Tratto da Redazione Blog di Sabino Paciolla 26 Aprile 2025



Teologo, liturgista e stretto collaboratore di Benedetto XVI, don Nicola Bux si è sempre espresso con parresia su Papa Francesco e in nome di quella franchezza tanto apprezzata dal Santo Padre in quanto qualità dei primi cristiani, si è spesso mostrato perplesso dinanzi a certe sue scelte.

Con lui ci soffermiamo su alcuni aspetti del pontificato di Jorge Mario Bergoglio.

Il filo conduttore del pensiero di Francesco è stata la misericordia di Dio, presente anche nel motto papale: quale influenza ha avuto questo elemento sulla sua teologia?

Papa Francesco insisteva nel chiedere ai confessori di dare ai penitenti l’assoluzione, dicendo solo una parte di verità: che bisogna perdonare sempre, ma dimenticando l’altra: che bisogna pentirsi. La misericordia divina non sembra egli la intendesse quale compimento della giustizia secondo la misura superiore dell’amore e del perdono, ma come una disposizione a prescindere. In verità, la misericordia presuppone da parte di Dio la sua giustizia e la sua carità; da parte dell’uomo la volontà di essere riconciliati con Lui. La misericordia, perciò, non potrà mai essere automatica.


Prendiamo uno dei suoi testi più noti e più criticati poiché in certi casi ammetteva alla comunione i divorziati risposati: l’esortazione Amoris Laetitia. Quale cambiamento ha significato per la dottrina cattolica sui sacramenti?

L’Esortazione è stata interpretata come se sostenesse che i divorziati risposati possano ricevere la Comunione senza cercare di vivere «come fratello e sorella». Tale interpretazione, avallata da papa Francesco, contraddice l’insegnamento perenne della Chiesa, riaffermato da san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e introduce nella Chiesa uno stato di vita inedito. Questo stato di vita è un vero e proprio concubinato tollerato. Non solo: il modo in cui Amoris Laetitia lo ha approvato, è stato potenzialmente ancora più dannoso. Amoris Laetitia è sembrata affermare che non sia sempre possibile, o addirittura consigliabile, seguire la legge morale.

Sarebbe preferibile pensare che il Papa fosse stato solo “negligente” nel linguaggio usato, piuttosto che abbia insegnato positivamente degli errori. Ma questo parrebbe dubbio, visto che la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva suggerito delle correzioni ad Amoris Laetitia ed è stata ignorata. Siamo in una situazione estremamente grave: prima o poi sarà necessario un chiarimento.


Su temi caldi come le benedizioni di coppie dello stesso sesso, il pontificato di Francesco ha segnato una rottura con la dottrina cattolica?


E’ notissima la sua risposta a una domanda sulla condizione omosessuale: “se una persona cerca Dio, chi sono io per giudicare?” “Giudicare”, nel vangelo di Giovanni, sta anche per “condannare”, atto che può fare solo il Signore. Ciò premesso: che vuol dire cercare Dio? Vuol dire mettersi sulla strada della conversione. A motivo del suo pensiero incompleto, ha provocato confusione sulla dottrina cattolica. Se si aggiunge che, in merito, l’ignoranza e la superficialità albergano tra i pastori e i fedeli, si possono immaginare le conseguenze.


Veniamo a Fiducia Suplicans, il documento del Dicastero per la Dottrina della Fede che ha aperto alla benedizione di coppie omosessuali e coppie irregolari: quale era il significato che il Papa intendeva promuovere nell’ammettere questa possibilità?

C’è chi considera tale Dichiarazione e i tentativi di giustificarla un insulto all’intelligenza; poi, chi conosce la dottrina della fede e della morale, in specie la normatività della Rivelazione, si pone il primo dei Dubbi pubblicati nel 2023 da cinque Cardinali: è possibile che la Chiesa insegni oggi dottrine contrarie a quelle che in precedenza ha insegnato in materia di fede e di morale, sia da parte del Papa ex cathedra, sia nelle definizioni di un Concilio ecumenico, sia nel magistero ordinario universale dei vescovi sparsi nel mondo?

Chi usa la logica è contrario e si pone il secondo Dubbio dei Cardinali: è possibile che in alcune circostanze un pastore possa benedire unioni tra persone omosessuali, lasciando così intendere che il comportamento omosessuale in quanto tale non sarebbe contrario alla legge di Dio e al cammino della persona verso Dio? Legato a questo Dubbio c’è un altro: continua ad essere valido l’insegnamento sostenuto dal magistero ordinario universale, secondo cui ogni atto sessuale fuori del matrimonio, e in particolare gli atti omosessuali, costituisce un peccato oggettivamente grave contro la legge di Dio, indipendentemente dalle circostanze in cui si realizzi e dall’intenzione con cui si compia? Dunque, il comunicato stampa vaticano finalizzato a chiarire la Dichiarazione, è la classica toppa peggiore del buco.


In materia di morale naturale però papa Francesco è sempre stato molto chiaro e financo duro: aborto ed eutanasia non sono ammissibili. La continuità, dunque, è stata mantenuta sugli assoluti morali?


Benedetto XVI, negli Appunti dell’aprile 2019, ha descritto l’origine della débàcle della morale cattolica, e quindi anche delle divisioni tra i cattolici: scaturisce dall’opinione che la convivenza, sia di una coppia etero sia di quella omosessuale, non siano peccaminose. Lo scisma, prima sommerso, ora è emerso: se sarà dichiarato formalmente in occasione di un prossimo evento ecclesiale, lo vedremo. Certo, il prossimo papa dovrà fare i conti, se approfondire la divisione o ricucirla convocando un concilio. A chiunque sia candidato a papa, si dovrà chiedere nelle Congregazioni pre-conclave di rispondere ai Dubbi susseguiti dal 2015 in poi, pena l’aggravamento della divisione della Chiesa.


Secondo alcuni le encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti divergono dall’insegnamento della dottrina sociale cattolica. Quale è la sua opinione?

Da più parti, è stato osservato che nella Fratelli tutti la dimensione soprannaturale è totalmente assente; che non v’è alcun riferimento alla necessità dell’appartenenza alla Chiesa per conseguire la salvezza eterna, anzi, la funzione della Chiesa viene attribuita all’Onu; inoltre, la condizione incompiuta dell’umanità non è ritenuta conseguenza del peccato originale, da cui vengono guerre e morte; manca la redenzione, la vocazione alla santità, l’azione della grazia e soprattutto il mistero pasquale del Signore; sembra che la fratellanza si realizzi per il solo fatto di appartenere all’umanità. In sostanza, è una rivoluzione della teologia morale cattolica con l’omissione della questione di fondo: perché Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo? Parlare di nuovo umanesimo o di fratellanza umana, senza Gesù Cristo, è tanto più grave, perché questo allontanamento proviene soprattutto dai pastori, non dai laici.


La Laudato Sii è stata usata dal pensiero progressista come un manifesto ecologista: come intendeva l’ecologia integrale Francesco?

