venerdì 23 settembre 2022

Come il marxismo ha rovinato l’istruzione in Italia





di Julio Loredo

Sulla scia della rivoluzione bolscevica del 1917 in Russia, diversi pensatori marxisti iniziarono a esplorare le possibilità per replicarla in Occidente. Giunsero rapidamente alla conclusione che da noi fosse impraticabile. Era necessaria una nuova strategia. Gli sforzi più importanti in questo senso furono portati avanti dall’Institut für Sozialforschung dell’Università Johann Wolfgang Goethe in Germania, meglio conosciuto come Scuola di Francoforte, anche dopo che i suoi membri si trasferirono prima in Francia e poi negli Stati Uniti.

I membri di questa scuola applicarono il marxismo a una teoria sociale radicale e interdisciplinare, utilizzando le intuizioni della psicoanalisi, della sociologia, della filosofia esistenziale e di altre discipline per disegnare un piano di Rivoluzione totale. Nel 1936, ad esempio, coniarono l’espressione “rivoluzione sessuale” per descrivere l’utilizzo della decadenza morale già allora in atto per distruggere la mentalità “borghese” e forgiarne una nuova socialista.

Forse meno noto a livello internazionale ma, in più di un modo, maggiormente importante fu il lavoro di Antonio Gramsci, cofondatore del PCI. Ampliando il concetto marxista di egemonia - che considerava l’economia la “struttura” e tutti gli altri ambiti (politico, culturale, ecc.) semplici “sovrastrutture” - Gramsci esplorò gli aspetti culturali dell’egemonia, sviluppando le basi di quella che poi divenne nota come Rivoluzione culturale. Insisteva sul fatto che prendere il controllo del governo non è l’obiettivo più importante (come invece sosteneva Lenin). Secondo lui, la sinistra doveva piuttosto controllare alcuni settori chiave della società, in particolare l’istruzione, la cultura e la magistratura. Istruzione e cultura sono intimamente legate. Mentre una cultura di sinistra plasma il sistema educativo, un’educazione di sinistra forma i giovani che in seguito svilupperanno la cultura, creando un circolo vizioso che lentamente ma inesorabilmente cambia le mentalità. Le trasformazioni politiche, sosteneva Gramsci, sarebbero arrivate in seguito come naturale conseguenza di questi cambiamenti nella cultura.

“L’educazione è da sempre strumento per il consolidamento di qualsiasi egemonia – scrivono Lorenzo Caruti e Giammarco Serino – l’educazione [è] strumento imprescindibile di egemonia politica (…) l’educazione plasma le influenze geopolitiche”[1].

La sinistra ha avuto un enorme successo nell’applicare questa strategia. La cultura occidentale moderna - lingua, arti, musica, teatro, fotografia, cinema, letteratura, poesia, televisione, moda, pubblicità - è massicciamente orientata a sinistra. Non esiste una cultura “conservatrice” o “tradizionalista” di qualche rilievo. Se prendiamo gli elementi della cultura definiti da Andrew Brown, autore di Organisational Culture - artefatti, storie, rituali, eroi, simboli, credenze, atteggiamenti e valori – ci accorgiamo che sono tutti egemonizzati dalla sinistra.

Lo stesso per l’istruzione. La sinistra ha avuto un enorme successo nell’infiltrare il sistema educativo fino a controllarlo virtualmente. In Italia, ad esempio, indipendentemente da chi è al governo, l’istruzione cammina sempre a sinistra.

Come possiamo definire la Rivoluzione culturale?


Nel descrivere lo spirito che anima il processo rivoluzionario, Plinio Corrêa de Oliveira afferma: “Due nozioni concepite come valori metafisici esprimono bene lo spirito della Rivoluzione: l'uguaglianza assoluta, la libertà completa. E due sono le passioni che più le servono: l'orgoglio e la sensualità”. Se analizziamo le riforme dell’istruzione negli ultimi decenni, tutte si riducono a questo: più uguaglianza e più libertà. Teniamo conto, però, che quando la Rivoluzione proclama la completa libertà come principio metafisico, lo fa solo per giustificare il libero corso delle peggiori passioni e degli errori più perniciosi. Quando è al potere, limita facilmente, e persino con gioia, la libertà del bene.

