lunedì 19 settembre 2022

KAZAKISTAN: Papa Francesco al “supermercato delle religioni”



La partecipazione del Santo Padre al Congresso dei leader religiosi alimenta l’idea diffusa che in fondo una religione valga l’altra: un indifferentismo estraneo alla Chiesa e alla ragione, poiché se tutte sono vere, non lo è nessuna. Mons. Athanasius Schneider lo dice a chiare lettere, e ricorda che i vescovi devono parlare con franchezza, anche al successore di Pietro.



Stefano Fontana 19-09-2022

Nei giorni scorsi, prima ancora dell’apertura nella capitale del Kazakistan del VII Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, conclusosi il 15 settembre scorso, la Bussola aveva espresso non solo delle perplessità ma delle sostanziali critiche all’iniziativa e, soprattutto, ma non solo, all’opportunità della partecipazione di Francesco. A Congresso avvenuto, anche mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Nur-Sultan, un tempo Astana, sede del Congresso, ha espresso le proprie valutazioni, dicendo sostanzialmente due cose.

Prima di tutto che l’evento può aver dato l’impressione che esista un “supermercato delle religioni” nel quale ognuno può prendere dagli scaffali la propria. L’immagine del supermercato delle religioni, non nuova, esprime comunque bene la tendenza oggi dominante a considerare la libertà religiosa come la situazione del cliente davanti allo scaffale. A questa tendenza non può aderire la Chiesa cattolica e, con essa, nemmeno la ragione. Già quest’ultima ci dice che il dovere di cercare Dio, che è alla base del diritto alla libertà religiosa, è radicato nelle finalità della natura umana. Non è aperto ad ogni divinità, non è diretto ad un generico mondo del “Divino” – purtroppo questa espressione è stata adoperata anche da Francesco nei suoi interventi ad Astana – ma al Dio vero e unico, oggetto di ricerca da parte di una ragione vera. Approdare, dopo questa ricerca, a forme di paganesimo – per esempio – non risponde all’inclinazione naturale di cercare Dio, e non realizza la vera libertà di religione. Bene ha fatto, quindi, Schneider a ricordare questo punto.

La sua seconda affermazione riguarda il rapporto dei vescovi col Papa. Schneider ha detto che i primi non sono dei “dipendenti” del Papa – e quindi degli esecutori taciti e passivi, aggiungiamo noi – ma sono fratelli e se in buona coscienza un vescovo vede delle mancanze in quanto sta dicendo o facendo il Papa, fa bene a dirglielo, col giusto rispetto. È il Papa stesso, ha aggiunto Schneider non senza un accento polemico, a chiedere franchezza e sinodalità. Con questo spirito, egli ha auspicato che in futuro il Papa non partecipi più a consessi di questo genere. A questo auspicio ci uniamo anche noi, ritenendo però la cosa umanamente di difficile realizzazione, date le premesse e le numerose manifestazioni da parte di Francesco delle sue convinzioni in materia. Ci uniamo anche all’auspicio che i vescovi tutti si liberino dalla convinzione di essere dei “dipendenti” del papa e, da successori degli apostoli, intervengano sulle problematiche dottrinali, come è appunto questa del dialogo interreligioso.

Per molti le affermazioni dell’arcivescovo Schneider sono state taglienti, secondo qualcuno anche coraggiose. Senza negare questi aspetti, altri – e tra costoro anche chi scrive – le hanno considerate tutto sommato timide, come se ci si volesse limitare a evidenziare solo il possibile pericolo di fraintendimento del vero significato della presenza del papa a Nur-Sultan, ma non l’evento in sé. Invece proprio esso è da contestare radicalmente e non solo i suoi possibili fraintendimenti.

Come si ricorderà, nella dichiarazione di Abu Dahbi Francesco aveva sottoscritto l’espressione secondo cui Dio vuole le varie religioni. Proprio l’arcivescovo Schneider gli aveva chiesto di rettificare l’espressione, in quanto errata. Una vera e propria rettifica – naturalmente – non è mai arrivata. Ora, l’adesione al Congresso di Nur-Sultan, con l’accettazione come cosa positiva della pluralità delle religioni, riconferma quella concezione. Non si tratta, quindi, solo del pericolo di fraintendere l’evento come un supermercato delle religioni, ma di pensare che Dio sia il padrone del supermercato. Se così fosse, però, vorrebbe dire che la Chiesa cattolica ha dimenticato che la nostra situazione è una situazione decaduta e che la rivelazione parla di un peccato delle origini che ha prodotto questa situazione nella quale le religioni sono tante. A meno di pensare che nell’Eden ci fosse il pluralismo religioso.

La grande iattura è che oggi nella Chiesa si pensa che l’attuale situazione dell’umanità sia “normale” – come sottolineava Augusto Del Noce – e che Dio ci abbia creati così come siamo ora. Dietro eventi come quello del Kazakistan e dietro l’adesione dei vertici della Chiesa cattolica alla loro impostazione, si nasconde questo grande errore di fondo che trasforma tutta la teologia cattolica. Si tratta, quindi, ben di più di un “possibile fraintendimento”, come affermato dall’arcivescovo Schneider.

Va poi ricordato che, se le religioni sono tante non a seguito di una primordiale caduta, ma “per natura”, e che tante rimarranno per sempre, allora bisogna considerarle tutte vere, nonostante dicano cose molto diverse e talora opposte. Ora, ritenere tutte vere affermazioni diverse e contrapposte, significa non essere interessati alla loro verità, in questo caso alla verità delle religioni. Ma essere indifferenti alla verità delle religioni vuol dire essere atei, per di più atei del peggiore ateismo, quello postmoderno dell’indifferenza.





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