L’ambientalismo, esaltato da papa Francesco addirittura con una Enciclica, non è “cura del Creato”, ma neomalthusianesimo camuffato, come ha affermato Ettore Gotti Tedeschi. Detta ideologia spiega che l’ambiente si deve proteggere dagli eccessivi consumi, necessari a sfamare troppe bocche, frutto di eccessiva natalità. Il Papa è giunto a implicare la conversione, affermando che essa ha vari livelli: spirituale, pastorale, culturale, e persino ecologico, che non possono essere disgiunti. In verità, la conversione dell’uomo a Dio ha un solo scopo: credere al Vangelo di Gesù Cristo. L’ambientalismo non ha solo creato tutti i dissesti socioeconomici che stiamo sopportando, ma è origine di conflitti che aggravano le condizioni dei popoli.


Durante il pontificato di Francesco, e con la sua approvazione, è entrata in uso la nuova versione del Padre Nostro: quale il significato della preferenza data dal Papa all’espressione “non abbandonarci alla tentazione” piuttosto che “non indurci in tentazione”?

Il rapporto tra bontà divina, tentazione diabolica e permissione al male, da sempre rende la frase “et ne nos inducas in tentationem” difficile da spiegare, perché sembra suggerire che Dio sia quasi il responsabile delle nostre tentazioni. In italiano il verbo indurre significa spingere, ma anche condurre in un luogo. Ma la parola tentazione vuol dire anche prova. Sarebbe stato meglio modificare il sostantivo tentatio. S.Tommaso d’Aquino dice: “Cristo ci insegna a chiedere non di non essere tentati, ma di non essere indotti nella tentazione”. E si chiede: “Ma forse Dio induce al male dal momento che ci fa dire: “non ci indurre in tentazione”? Rispondo che si dice che Dio induce al male nel senso che lo permette, in quanto a causa dei suoi molti peccati precedenti, sottrae all’uomo la sua grazia, tolta la quale egli scivola nel peccato. Dunque, il testo del Pater noster si doveva lasciare com’era, quale segno della trascendenza di Dio, senza confondere i tre livelli: traduzione, interpretazione, catechesi. La nuova traduzione italiana si è appiattita al livello ultimo, la catechesi. Dio appare non più come colui che induce alla tentazione, ma che può abbandonarci ad essa.






venerdì 25 aprile 2025




Considerazioni sul momento attuale della Chiesa; si possono condividere o no, ma sono sicuramente stimolanti.



Di Boni Castellane,

La generazione dei nostalgici del Concilio ha sempre meno presa sui giovani, i quali cercano il trascendente e la spiritualità. Per la Chiesa è possibile una nuova alba.

La sede di Pietro diventa improvvisamente vacante e ciò mette in evidenza come nella generazione dei figli del Vaticano secondo sia la forza vecchia, conservatrice, sino a ieri al potere, mentre i giovani preti, i giovani vescovi e, soprattutto i giovani cattolici rappresentino un momento ideale che chiede il ritorno delle risposte, del senso e dello spirituale. E non si sta parlando soltanto del vivo e fiorente movimento tradizionalista presente in tutto il mondo, il quale, secondo i dati del Pew Research Center può essere attualmente stimato in almeno venti milioni di praticanti, uniti dalla Messa in rito antico che resiste e si espande malgrado l’ostilità che alcuni settori della Cuia le hanno riservato. Si sta parlando più in generale di un avvicinamento al cattolicesimo inteso come modalità autentica per vivere il cristianesimo e per rivalutare la dimensione religiosa.

Il woke ha rappresentato, negli ultimi anni, un colpo mortale alle varie confessioni protestanti, così vulnerabili per loro stessa natura alla deformazione localistica del messaggio cristiano, il quale, sulla base dello schema modernista, può cadere spesso nella trappola dell’adattamento del cuore del messaggio cristiano, il cosiddetto Kerigma, a quanto la società impone come buono in sé e per sé in quel momento. E non è certo un caso se all’indomani della sentenza della Corte britannica che stabilisce che una donna è una donna biologica e non un uomo che dice di essere una donna, sul banco degli imputati ci sia il cosiddetto movimento “no question”, cioè l’impostazione ideologica secondo la qual una donna potrebbe essere chiunque si definisca tale “senza ulteriori questioni”. Non possiamo dimenticare che ciò che sta risultando tossico, ciò da cui ormai in molti a sinistra stanno prendendo le distanze, ciò che ha giustamente provocato la red wave della vittoria di Trump, se declinato in ambito religioso risulta fatale. Molto semplicemente i pastori queer che predicano un ”Gesù queer” non solo distorcono l’annuncio cristiano a immagine dei loro desideri, ma delineano un mondo ideologico che cancelli l’ultimo residuo di trascendenza e spiritualità.

Anche la riduzione della Chiesa cattolica al concetto di ONG, rischio che prima Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI denunciarono in più occasioni, e l’impostazione bergogliana della netta prevalenza della pastorale sulla teologia e sull’escatologia, hanno visto proseguire l’inesorabile perdita di di credenti degli ultimi sessant’anni, tuttavia la Chiesa cattolica, se confrontata alla imbarazzanti derive del mondo protestante, è riuscita, per secolare inerzia, per la testimonianza di un piccolo resto di credenti tradizionali e per promessa evangelica, a preservare un nucleo di rapporto col trascendente.

Ed è proprio questo rapporto che un essere umano cerca nella religione, anche perché se si risolve il significato della vita lavorando in una ONG non si vede perché si debba perdere tempo con la morale cristiana. Se alcune realtà protestanti americane in nome dell’inclusività sono arrivate ad accettare il satanismo come "espressione religiosa”, nella vecchia Europa, senza arrivare a tanto, da più parti si è teorizzata la piena equivalenza salvifica tra cristianesimo e qualsiasi altra religione, ma, sempre in nome della inclusività, si è giunti a teorizzare la correttezza del proselitismo da parte di ogni confessione esclusa quella cristiana, in quanto gravata dalla colpa del suprematismo bianco patriarcale sviluppato nei secoli passati.

Eppure, malgrado tutto ciò, qualcosa sta cambiando; in Francia, dei 18.000 battezzati nel giorno di Pasqua, la cifra più alta degli ultimi vent’anni, il 42 % sono giovani dai 18 ai 25 anni, a riprova di una ripresa di interesse proprio nella generazione ormai stanca del nihilismo; e non deve sorprendere nemmeno l’inchiesta del Telegraph che ha mostrato come la “rinascita cattolica” in Gran Bretagna porterà in poco tempo al ritorno del cristianesimo come prima confessione nazionale, superando la chiesa d’Inghilterra, dopo cinquecento anni, e tutto grazie alle giovani generazioni “alla ricerca di chiarezza e di risposte”.

