lunedì 17 ottobre 2022

Don Nicola Bux: “La Chiesa è come una madre. Non potremmo ripudiarne l’appartenenza, anche se cadesse in una condizione miseranda”




17 OTT 22

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by Aldo Maria Valli


di don Nicola Bux

Le diatribe circa il Vaticano II, se sia stato più o meno dottrinale o pastorale, e circa i pastori, cioè papa e vescovi “regnanti”, oscillano tra adulazione e rifiuto perché non si conosce cos’è il Magistero e quali i suoi gradi. “Il Papa pensò certo a un concilio pastorale, di aggiornamento, ma ciò non deve intendersi come qualcosa di pratico, dinamico, quasi separato dalla dottrina. È inconcepibile in effetti una pastorale senza dottrina, lontana dalla Tradizione ecclesiale” (N.Spuntoni, Marchetto: Il concilio va letto nella continuità della Chiesa, La Nuova Bussola Quotidiana, 10 ottobre 2022). Com’è noto, il deposito della fede, contenuto nella sacra Tradizione e nella Sacra Scrittura, è stato affidato dagli Apostoli alla totalità della Chiesa (Catechismo della Chiesa cattolica, 84). L’ufficio di interpretare – ossia di insegnare soltanto ciò che è stato trasmesso dagli Apostoli – lo ha il solo Magistero, costituito dai vescovi in comunione col papa: che non è al di sopra della Parola di Dio, anzi “piamente l’ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone” (Dei Verbum, 10). Solo i dogmi – e le verità che hanno connessione con essi – richiedono l’irrevocabile adesione di fede, perché in tal caso il Magistero gode del grado d’infallibilità, il più alto, che si estende anche alla dottrina morale e ai precetti della legge naturale. Non così per il Magistero ordinario e i suoi diversi gradi. Rimando per questo all’importante contributo del prof. N. Barile (La Chiesa e il papa: lettura aristotelico-tomista della situazione attuale, 17 agosto 2022, www.ilpensierocattolico.it).

Può accadere che i pastori, papa e vescovi, tuttavia, non esercitino il loro insegnamento secondo i criteri suddetti.

San Gregorio Magno affronta così, al suo tempo, l’inettitudine dei pastori e mi sembra riguardi anche l’oggi: “Vi sono persone che ascolterebbero la buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti, e tuttavia si trova di rado chi lavora nella messe del Signore… Spesso infatti la lingua dei predicatori perde la sua scioltezza a causa delle loro colpe; spesso invece viene tolta la possibilità della predicazione a coloro che sono a capo per colpa dei fedeli… Non è sempre facile però sapere per colpa di chi al predicatore venga tolta la parola. Ma si sa con tutta certezza che il silenzio del pastore nuoce talvolta a lui stesso, e sempre ai fedeli a lui soggetti. Vi sono altre cose… che mi rattristano profondamente sul modo di vivere dei pastori. E perché non sembri offensivo per qualcuno quello che sto per dire, accuso nel medesimo tempo anche me… Noi abbandoniamo il ministero della predicazione e siamo chiamati vescovi, ma forse piuttosto a nostra condanna, dato che possediamo il titolo onorifico e non le qualità. Coloro che ci sono stati affidati abbandonano Dio e noi stiamo zitti. Giacciono nei loro peccati e noi non tendiamo loro la mano per correggerli. Ma come sarà possibile che noi emendiamo la vita degli altri, se trascuriamo la nostra?”(Dalle Omelie sui vangeli).

Gli interventi susseguitisi su Duc in altum postulano, a mio sommesso avviso, una questione di fede e quindi di metodo. La Chiesa è come una madre, non potremmo ripudiarne l’appartenenza, anche se cadesse in una condizione miseranda. Di questo erano convinti i Padri, come appunto Cipriano, che aiutò papa Cornelio a combattere le eresie, che circolavano dentro la Chiesa non meno che in età apostolica. Analogamente accade per la nostra appartenenza alla nazione, qualora i governanti pro tempore fossero discutibili, se non peggio. Chi potrebbe affermare: non sono più italiano, nonostante fosse nato, parlasse la lingua e operasse nel territorio italiano?

Quando taluni ecclesiastici usano invettive contro il papa e altri uomini di Chiesa, rischiano di travolgere la funzione insieme a colui che la ricopre. I medievali, come Dante, sapevano benissimo che ciascuno deve salvare la propria anima, e così distinguevano nel papa come “due corpi”: la persona peccatrice dall’ufficio che è sacro.

Per quanto arduo, se si dicesse la verità con carità, come appunto fanno alcuni ben noti Cardinali, non si creerebbe scandalo e ulteriore divisione tra i fedeli. Non sarebbe, questa, una modalità in linea con quella usata dai santi riformatori, che amavano piuttosto rivolgere implorazioni e suppliche, anche quando fustigavano i costumi? La Chiesa, infatti, si rinnova con l’umiltà del servizio e la santità della vita. Per questo, sull’Amoris laetitia, i quattro Cardinali hanno usato lo strumento dei Dubia, perché rispettoso dell’autorità pontificia. Anche se non hanno ricevuto risposta, gli interrogativi restano, e qualcuno dovrà rispondere prima o dopo il papa pro tempore. Non bisogna aver fretta di separare il grano dalla zizzania, anche nella Chiesa.

Tutto questo spiega l’affermazione extra ecclesia nulla salus (cfr LG 14; Catechismo della Chiesa cattolica, 846). Altrimenti chi si salverebbe dentro una Chiesa fatta di peccatori, anche tra gli ecclesiastici? Ma la Chiesa è fatta soprattutto di santi, che controbilanciano, per così dire, i primi. Infatti, essa è una sola e indefettibile, ossia, quale corpo mistico di Gesù Cristo, non può venir meno alla sua natura teandrica(umano-divina). È questo un dogma, ossia un punto fermo.

Le chiese self-made, nate dalle varie scissioni durante due millenni, hanno già fallito, ha ricordato Benedetto XVI, perché non possono togliere nulla alla Chiesa una, santa, cattolica, apostolica che professiamo nel Credo. Per sanare le ferite umane inferte all’unione tra i cristiani ci vuole la pazienza dell’amore. Dunque, un vero cattolico non si deve nemmeno porre la domanda: fuori da “quale” Chiesa (cfr il punto 6 Rimanere nell’unità del tutto, in IPC “La forma d’insegnamento della Scuola Ecclesia Mater”). Ecco il metodo cattolico.

Certo, è utile il dibattito, ma senza scindere verità e amore. Il popolo è confuso, smarrito, perplesso, quindi facilmente a rischio di amoralità e immoralità, perché i pastori non insegnano la fede e la vita in Cristo, ossia la morale, ma la legalità, la sostenibilità, l’inclusività, la sinodalità… Ci vorrebbe una grande missione popolare, in Italia, e non solo, altro che, per annunciare Gesù Cristo.

Fonte: ilpensierocattolico.it




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