La distruzione pianificata della scuola

Negli ultimi decenni abbiamo assistito in Italia a quella che un analista ha definito “la distruzione pianificata della scuola”. Già visibile negli anni ‘60, questa distruzione subì una brusca accelerazione negli anni ‘90, durante i governi del comunista Massimo D’Alema e del “cattolico adulto” Romano Prodi. Il suo principale promotore fu allora il ministro comunista dell’Istruzione Luigi Berlinguer. Scrive Luciano Benadusi: “A partire dall’assunzione della titolarità ad interim dei due rispettivi ministeri da parte dell’on. Luigi Berlinguer, la politica scolastica ed universitaria italiana è entrata in una fase di grande dinamismo, tradottosi nell’ideazione – sebbene non ancora nell’approvazione – di importanti riforme”. Queste riforme erano guidate da un “chiaro disegno strategico”, di ispirazione comunista[2].

Il concetto stesso di “educazione” cambiò radicalmente. Se tradizionalmente l’educazione era concepita come trasmissione di conoscenze e formazione del carattere secondo determinati valori condivisi, oggi l’educazione è concepita come un mezzo per distruggere nei bambini e nei ragazzi i vecchi modelli di riflessione, volizione e sensibilità, sostituendoli gradualmente con forme di pensiero, deliberazione e sensibilità sempre più egualitarie e libertarie.

Vediamo alcuni aspetti di questa distruzione.

Socialismo autogestionario. Un primo elemento è stato il decentramento del sistema educativo. In breve, ogni scuola è libera di scegliere il proprio stile e i propri contenuti. Alle scuole fu data autonomia “nell’organizzazione, nell’istruzione, nella ricerca e nello sviluppo”; fu concessa “libertà di pianificazione” e la “libera scelta di metodi, contenuti e tempi”. D’altra parte, gli studenti dovevano essere sempre tenuti in considerazione quando si prendevano decisioni che avrebbero riguardato la scuola. Nacquero così le assemblee scolastiche. Tutto questo ispirato al cosiddetto socialismo autogestionario. Chissà per quale motivo, però, nell’applicare la “libertà di scelta”, la quasi totalità delle scuole adottò esattamente le stesse riforme rivoluzionarie...

Abolizione dei voti. L’istruzione si è sempre basata sul premiare i più intelligenti e i più diligenti, cercando di stimolare i meno intelligenti e i meno diligenti. L’impegno era premiato, mentre la pigrizia veniva punita. Questo creava naturalmente una gerarchia: alcuni erano i primi della classe, altri gli ultimi. Questo si scontra con lo spirito egualitario della Rivoluzione.

Così, in Italia, negli anni è cresciuto il movimento per l’abolizione dei voti. Il primo a essere abolito, nel 2017, è stato il voto di condotta. Poi, nel 2019, agli insegnanti delle scuole elementari è stato vietato di dare voti. Una mia amica, insegnante nella scuola locale, mi ha raccontato che non appena hanno attuato questa legge, il livello accademico della sua classe è crollato. I bambini non erano più stimolati a studiare in maggior misura. Ha avuto allora un’idea brillante: invece di dare voti (vietati dalla legge), ha assegnato dei colori, come quelli dell’arcobaleno. Il rosso per il voto più alto, il viola per il più basso. Immediatamente i bambini hanno iniziato a fare a gara per ottenere un rosso e il livello scolastico generale è tornato alla normalità. Ebbene, la direttrice l’ha rimproverata, perché una simile politica creava disuguaglianze...

Abolizione delle classi di religione. Secondo il Concordato del 1929 firmato tra lo Stato italiano e il Vaticano, le scuole devono insegnare la religione cattolica. Il nuovo Concordato del 1984 ha reso questo insegnamento facoltativo: gli studenti potevano scegliere se svolgere o meno l’ora di religione. Da allora la frequenza all’ora di religione è diminuita costantemente e in molte scuole è di fato inesistente. Oggi c’è un movimento crescente per abolire del tutto l’ora di religione, come parte di uno sforzo per cancellare la religione dalla vita pubblica.