E mentre il cattolicesimo negli Stati Uniti si conferma prima religione, vede nel Vice Presidente Vance un fiero convertito, e si impone come forza trainante di tutta la Chiesa, da un’inchiesta del N.Y. Post si apprende che in Texas il numero di adesioni al cattolicesimo è cresciuto negli ultimi due anni del 72%, principalmente per l’attrattiva spirituale esercitata dalla Messa sui giovani, in particolare dopo la pandemia, quando l'aridità di una vita tutta totalmente basata sulle norme sanitarie ha reso evidente la sua insufficienza esistenziale. O la religione salva, apre al trascendente, nutre la spiritualità e conferisce significato ai simboli e ai riti, oppure è un modo umano per convincersi che le proprie idee sul mondo sono quelle giuste. La morte di Jorge Bergoglio pone anche la Chiesa di fronte alla necessità di uscire dal Novecento e di assecondare i segni di una rinascita.




 da La Verità del 22 Aprile 2025



Tornare al vero significato della Misericordia di Dio


 

Dio vuole sempre perdonare, è l’uomo che a volte resiste e lo rifiuta. Per questo non esiste un presunto dovere di assolvere sempre. Così il prossimo Papa dovrà correggere certe ambiguità ed errori.


APPUNTI PER I CARDINALI / 2



Luisella Scrosati, 25-04-2025

In vista del prossimo Conclave pubblichiamo una serie di articoli di approfondimento ispirati al documento firmato da Demos II https://lanuovabq.it/it/lidentikit-del-prossimo-papa-gli-appunti-di-un-cardinale (un cardinale in anonimato) che fissava le priorità del prossimo Conclave per riparare alla confusione e alla crisi create dal pontificato di Francesco.

La misericordia di Dio è il respiro dell’anima; senza di essa nessuno si salva, né può sperare la salvezza. «Misericordias Domini in æternum cantabo» (Sal 88, 2): la vita eterna sarà un inno perpetuo alla misericordia di Dio, che non ci ha lasciati schiavi del peccato, ma ci ha perdonati e rinnovati con il Sangue del Figlio di Dio versato e corroborati con il Corpo del Signore offerto.

Come insegnava San Giovanni Paolo II, il mistero della Redenzione è il mistero della giustizia che nasce da e porta alla misericordia: «Nella passione e morte di Cristo - nel fatto che il Padre non risparmiò il suo Figlio, ma “lo trattò da peccato in nostro favore” - si esprime la giustizia assoluta, perché Cristo subisce la passione e la croce a causa dei peccati dell'umanità. Ciò è addirittura una “sovrabbondanza” della giustizia, perché i peccati dell'uomo vengono “compensati” dal sacrificio dell'Uomo-Dio. Tuttavia, tale giustizia, che è propriamente giustizia “su misura” di Dio, nasce tutta dall'amore: dall'amore del Padre e del Figlio, e fruttifica tutta nell'amore» (Dives in misericordia, 7). La falsa contrapposizione tra misericordia e giustizia viene sciolta in quella giustizia divina che «nasce dall'amore e nell'amore si compie» e rimette l’uomo in quella «pienezza di vita e di santità che proviene da Dio» (Ibidem) e cauterizza «la radice stessa del male nella storia dell'uomo» (Ibidem, 8).

Troviamo così sia una mutua relazione tra misericordia e giustizia, che una totale opposizione tra la misericordia e il male, così che l’opera della misericordia divina non consiste nello scusare le colpe dell’uomo, ma nel rigenerarlo alla vita della grazia. Tutta la vita e l’azione della Chiesa è annuncio e realizzazione di questa misericordiosa giustizia divina, o, se si preferisce, di giusta misericordia. La passione e morte di Cristo annunciano la volontà salvifica universale di Dio (cf. 1Tm 2, 4): nessuno, per quanto grande possa essere il proprio peccato, è escluso dall’offerta di questo perdono e di questa rigenerazione. Si comprende dunque come la misericordia non distrugga la giustizia, ma la ripristini e la perfezioni; così come non si limiti a dichiarare giusto il peccatore che la accoglie, ma lo renda veramente tale.

Nell’insegnamento costante della Chiesa è sempre stato chiaro che questa straordinaria verità è offerta all’uomo, secondo la natura propria di quest’ultimo, ossia nel pieno rispetto della sua libertà. E la ragione di ciò è molto semplice: la salvezza dell’uomo altro non è che «quell'amore di Dio […] riversato nei nostri cuori» (Rm 5, 5), che ci rende capaci di riamare. E non è possibile riamare senza libertà. L’uomo non ha altro fine che amare Dio con tutto se stesso e la salvezza sta proprio in questa recuperata capacità di amare, sotto l’influsso della grazia divina e il concerto delle virtù teologali e cardinali e dei doni dello Spirito Santo. La grazia che muove, sostiene, purifica, rialza è pur sempre grazia offerta all’uomo, il quale è chiamato a corrispondere a queste mozioni interiori con la sua adesione: com’è noto, la grazia non toglie la natura, ma la purifica e la perfezione.

In questo pontificato abbiamo assistito ripetutamente ad esternazioni verbali e ad espressioni scritte talvolta ambigue e talvolta decisamente erronee, che hanno creato confusione tra i fedeli, portando a pensare che la salvezza sia opera unilaterale di Dio e provocando un pericoloso avvicinamento alla comprensione luterana della salvezza nel duplice assunto del sola fide e sola gratia. Diventa quanto mai necessario ribadire il principio brillantemente sintetizzato da Sant’Agostino: «Senza la tua volontà, in te non ci sarà la giustizia di Dio. Indubbiamente la volontà non è che la tua, la giustizia è solo di Dio. Senza la tua volontà, la giustizia di Dio può esserci, ma in te non può esserci se sei contrario […]. Perciò chi ti ha formato senza di te, non ti renderà giusto senza di te» (Discorsi, 169, 11. 13).

Dio vuole sempre perdonare, ma non sempre il suo perdono raggiunge gli uomini, a causa della loro resistenza al pentimento. Il pentimento è suscitato dalla grazia, ma nel contempo è atto dell’uomo che respinge da sé il peccato, riconoscendo la colpa e rivolgendosi alla misericordia di Dio. Esso porta con sé inscindibilmente la volontà di non peccare più; senza questa volontà, il peccato continua ad aderire al cuore dell’uomo. È pertanto un controsenso ritenere che il perdono divino possa entrare “forzatamente” nel cuore di un uomo che tiene chiuso questo cuore alla misericordia con l’attaccamento al peccato; sarebbe come dire che la misericordia divina costringa l’uomo al libero atto dell’amore.

Per questa ragione, particolare preoccupazione hanno destato le ambiguità relative al presunto dovere da parte del confessore di assolvere sempre, come anche della possibilità di ammissione all’Eucaristia da parte di persone che continuano a vivere more uxorio, secondo l’interpretazione che all’esortazione post-sinodale Amoris Lætitia è stata data dalla Lettera dei Vescovi della regione di Buenos Aires del 5 settembre 2016, interpretazione che papa Francesco ha appoggiato nella lettera dello stesso giorno indirizzata a Mons. Sergío Alfredo Fenoy.

Si tratta di posizioni che maturano sul presupposto errato del perdono come atto unilaterale di Dio, a prescindere dalla risposta dell’uomo, e che rivelano, nel contempo, anche un’inconsistente e lacunosa concezione della Chiesa. Si è fatto leva sulla riduzione della responsabilità delle persone, sulla possibile mancanza di piena avvertenza e deliberato consenso, che diminuirebbero o persino eliminerebbero la responsabilità della persona in un atto peccaminoso. Da questa diminuzione della responsabilità deriverebbe la possibilità, in certi casi, di assolvere e di conseguenza ammettere alla Comunione eucaristica, persone che continuano a vivere in situazione oggettiva di peccato.

Percorrere questa strada significa stravolgere il senso della realtà della Chiesa e dell’assoluzione sacramentale. Anzitutto perché la Chiesa si pronuncia su ciò che è manifesto, in quanto contraddice la legge di Dio e la disciplina della Chiesa. E questo perché il cristiano appartiene alla Chiesa visibile, con la quale è chiamato a riconciliarsi. La confessione sacramentale non è infatti primariamente il “luogo” nel quale si gioca il rapporto tra la coscienza personale e Dio; il sacramento della penitenza è invece il foro ove il penitente si accosta a Dio mediante la Chiesa e come membro della Chiesa. Il foro sacramentale non coincide con il foro della coscienza; ed è per tale ragione che la Chiesa lascia quest’ultimo al giudizio infallibile di Dio – foro nel quale rientra anche la questione del grado di consapevolezza dell’uomo nel compiere un atto moralmente riprovevole –, mentre riserva a sé il giudizio su ciò che è manifesto.

Se dunque non viene manifestata dal penitente la sincera volontà di distaccarsi da una condotta peccaminosa, il confessore ha il dovere di differire l’assoluzione sacramentale, senza che questo comporti un giudizio sul grado di consapevolezza della persona. Così come la Chiesa ha il dovere di negare i sacramenti a quanti vivono in situazione di peccato pubblico manifesto, precisamente perché evidenzia una oggettiva incompatibilità tra la condotta pubblica della persona e i comandamenti di Dio e della Chiesa. Uscire da questa logica significa necessariamente non comprendere più la realtà della Chiesa come società visibile, finendo tra l’altro nella presunzione di ritenere di poter sapere quale sia la situazione interiore del penitente, “misurandone” la consapevolezza.

Diviene perciò urgente e necessario ribadire questi principi fondamentali e ritornare alla misura del santo Vangelo, che annuncia la misericordia di Dio insieme alla necessità della conversione e della penitenza: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15).





mercoledì 23 aprile 2025

La morte di Papa Francesco (2013-2025). Fine di un’era?





di Roberto de Mattei, 23 Aprile 2025 

Alle 7,35 del 21 aprile 2025, Lunedì dell’Angelo, l’anima di Jorge Mario Bergoglio si è separata dal suo corpo mortale per presentarsi al Giudizio divino. Solo il giorno del Giudizio universale sapremo quale sia stata per papa Francesco la sentenza del supremo Tribunale al quale ognuno di noi dovrà un giorno presentarsi. Preghiamo oggi in suffragio della sua anima, come prega pubblicamente la Chiesa nei suoi novendiali, e, proprio perché la Chiesa è una società pubblica, uniamo alle nostre preghiere un tentativo di giudizio storico sul suo pontificato.

Jorge Mario Bergoglio, 266mo Pontefice romano, primo con il nome di Francesco, è stato per dodici anni il Vicario di Cristo, anche se a questo nome ha preferito quello di vescovo di Roma. Ma il vescovo di Roma diviene tale nel momento in cui, dopo l’elezione, accetta il munus petrino. Accettando il pontificato, il Papa assume anche i titoli, riportati dall’Annuario Pontificio, di Vescovo di Roma, Vicario di Gesù Cristo, Successore del Principe degli Apostoli, Sommo Pontefice della Chiesa Universale, Primate d’Italia, Arcivescovo e Metropolita della Provincia Romana, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, Servo dei Servi di Dio, Patriarca d’Occidente (titolo quest’ultimo ripristinato nel 2024, dopo che era stato rimosso nel 2006 da Benedetto XVI).

Questi titoli meritano speciali onori, specialmente quello di Vicario di Cristo che fa del Papa, non il successore, ma il rappresentante sulla terra di Gesù Cristo, Uomo-Dio, Redentore dell’umanità. Il Papa riceve onori non per la sua persona, ma per la dignità della missione che Cristo ha affidato a Pietro. Così come nei sacramenti cristiani un gesto esprime una grazia invisibile, allo stesso modo gli onori (titoli, vesti, cerimonie) sono segni sensibili di realtà spirituali, anche istituzionali. L’autorità è una realtà spirituale e invisibile, ma perché sia riconosciuta, deve manifestarsi in modo visibile, attraverso gesti e rituali. Senza questi, le istituzioni rischiano di diventare invisibili e la società religiosa, come quella politica, sprofonda nel caos. Il cristianesimo si fonda su questo principio: il Dio invisibile ha preso un volto, un corpo, un nome: «Il Verbo si è fatto carne» (Gv 1,14); «Dio nessuno lo ha mai visto; proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). San Giovanni Evangelista è, tra gli autori del Nuovo Testamento, colui che più intensamente elabora una teologia della visibilità dell’invisibile, nel suo Vangelo, ma soprattutto nel Libro dell’Apocalisse, in cui il simbolo diventa visione profetica, per mostrare l’azione nascosta di Dio nella storia.

Papa Francesco non ha mostrato rispetto per il decoro del Papato, dal primo informale «Fratelli e sorelle buonasera», rivolto dalla loggia di San Pietro il giorno della sua elezione, fino all’apparizione pubblica dello scorso 9 aprile, quando comparve nella Basilica sulla sua sedia a rotelle, indossando una coperta a righe simile a un poncho, senza alcun segno della dignità pontificia. Al simbolismo sacrale papa Bergoglio ha sostituito un simbolismo mediatico, fatto di immagini, parole e incontri, che sono diventati messaggi spesso più forti dei documenti ufficiali: dal «Chi sono io per giudicare?» alla lavanda dei piedi a donne e musulmani, fino alla sua partecipazione, nel 2025, al Festival di Sanremo, attraverso un videomessaggio. Qualcuno dice che, così facendo, papa Francesco ha “umanizzato” il Papato, ma in realtà lo ha banalizzato e mondanizzato. È l’istituzione del Papato, non la persona di Jorge Mario Bergoglio, che è stata avvilita da questi e da altri innumerevoli gesti, che hanno secolarizzato il linguaggio e i segni di cui la Chiesa si è sempre servita per esprimere il mistero divino.

Il primo a spogliare la Chiesa della sua maestà non è stato tuttavia Francesco, ma Paolo VI, al quale si deve la rinuncia alla tiara, che il 13 novembre 1964 depose sull’«altare del Concilio», seguita dall’abolizione della sedia gestatoria, della guardia nobile e della corte pontificia, che non erano orpelli, ma segni dell’onore che spetta alla Chiesa cattolica romana, in quanto istituzione umano-divina, fondata da Gesù Cristo. Sotto questo aspetto il pontificato di Francesco non rappresenta, come alcuni pensano, una “rottura” con i precedenti, ma appare invece come il compimento di una linea pastorale introdotta dal Concilio Vaticano II, di cui, solo parzialmente, Benedetto XVI ha tentato di invertire la rotta.