Educazione affettiva e sessuale. Seguendo una tendenza visibile in altri campi, la scuola italiana si è spostata da un’educazione basata sulla conoscenza a una basata sulla psicologia. In altre parole, non è tanto importante ciò che si impara, ma come ci si relaziona con il mondo: abbiamo di fronte agli altri un atteggiamento “corretto”, cioè liberale, tollerante, non giudicante? O piuttosto un atteggiamento “sbagliato”, cioè basato su verità e valori oggettivi?

Tutto è iniziato con l’“educazione all’affettività”. Secondo un documento, “l’educazione all’affettività ha l’obiettivo di sviluppare l’intelligenza emotiva a partire dalla consapevolezza delle proprie sensazioni, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti e di accrescere le abilità affettive con l’obiettivo di favorire una buona relazione interpersonale”[3]. È destinata alle scuole elementari e inizia con la domanda “Chi sono io?”. Naturalmente è vietata qualsiasi identità di genere. La conclusione è: “Non so chi sono. Io divento. Sono fluido”. Nella seconda fase, “Io e gli altri”, si esplorano le relazioni interpersonali. Ai bambini a partire dai cinque anni viene chiesto di esplorare il proprio corpo e quello dei colleghi. Questo porta alla terza fase, “Affetto e sessualità”, in cui i bambini sono stimolati a relazionarsi anche sessualmente con i loro compagni.

Agenda LGBT. L’imposizione dell’agenda LGBT merita un capitolo a sé. Nel 2014, il Ministero della Pubblica Istruzione emanò un decreto che imponeva un “Programma di educazione all’affettività e alla sessualità”. Gli studenti dovevano essere istruiti da membri dell’ArciGay. Gli insegnanti dovevano seguire “corsi di aggiornamento” tenuti da questi stessi militanti. I critici hanno accusato questo programma di trasformare le scuole in un campo di indottrinamento LGBT. Un portavoce dell’ArciGay ha risposto: “Accresceremo la conoscenza sulle famiglie omogenitoriali e sui loro bambini (…) Amplieremo le conoscenze e le competenze di tutti gli attori della comunità scolastica sulle tematiche lesbo, gay, bisessuali, transessuali (Lgbt); favoriremo l’empowerment delle persone Lgbt nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni. Contribuiremo alla conoscenza delle nuove realtà familiari, superando il pregiudizio legato all’orientamento affettivo dei genitori”[4].

Poco prima della pandemia, con l’intento di “educare alla tolleranza”, il Ministero aveva emanato una circolare suggerendo alle scuole di organizzare una giornata settimanale in cui i ragazzi si vestissero da ragazze e viceversa. Più recentemente, il 15 maggio 2022, il Ministero ha emanato una circolare in cui invitava le scuole a organizzare “iniziative di educazione e sensibilizzazione” in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. L’elenco potrebbe continuare.

Tutto questo ha avuto ripercussioni sul livello dell’istruzione nel nostro Paese. Infatti, secondo la maggior parte dei parametri, l’Italia è terzultima in Europa per qualità, davanti solo a Portogallo e Malta. Secondo altri rapporti, l’Italia è penultima, davanti solo alla Romania. Questo, però, non sembra preoccupare i promotori della Rivoluzione Culturale, che sembrano accettare questo abbassamento dei livelli accademici pur di imporre la loro agenda.



Note

[1] Lorenzo Caruti and Gianmarco Serino, Il ruolo della politica nelle diseguaglianze educazionali, “MtP”, 24 June 2021.

[2] Luciano Benadusi, Le riforme del sistema di governo dell’istruzione, “Quaderni di Sociologia”, 15/1997.

[3]https://www.cittametropolitana.bo.it/pariopportunita/Educazione_per_il_contrasto/Educazione_allaffettivita.

[4] Benedetta Frigerio, Scuola di Stato Lgbt. Ecco cosa insegnerà ai nostri figli il maestro unico della “teoria del gender”, “Tempi”, 03-02-2014.







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