L’esortazione apostolica Amoris laetitia del 19 marzo 2016 ha creato, certamente, una situazione di disorientamento, per l’apertura verso divorziati risposati e coppie in situazioni “irregolari”; il Documento sulla Fratellanza Umana firmato con il Grande Imam della Moschea di Al-Azhar, il 4 Febbraio 2019, è stato una nuova tappa sulla via del falso ecumenismo; l’incoraggiamento all’immigrazione, la promozione dell’agenda no global, la proclamazione del “sinodalismo”, la discriminazione dei tradizionalisti, la possibilità di benedire le coppie omosessuali e quella concessa ai laici e alle donne di assurgere alla guida di un dicastero, sono tutti eventi che hanno suscitato legittime reazioni nel mondo cattolico. Anche grazie a questa resistenza, il traguardo che i vescovi progressisti si proponevano di ottenere, come l’ordinazione diaconale delle donne, il matrimonio dei preti, l’attribuzione di autorità dottrinale alle conferenze episcopali, non è avvenuto sotto papa Francesco, deludendo i suoi più accesi sostenitori. L’aspetto più rivoluzionario del suo pontificato rimane però la successione di parole e di atti che hanno trasformato la percezione pubblica del Primato di Pietro, mondanizzandolo e indebolendolo.

Ora si chiude un’epoca e ci si chiede quale nuova epoca si aprirà. Il prossimo Papa potrà essere più conservatore o più progressista di Francesco, ma non sarà bergogliano, perché il bergoglianesimo non è stato un progetto ideologico, ma uno stile di governo, pragmatico, autoritario e spesso lasciato all’improvvisazione. Anche per questa mancanza di eredità, le forti tensioni e polarizzazioni che si sono sviluppate sotto il governo di Francesco potrebbero esplodere fin dai giorni del conclave.

Va anche ricordato che Francesco ha indetto un Anno di San Giuseppe nel 2021; ha consacrato la Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria il 25 marzo 2022; ha dedicato al culto del Sacro Cuore la sua quarta enciclica, Dilexit nos, del 24 ottobre 2024: tutti gesti in linea con la spiritualità tradizionale della Chiesa e ben diversi dal culto pagano per la Pachamama a cui, pure, il Papa ha reso omaggio in Vaticano. Le contraddizioni caratterizzano dunque l’era bergogliana. Francesco ha negato, ad esempio, alla Madonna il titolo di corredentrice e l’ha definita “meticcia” del Mistero dell’Incarnazione, ma nel suo testamento ha scritto di aver sempre affidato la sua vita e il suo ministero «alla Madre del Nostro Signore, Maria Santissima». Perciò, ha chiesto che le sue spoglie mortali «riposino aspettando il giorno della risurrezione nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore». «Desidero che il mio ultimo viaggio terreno si concluda proprio in questo antichissimo santuario Mariano dove mi recavo per la preghiera all’inizio e al termine di ogni Viaggio Apostolico ad affidare fiduciosamente le mie intenzioni alla Madre Immacolata e ringraziarLa per la docile e materna cura».

Alla Beata Vergine Maria è ora affidato il suo ultimo viaggio, mentre la Chiesa si trova ad affrontare un momento della sua storia di straordinaria gravità e complessità. Ed è a Lei, Madre del Corpo Mistico di Cristo, che affidiamo oggi tutte le nostre speranze, nella certezza che ai giorni delle sofferenze della Chiesa seguano, quanto prima, quelli della sua Risurrezione e della sua gloria.




martedì 22 aprile 2025

Preghiamo per l’anima di Papa Francesco






Di Stefano Fontana, 22 Apr 2025

Papa Francesco è morto il Lunedì dell’Angelo, 21 aprile 2025, alle ore 7:35.

Alla notizia della sua morte invitiamo tutti gli amici del nostro Osservatorio e quanti a qualsiasi titolo seguono la nostra attività a pregare per la sua anima, che Dio onnipotente e misericordioso lo ammetta a vedere il suo Volto.

Preghiamo per il Pontificato, una istituzione divina così fondamentale per la vita della Chiesa, affinché si possano superare incertezze e difficoltà a questo proposito e nella Chiesa si mantenga sempre, con il sostegno dello Spirito Santo, la consapevolezza della sua grande dignità per la salvezza delle anime.

Preghiamo inoltre per la Chiesa, che in questo momento non solo sta transitando da un Pontefice ad un altro, ma sta anche vivendo una difficoltosa crisi di fede senza precedenti.

Il tempo della morte e delle esequie è il tempo della pietas christiana, non è il momento della retorica, né il momento dell’analisi storica.



(Foto: Pave Frans. Av Bogdan Solomenco. CC BY SA 4.0)


lunedì 21 aprile 2025

Effetto figliol prodigo, in Francia è boom di battesimi adulti


 

Sempre meno bambini battezzati, ma sempre più francesi al fonte battesimale ci vanno da grandi, a Pasqua. Spesso provengono da famiglie cristiane che non hanno trasmesso loro la fede e la riscoprono da soli dopo aver sperimentato il vuoto.


SEGNI DEI TEMPI

Editoriali 


Luisella Scrosati, 17-04-2025

Europe1, CNews, Franceinfo, fino a Le Figaro e Le Monde: la grande stampa non può tacere il boom di battesimi che verranno conferiti in Francia a uomini e donne nella prossima Veglia di Pasqua. 10.384 adulti, a cui si sommano oltre 7.400 adolescenti, per un totale di quasi 18.000 catecumeni che stanno per ricevere il Battesimo, è un numero imponente, che non può essere ignorato. I risultati dell’Enquête “Catéchuménat 2025” sur les Baptisés de Pâques mostrano un miglioramento ulteriore del trend positivo dello scorso anno (+45%), che già mostrava un significativo aumento rispetto al 2023, anno della svolta.

La media dei battesimi di adulti negli ultimi dieci anni era di circa 4000 unità ogni anno. Nel 2015 se ne contavano circa 3900, mentre dieci anni dopo oltre 10 mila, con un incremento di oltre il 160%. Tra gli adulti, quest’anno la fascia d’età compresa tra il 18 e i 25 anni (42%) ha superato quella tra i 26 e i 40 (39%). Netta la prevalenza femminile, con il 63% dei battezzandi, così come la loro area professionale di provenienza: il 27% proviene dal mondo degli studenti universitari, che nel 2020 rappresentava appena il 17% del totale, mentre il 36% esercita la professione di impiegato, operaio o tecnico, ed il 13% quello di insegnante.

La maggior parte di questi catecumeni (52%) proviene da famiglie cristiane, ossia da genitori battezzati che tuttavia hanno scelto di non trasmettere la fede ai propri figli; una parte consistente, circa il 18%, afferma di aver vissuto senza una religione. Interessante anche il dato delle conversioni dall’Islam, il 4%, che significa circa 400 persone che lasceranno la religione di Maometto per abbracciare il dolce giogo di Cristo, non di rado entrando in conflitto con i propri familiari.
Tra le Province ecclesiastiche che registrano un incremento di oltre il 50% di catecumeni, rispetto allo scorso anno, troviamo Toulouse, Montpellier, Clermont, Lyon, Dijon, Tours, Besançon e Metz.

Sul versante degli adolescenti (11-17 anni), i numeri risultano un po’ più incerti, poiché non tutte le diocesi francesi hanno inviato i dati relativi. Inequivocabile è però l’aumento rispetto allo scorso anno (+33%) degli adolescenti che riceveranno il battesimo la notte o il giorno di Pasqua, confermando una crescita costante a partire dal 2023. Anche tra gli adolescenti è netta la prevalenza femminile (65%).

Il dato estremamente positivo dei catecumeni non deve però far dimenticare che in Francia, ogni anno, il numero dei bambini che vengono battezzati è drammaticamente in calo. Secondo Le Monde, «nel 1974, tre quarti dei bambini con meno di 7 anni erano battezzati, la metà nel 1996 e non più di un quarto nel 2024». VaticanNews ricorda che il numero assoluto di battezzati in vent’anni, dal 2000 al 2020, si è drasticamente dimezzato. E tuttavia l’incremento che si registra da circa tre anni fa riflettere, oltre che ben sperare.

Da qualcuna delle testimonianze emerse, sembra che il fattore “figliol prodigo” sia stato determinante, non necessariamente per essersi volontariamente allontanati dalla casa paterna, ma per aver sperimentato quella tremenda fame che contorce le viscere dell’anima. Anaë, 20 anni, della diocesi di Nantes, si è ritrovata a vivere una profonda depressione già a 12 anni, probabilmente provocata da alcune dipendenze della madre. Poi gli sforzi di riempire il vuoto che la divorava, con nottate passate a consumare alcool, droghe, relazioni mordi e fuggi. Nel gennaio 2022, racconta, «non riuscivo ad alzarmi dal letto, non avevo nulla da fare, passavo le giornate a rimuginare. Poi ho sentito parlare della Quaresima. Senza capire perché, in quel preciso momento, ho sentito come una forza nel mio cuore che mi spingeva a scoprire di cosa si trattava. Volevo assolutamente sapere tutto. In seguito ho capito che il mio cuore cercava davvero di conoscere Dio. Due mesi dopo, il 2 marzo 2022, ho iniziato il mio primo periodo di Quaresima. Da quel giorno, non ho più lasciato il Signore». La frequentazione delle sante Messe, senza comprendere né capire più di tanto e quindi l’incontro con la comunità cristiana a Nantes: «Dio è venuto a cercarmi quando avevo toccato il fondo, e nemmeno avevo idea di chi fosse». Il buon Samaritano non riposa mai, ma percorre instancabile la strada che va da Gerusalemme, la città di Dio, a Gerico, la città maledetta, nonché la più bassa del globo terrestre (-250m s.l.m.), per soccorrere i viandanti che incappano nei briganti.

Lautalyne, 22 anni, studentessa a Lione: «Stavo attraversando un periodo difficile della mia vita, avevo problemi di salute e aspettavo le visite mediche con due o tre anni di ritardo. Un giorno, molto semplicemente, ho pregato e la mattina dopo ho avuto le mie visite mediche entro una settimana». La fede cristiana, non a caso, si fonda sulla prova storica che Dio mostra la potenza del suo braccio proprio quando umanamente non c’è più speranza. Lo ha fatto nell’attraversamento del Mar Rosso, evento storico (checché ne dicano certi biblisti) paradigmatico, dove Jahvé interviene quando il popolo aveva davanti a sé il mare e dietro i carri del faraone; lo ha fatto nella risurrezione di Cristo, quando la pietra aveva già chiuso il sepolcro.

Non vi sono dati che permettono di avere contezza su quanti di questi catecumeni provengano da “cammini” ecclesiali particolari, e quanti invece siano stati “pescati” direttamente dal Signore, per quanti di loro sia stata decisiva un’amicizia oppure la partecipazione, forse casuale, alla liturgia della Chiesa. Il contesto universitario appare però un terreno fertile. P. Jean-Baptiste Siboulet, cappellano universitario a Nantes, spiega che quasi tutte le settimane gli provengono richieste di giovani studenti che vogliono conoscere di più il cattolicesimo: «i giovani vogliono comprendere, conoscere ed acquisire delle basi teologiche solide».

Sembra chiaro che è l’incontro con il Dio vivo, principio di luce e di vita, con la sua potente misericordia, a convertire i cuori, non il cristianesimo dei valori; cuori che poi cercano appunto solidità, perché di mode entusiasmanti ma peregrine ne hanno abbastanza. È il buon Samaritano a caricare su di sé le anime, lasciate mezze morte sulla via, e portarle alla locanda, dove chiede alla sua Chiesa di prendersi cura di loro, promettendo di ricompensare ogni spesa al suo ritorno.

I numeri molto dicono, ma molto di più nascondono; quello che mai emergerà da ricerche, sondaggi e statistiche è quella parte invisibile, ma sostanziale e determinante, che accompagna ogni conversione. Dietro ad ogni errante che si avvicina o riavvicina a Dio, ci sono la preghiera, il sacrificio, l’offerta di tante persone, i cui gemiti sono conosciuti solo dal Signore; una rete nascosta di intercessori che si estende per tutto l’orbe terrestre, e lo valica per congiungersi con le preghiere dei santi e degli angeli. E la Francia cattolica, che da secoli soffre la persecuzione di una delle peggiori forme di laicismo, e non di rado deve soffrire anche a causa dei suoi pastori, non manca di queste anime. Non c’è male che Dio non sappia volgere ad un bene.






domenica 20 aprile 2025

Gli insegnamenti della risurrezione secondo San Tommaso




EDITORIALI 20/04/2025



di Matteo Castagna

SAN TOMMASO D’AQUINO CI INSEGNA MOLTE COSE, IN QUESTA PASQUA

È necessario che gli uomini conoscano due cose: la gloria di Dio e la pena dell’inferno, perché essi, allettati dalla gloria e spaventati dalla pena, possano star lontani dal peccato ed evitarlo. Ma sono cose molto difficili da conoscere. Il Libro della Sapienza pone sulla bocca degli stolti queste parole: “Non si è trovato alcuno che sia tornato dagli inferi” (Sap 2,1). Ma ora non si può più dire così, perché Cristo, com’è disceso dal cielo per insegnarci le cose celesti, così è risorto dai morti per insegnarci le cose degli inferi. È perciò necessario che noi crediamo non solo che egli si è fatto uomo ed è morto, ma anche che risuscitò dai morti. Perciò nel Simbolo viene detto: “il terzo giorno risuscitò dai morti“.

Cristo risuscitò per virtù propria, perché egli non era soltanto uomo ma anche Dio e la divinità non fu mai separata né dalla sua anima né dal suo corpo. Perciò, quando egli volle, il suo corpo riassunse l’anima e l’anima il corpo. Lo affermò lui stesso: “Io ho il potere di offrirla (la mia vita) e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10,18).

E, pur avendo subita la morte, questa non avvenne per infermità o per necessità, ma per propria volontà, spontaneamente. Tale è l’Olocausto perfetto. Egli può dire di sé quanto dice il salmista: “Io mi corico e mi addormento, mi sveglio (perché il Signore mi sostiene)” (Sal 3,6). Né questo è in contraddizione con quanto si legge negli Atti: “Questo Gesù Dio l’ha risuscitato” (At 2,32), perché il Padre lo risuscitò e il Figlio risuscitò se stesso, essendo unica la potenza del Padre e del Figlio.

Cristo risuscitò a una vita gloriosa e incorruttibile. Lo afferma l’Apostolo quando dice: “Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre” (Rm 6,4), mentre gli altri tornano alla medesima vita di prima, come sappiamo di Lazzaro e degli altri risorti.

Tutti gli altri risorgono in virtù della risurrezione di Cristo. Infatti, dice il Vangelo che, alla risurrezione di lui, “molti corpi di santi morti risuscitarono” (Mt 27,52) e S. Paolo afferma che “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15,20). Non sfugga, però, che Cristo giunse alla gloria attraverso la passione, come egli stesso dichiarò ai suoi discepoli: “Non bisognava che Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26).
Così ci insegnò come anche noi potessimo giungere alla gloria, perché, come afferma S. Paolo, “è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22).

Cristo risuscitò il terzo giorno. La ragione è che la nascita, la morte e la risurrezione di lui erano ordinate alla nostra salvezza, e pertanto egli volle risorgere appena la nostra salvezza fu compiuta. Ma se fosse risorto subito dopo la morte, non si sarebbe creduto che egli fosse veramente morto; e se l’avesse differita di molto tempo, i suoi discepoli non avrebbero perseverato nella fede e di conseguenza la sua passione non sarebbe stata di alcuna utilità, come dice il salmo: “Quale vantaggio dalla mia morte, dalla mia discesa nella tomba?” (Sal 30,10). Risuscitò perciò il terzo giorno affinché fosse creduto morto e i suoi discepoli non perdessero la fede.

Per il Dottore della Chiesa, San Tommaso d’Aquino, da quanto si è detto della risurrezione di Cristo possiamo ricavare quattro insegnamenti.

1 – Dobbiamo impegnarci per risorgere spiritualmente dalla morte dell’anima, in cui incorre l’uomo col peccato, alla vita di grazia che si riacquista mediante la penitenza. Dice infatti l’Apostolo: “Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14). È questa quella prima risurrezione cui allude l’Apocalisse quando dice: “Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione” (Ap 20,6).

2 – Non dobbiamo differire questa nostra risurrezione al momento della morte, ma dobbiamo attuarla subito, perché Cristo è risorto al terzo giorno. A tanto ci invita anche il Siracide: “Non aspettare a convertirti al Signore, e non rimandare di giorno in giorno” (Sir 5,8). Come potresti, infatti, pensare alla salvezza dell’anima quando sarai oppresso dalla malattia? Inoltre, perché perseverando nel peccato, vorresti privarti della partecipazione di tanti beni che si fanno nella Chiesa e incorrere in tanti mali? Il diavolo, inoltre, come dice Beda quanto più a lungo possiede un’anima, tanto più difficilmente la lascia.

3 – Dobbiamo risorgere a una vita incorruttibile, per non morire di nuovo, cioè col proposito di non peccare più, come Cristo che “risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,9). Perciò, “Anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti” (Rm 6,11-13).

4 – Sforziamoci di risorgere a una vita nuova e gloriosa, tale cioè da evitare tutte quelle cose che prima ci erano state occasione e causa di morte e di peccato. “Come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4), e questa vita nuova è una vita di grazia che rinnova l’anima e porta alla vita di gloria. Alla quale dobbiamo tutti aspirare.






Nella Sindone tutto parla di Gesù di Nazaret


 

La Sindone ci parla in modo eloquente di fatti avvenuti duemila anni fa. Eppure si perpetuano bugie per negare la sua autenticità. E ciò nonostante oltre cent’anni di ricerche e pubblicazioni che avvalorano il legame tra quel lenzuolo e la Passione, Morte e Risurrezione di Gesù.

Segno di Risurrezione

Ecclesia 


Emanuela Marinelli, 19-04-2025

L’avvicinarsi della Pasqua riporta alla ribalta la Sindone, la venerata reliquia conservata a Torino da più di quattro secoli. San Giovanni Paolo II la definì così: «Singolarissimo testimone della Pasqua, della Passione, della Morte e della Risurrezione. Testimone muto, ma nello stesso tempo sorprendentemente eloquente». In effetti la Sindone parla, come ha affermato Benedetto XVI: «Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio».

In questi giorni si sono moltiplicate le conferenze, le mostre, i libri, gli articoli sulla Sindone. Una grande mostra, organizzata dall’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, è in corso presso la Basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini a Roma. In tutta Italia e in alcuni Paesi esteri è presente l’Ostensione diffusa, iniziativa per esporre copie della Sindone nelle chiese. È da poco uscito Contemplare la Sindone, il nuovo libro che ho scritto con don Domenico Repice (Ares 2025).

In questo fermento di iniziative, capita però di ascoltare anche qualcosa che lascia molto perplessi. L’affermazione più clamorosa che ho sentito riguarda la reazione del mondo scientifico alla datazione medievale della Sindone del 1988: «Tutto tace per 22 anni, fino al congresso dell’ENEA del 2010 dove parla Marco Riani». Non è così, perché immediatamente si sollevò un coro di proteste per motivi scientifici. Furono convocati numerosi congressi: Bologna 1989, Parigi 1989, Cagliari 1990, Roma 1993, Nizza 1997, Torino 1998, Richmond 1999, Rio de Janeiro 1999, Orvieto 2000, Dallas 2001, Parigi 2002, Rio de Janeiro 2002, Dallas 2005. In tutti furono presentati lavori che invalidavano il test radiocarbonico.

Nel 1990 uscì il primo libro che contestava la datazione medievale: La Sindone, un enigma alla prova della scienza, che scrissi per la Rizzoli con Orazio Petrosillo e prefazione di Vittorio Messori. Seguirono altri libri e soprattutto articoli scientifici su prestigiose riviste referenziate, come quello di H. Gove et al. del 1997: A problematic source of organic contamination of linen, o quello di R. Rogers del 2005: Studies on the radiocarbon sample from the Shroud of Turin, tanto per menzionarne due.

Chi sostiene che, prima del 2010, tutto tace, inoltre, non parla mai della smentita definitiva della datazione radiocarbonica pubblicata su Archaeometry nel 2019 da T. Casabianca, E. Marinelli, B. Torrisi, G. Pernagallo. Si evita di parlarne per far credere che tutto tace anche dopo.

La bugia colossale del “tutto tace” in merito alla datazione radiocarbonica fa il paio con l’altra menzogna: “Non sappiamo quasi nulla sulla Sindone, è più quello che non conosciamo di quello che conosciamo, sappiamo quello che non è ma non sappiamo che è”. Si nega così con disinvoltura tutto quello che è stato trovato e pubblicato in oltre cent’anni di ricerche: la manifattura della stoffa, molto pregiata, che contiene tracce di DNA di persone dell’India, ad avvalorare la possibilità che Giuseppe d’Arimatea l’abbia comprata al Tempio; cospicue tracce anche di DNA mediorientale; la presenza di aloe e mirra e l’abbondanza di pollini di piante della Terra Santa; la presenza di aragonite simile a quella trovata nelle grotte di Gerusalemme; una cucitura laterale identica a quelle esistenti su stoffe ebraiche del I secolo d.C.

Il cadavere che è stato nel lenzuolo è quello di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso con chiodi e trapassato da una lancia al fianco. Tutto coincide con la descrizione della Passione di Cristo che si trova nei Vangeli. Il tempo di contatto fra corpo e lenzuolo è stato valutato attorno alle 36-40 ore, dopo le quali sul lenzuolo si è formata l’immagine del corpo. Il telo ha ricevuto una radiazione ortogonale che si può spiegare – come dimostrato dagli esperimenti condotti con il laser presso l’ENEA di Frascati – con una potente emissione di luce.

Alcuni tentano di svalutare le analisi condotte da Pierluigi Baima Bollone, che è stato direttore dell’Istituto di Medicina Legale di Torino, il quale ha dimostrato che il sangue è umano e di gruppo AB, lo stesso del Sudario di Oviedo e di alcuni miracoli eucaristici. I reagenti usati non sarebbero stati adeguati e il sangue potrebbe essere quello di un coniglio. Questi attacchi non sono giustificati, in quanto già all’epoca delle analisi, negli anni Ottanta, Baima Bollone aveva risposto alle contestazioni sulla rivista Sindon, la stessa che aveva pubblicato i suoi lavori. Ma i negatori scatenati sono giunti perfino a contestare il sudore di sangue di Gesù al Getsemani, fenomeno noto in medicina in caso di grande stress, con argomenti del tipo che Luca non era presente o che alla luce incerta delle torce il sudore di sangue non si vede.

Lo stuolo dei demolitori alla fine dice che se la Sindone è vera o è falsa non cambia nulla, tanto quello che importa è l’immagine che rimanda a Gesù. Non si rendono conto del fatto che se non fosse il lenzuolo funebre di Gesù, sarebbe il risultato di un orrendo delitto perpetrato per realizzare una falsa reliquia, dunque non un rimando a Gesù in una icona fatta per meditare. Della Sindone, comunque, hanno detto che “ci sono icone più belle”.

Un’altra affermazione ambigua, che vuole essere poetica, è questa: “La Sindone non dà risposte, pone domande. Può essere una prova della Resurrezione? La risposta a una domanda di fede non si trova nella Sindone ma piuttosto negli occhi e nel cuore di chi guarda”. Chi dice questo non considera tutti i risultati degli esami scientifici, che – come già detto – hanno dato moltissime risposte ai nostri quesiti. I fisici che hanno condotto gli esperimenti con il laser presso l’ENEA hanno ammesso che dai loro risultati si può pensare alla formazione dell’immagine con una luce come quella che Gesù sprigionò durante la Trasfigurazione. La risposta dunque non può essere negli occhi e nel cuore di chi guarda semplicemente la Sindone senza sapere nulla e può trarre conclusioni sbagliate, ma nella mente di chi si è documentato e conosce le risposte che la Sindone ha dato agli scienziati.

Il fastidio per l’autenticità della Sindone, definita da alcuni persino una “ossessione”, arriva al punto di affermare che se fosse autentica e segno della Resurrezione sarebbe un danno per la fede, che sarebbe annientata da una verità impositiva. Meno male che il custode della Sindone, il cardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino, con semplicità ha detto: «La Sindone è anche il calco della Resurrezione, che dice che Dio può intervenire». Con gratitudine verso il card. Repole, ci avviciniamo alla gioia della Santa Pasqua, annuncio della Sindone vuota e di Cristo risorto!





sabato 19 aprile 2025

Il mistero del Sabato Santo. La meditazione di Benedetto XVI davanti alla Sindone




19 Apr 2025

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by Aldo Maria Valli



di Benedetto XVI

Cari amici, questo è per me un momento molto atteso. In diverse altre occasioni mi sono trovato davanti alla sacra Sindone, ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria Icona; forse, e direi soprattutto, perché sono qui come Successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità. Ringrazio Dio per il dono di questo pellegrinaggio, e anche per l’opportunità di condividere con voi una breve meditazione, che mi è stata suggerita dal sottotitolo di questa solenne Ostensione: “Il mistero del Sabato Santo”.

Si può dire che la Sindone sia l’Icona di questo mistero, l’Icona del Sabato Santo. Infatti essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio. Venuta la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato solenne di Pasqua, Giuseppe d’Arimatea, un ricco e autorevole membro del Sinedrio, chiese coraggiosamente a Ponzio Pilato di poter seppellire Gesù nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia a poca distanza dal Golgota. Ottenuto il permesso, comprò un lenzuolo e, deposto il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse con quel lenzuolo e lo mise in quella tomba (cfr Mc 15,42-46). Così riferisce il Vangelo di san Marco, e con lui concordano gli altri Evangelisti. Da quel momento, Gesù rimase nel sepolcro fino all’alba del giorno dopo il sabato, e la Sindone di Torino ci offre l’immagine di com’era il suo corpo disteso nella tomba durante quel tempo, che fu breve cronologicamente (circa un giorno e mezzo), ma fu immenso, infinito nel suo valore e nel suo significato.

Il Sabato Santo è il giorno del nascondimento di Dio, come si legge in un’antica Omelia: “Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme … Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi” (Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439). Nel Credo, noi professiamo che Gesù Cristo “fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte”.

Cari fratelli e sorelle, nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più. Sul finire dell’Ottocento, Nietzsche scriveva: “Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso!”. Questa celebre espressione, a ben vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana, spesso la ripetiamo nella Via Crucis, forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità.

E tuttavia la morte del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza. E questo mi fa pensare al fatto che la sacra Sindone si comporta come un documento “fotografico”, dotato di un “positivo” e di un “negativo”. E in effetti è proprio così: il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Il Sabato Santo è la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa “terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo: “Passio Christi. Passio hominis”. E la Sindone ci parla esattamente di quel momento, sta a testimoniare precisamente quell’intervallo unico e irripetibile nella storia dell’umanità e dell’universo, in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La solidarietà più radicale.

In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù Cristo è “disceso agli inferi”. Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui. Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli: “Passio Christi. Passio hominis”.

Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione. Ed ecco, mi sembra che guardando questo sacro Telo con gli occhi della fede si percepisca qualcosa di questa luce. In effetti, la Sindone è stata immersa in quel buio profondo, ma è al tempo stesso luminosa; e io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio; vedono sì la morte di Gesù, ma intravedono la sua Risurrezione; in seno alla morte pulsa ora la vita, in quanto vi inabita l’amore. Questo è il potere della Sindone: dal volto di questo “Uomo dei dolori”, che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati – “Passio Christi. Passio hominis” -, da questo volto promana una solenne maestà, una signoria paradossale. Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio. Come parla la Sindone? Parla con il sangue, e il sangue è la vita! La Sindone è un’Icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. È come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo.

Cari amici, lodiamo sempre il Signore per il suo amore fedele e misericordioso. Partendo da questo luogo santo, portiamo negli occhi l’immagine della Sindone, portiamo nel cuore questa parola d’amore, e lodiamo Dio con una vita piena di fede, di speranza e di carità. Grazie.

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Visita pastorale di Benedetto XVI a Torino, Venerazione della Santa Sindone, 2 maggio 2010

Fonte: vatican.va